Raccontare, a partire dalla propria esperienza personale, che la disabilità può diventare lo sguardo dell’infinito sul mondo, capace di sorprendere oltre ogni difficoltà, oltre ogni immaginazione.
È stato presentato ieri, venerdì 15 marzo, presso la libreria Mondadori Bookstore di Potenza, il libro autobiografico di Giovanna Gallo, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo “L. Sinisgalli” del capoluogo, intitolato “46 + 1 = Infinito”, edito da Edizioni Hermaion.
Ha dialogato con l’autrice Donato Verrastro, durante la presentazione che ha visto le letture di Rosadele Masessa De Dovitiis e Antonio Verrastro, e gli interventi musicali di Luca Fabrizio e Gabriele Spadino Pippa.
Giovanna Gallo, nella sua opera, racconta in prima persona di come la sorella Carla, affetta da sindrome di Down, sia stata capace, nel modo più semplice, nella quotidianità, con la sua sensibilità e la sua capacità di osservazione, di farle guardare il mondo con occhi diversi, superando le apparenze, rivolgendo ogni attenzione al cuore delle persone e delle situazioni della vita.
Tra le pagine del libro, si legge di quanto sia possibile e sorprendente cogliere il positivo dove sembra che non ci sia, di quanto quelle che possono rappresentare difficoltà obiettive, diventano occasioni per vedere e capire, anche attraverso i silenzi, l’invisibile. Un invisibile inaspettato, un valore aggiunto, che supera ogni superficialità. La vita al fianco di una persona disabile, quindi, permette di aprire uno sguardo sulla vita più ampio, esteso a ciò che solitamente può sfuggire e che, invece, può far capire cosa realmente conta e la sua essenza.
L’autrice, Giovanna Gallo, ci ha spiegato di più.
Con la narrativa si possono in qualche modo cambiare le regole della matematica perché “46 + 1 = Infinito”?
“Io direi non solo con la narrativa, proprio con la vita quotidiana perché in realtà un opera, un libro rappresenta quello che la persona ha vissuto e sta vivendo e quindi è uno specchio della realtà e non perché sia al contrario ma perché la rappresenta veramente. 46 + 1 è il numero dei cromosomi delle persone down nella fattispecie di Carla, mia sorella, e chiaramente le regole matematiche dicono che fa 47, d’altronde ci sono tantissimi studi proprio su questo cromosoma in più”.
“Infinito perché lo sguardo di una persona down richiama la forma dell’otto capovolto dell’infinito – ha spiegato l’autrice – ed è una scoperta che si è avvicinata nella mia esistenza proprio durante il periodo del liceo, quando il professore spiegava i limiti, c’era il concetto dell’infinito e io che in qualche modo mi chiedevo le cause di questa situazione ed erano spesso chieste da mia sorella, “Perché io così?”, mi è venuta questa spiegazione perché in qualche modo queste persone che hanno una trasparenza, un modo sincero e innocente di vedere la vita sono lo sguardo quindi la porta dell’infinito sul mondo. Il contrario di quello che potevamo pensare e che siamo sempre stai abituati a pensare, come “L’infinto” di Leopardi, quello che c’è di fronte l’infinito mentre noi possiamo essere l’infinito quando perdiamo le sovrastrutture, quando guardiamo gli altri per quello che sono, quando abbiamo la possibilità di vivere con delle persone che ci consentono di darci questi mezzi di visione della vita”.
Il messaggio è, dunque, che le persone con sindrome di Down hanno effettivamente qualcosa in più.
“Certo, hanno qualcosa in più e io ho avuto la possibilità di riscoprirlo perché chiaramente sono vissuta con mia sorella fino a quando non sono andata via di casa e ovviamente la prima parte dell’esistenza di una persona è vissuta con l’inconsapevolezza di quando sei piccola, adolescente. Invece poi quando ti ritrovi per una serie di eventi a rivivere con questa persona, rivivi la tua vita da adolescente della quotidianità, perché l’affetto oppure i contatti non si erano ovviamente mai persi però il quotidiano è diverso, allora veramente ti rendi conto degli strumenti meravigliosi che queste persone ti possono dare”.