Abbiamo letto, riletto e letto ancora le motivazioni con le quali la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai legali del Presidente della Regione, Marcello Pittella, con rinvio al Tribunale del Riesame di Potenza che, con diversa composizione, dovrà adesso riesaminare le motivazioni (tutte contestate dalla Suprema Corte) in base alle quali Pittella – oggi sospeso dall’incarico per effetto della legge Severino – è stato prima costretto agli arresti domiciliari e poi rimesso in libertà ma con il divieto di dimora a Potenza e, in pratica, ancora impossibilitato, dopo cinque mesi, a tornare a svolgere il ruolo di Governatore.
Ci atteniamo agli atti. Scrivono nella motivazione i giudici della Suprema Corte: “Non emergono gravi indizi di colpevolezza, che giustifichino esigenze cautelari a carico di Marcello Pittella”. Dunque: Pittella non doveva essere arrestato. Basterebbe questo per chiedersi: perché, allora, è stato arrestato? Perché è stato costretto a rimanere “prigioniero” in casa per tre mesi se non vi erano i motivi?
Ricordiamo il reato contestato: falso e abuso di ufficio.
Abbiamo troppo rispetto della magistratura per pensare minimamente che ci possa essere stato un motivo politico alla base dei provvedimenti del Gip, prima, e del Riesame, dopo, sebbene qualcuno l’abbia ipotizzato.
Ci atteniamo agli atti.
In merito al provvedimento di custodia cautelare ai domiciliari emesso nel luglio scorso dal Gip, negli atti leggiamo che la Cassazione ha dichiarato fondato anche il motivo di ricorso con cui i difensori rilevavano una “omessa motivazione sulla scelta del Gip di ancorare il giudizio di pericolosità alla probabile candidatura di Pittella alle future elezioni regionali”. “Si tratta con evidenza – conclude la Corte – di uno sconfinamento dei parametri legali che non possono spingersi fino alla possibilità di ritenere adeguata una misura cautelare per comprimere l’esercizio del diritto costituzionale di elettorato passivo”. “Con evidenza”, leggiamo. Se era tale, perché il Riesame ha confermato il provvedimento del Gip?
La risposta la si può desumere dalla stessa motivazione della Cassazione quando, in merito alla reiterazione del reato, gli “ermellini” ritengono che l’ipotesi che ciò possa avvenire – per l’eventualità di nuovi incarichi che Pittella andrebbe ad assumere – “risulta allo stato meramente eventuale e ipotetica, basata su argomentazioni generaliste in ordine all’esercizio illecito di pubbliche funzioni”.
Attenendoci agli atti (e solo ad essi), non ci sembra una forzatura parlare di un caso di ingiustizia.
Che la nostra ipotesi sia fondata o meno ce lo dirà il Riesame e il Gip, quest’ultimo chiamato a decidere, su richiesta dei legali di Pittella, se revocare o meno il divieto di dimora.
I tempi? Si spera presto. Non vorremmo minimamente pensare che questa situazione possa durare fino allo scadere dei tempi per presentare eventuali candidature alle prossime regionali, indipendentemente dalle scelte che dovesse fare Pittella. Perché allora sì, qualche dubbio sorgerebbe.
Intanto, le motivazioni della Cassazione hanno scosso il mondo politico con le truppe di innocentisti e giustizionalisti che probabilmente si riandranno a riposizionare sia all’interno del Pd sia fuori, in previsione di un eventuale ritorno in campo del Governatore. Ma questo era prevedibile.