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Salute

L’umanità è tornata in reparto

USB - Ufficio Stampa Basilicata 18 Gennaio 2019
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Antonella Giacummo per “Il Quotidiano del Sud” – È la paura ad accompagnare ogni passo di chi entra in ospedale. La paura per sé, per un fratello, un figlio, un genitore. Ogni scalino è un sospiro, carico di ansia, dubbi, timori e rimorsi. I lunghi corridoi, tra i quali inevitabilmente ci si perde, sono un continuo accavallarsi di domande e timori, spesso di lacrime e rabbia.
Non amo parlare in prima persona, ma dopo lunghe ore trascorse all’interno del reparto di Ortopedia del San Carlo (non da paziente e assolutamente in incognito), ho osservato, guardato, sentito. E ho pensato. Tanto. A cosa funziona e cosa non funziona in quella che è la principale azienda ospedaliera della Basilicata.
Questo è uno dei tanti momenti di passaggio: c’è stata una nomina, il nuovo direttore generale Massimo Barresi. E, al di là dei legittimi dubbi su come la scelta sia ricaduta sul suo nome piuttosto che su altri più qualificati, c’è una struttura che, come cittadini, dobbiamo difendere e far migliorare.
Perché quando stiamo male, quando abbiamo un timore o un bisogno è a questi medici che ci rivolgiamo, a questi infermieri che chiediamo risposte. E trovarle fa la differenza.
Ho frequentato intensamente il San Carlo per una settimana. Un’immersione oserei dire salutare. Perché l’aria dell’ospedale ti costringe a guardare la realtà da un altro punto di vista. È un bagno di umanità, di ricerca di conforto e solidarietà. In questi corridoi i suoni sono ovattati, si parla a voce bassa, si cercano risposte con gli occhi. E si trovano persone splendide, che ti strappano un sorriso anche quando il dolore ti dovrebbe far pensare a tutt’altro.
Torna così in mente uno dei precedenti direttori generali, Giampiero Maruggi, che ripeteva continuamente che questa struttura doveva mostrare il suo volto umano: quando stai all’interno capisci davvero quanto questo sia essenziale.
C’è tanto da fare, è vero. Negli stessi giorni in cui io vivevo un’esperienza positiva, nello stesso nosocomio è morto un bambino che attendeva di venire al mondo. Cosa sia successo è tutto da verificare, ma è chiaro che quella famiglia, comprensibilmente, non avrà le mie stesse parole positive.
Però, se la cattiva sanità va denunciata, c’è anche una buona sanità che va incoraggiata.
La mia settimana tra le mura del San Carlo ha avuto come punto di riferimento il reparto di Ortopedia, che davvero nulla ha da invidiare a strutture del Nord molto più conosciute. E non l’avrei mai detto: ricordo potentini scappare all’ospedale di Pescopagano anche solo per un gesso al braccio.
Ma, evidentemente, da quei tempi molto è cambiato. Sotto la guida del primario, Rocco Romeo, si effettuano interventi delicatissimi. Per i quali forse i potentini in passato hanno fatto le valige e si sono fatti curare altrove. Ho visto persone operate alla colonna vertebrale sollevarsi dal letto già il giorno dopo. Dopo due sgambettavano nel corridoio. E questo grazie a un medico giovane ma eccezionalmente competente, Michele Bochicchio, attento e premuroso a tal punto da eseguire personalmente le medicazioni.
Ho visto medici sorridere ai pazienti e la caposala e gli infermieri occuparsi di loro con la massima cura. Ho visto, in questo reparto, grande gentilezza e umanità. E i piccoli gesti, anche quello di offrire un caffè d’orzo al familiare che sta accanto al paziente, mostrano come tanto sia migliorato questo ospedale. I pazienti chiamano gli infermieri con il loro nome, come si fa con gli amici. E loro ascoltano, consigliano e rispondono con una battuta. E questo nonostante la grande stanchezza. Perché il personale è poco, meno di quello che servirebbe.
Lo so, tanto si dovrebbe fare per migliorare. Eppure questo reparto ha saputo dimostrare che si può operare in maniera professionale anche qui, a Potenza. Che ci sono specialisti all’altezza, che rimettono in piedi persone che non camminavano più. E la partita, in questo caso, è stata tutta in salita. Perché per i potentini l’Ortopedia non è mai stata un riferimento.

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FONTE: Il Quotidiano del Sud – venerdì 18 gennaio 2019

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