Lunedì 10 ottobre 2022 – Con una lettera appello della presidente dell’Anfaa (Associazione Nazionale Famiglie Adottive ed Affidataria) Frida Tonizzo, si pone l’attenzione sul problema dei neonati abbandonati o, nel peggiore dei casi, uccisi da donne in difficoltà che non possono gestire il problema di essere divenute mamme.
La cronaca spesso ci racconta casi drammatici, sui quali – un aspetto sul quale si sofferma la Presidente Tonizzo – facilmente si esprimono giudizi, senza approfondire le ragioni che ne sono alla base, provocando condanna da parte dell’opinione pubblica.
“Vorremmo fare alcune considerazioni – afferma la presidente Tonizzo – sul delicato tema del ritrovamento di neonati che vengono abbandonati, spesso a poche ore dalla nascita, come di recente accaduto nel Trapanese, e avanzare specifiche richieste ai mezzi di informazione rispetto alla modalità con cui questi drammatici episodi vengono riportati.
Quando avvengono questi ritrovamenti di neonati fortunatamente vivi, oppure, talvolta, ormai senza vita, gettati nei cassonetti o nei bagni pubblici, si solleva nell’opinione pubblica un’ondata di condanna; pochi, però, si interrogano sui motivi che hanno determinato la condotta degli autori di questo atto; pochi pensano alla solitudine in cui le partorienti vengono lasciate in momenti così drammatici della loro vita e al dolore che accompagna questo loro gesto così disperato.
I mezzi di informazione stigmatizzano severamente l’accaduto, ma tralasciano spesso di ricordare che le partorienti, comprese le extracomunitarie senza permesso di soggiorno, che non intendono riconoscere e provvedere personalmente al proprio nato, hanno diritto a partorire in assoluta segretezza negli ospedali e nelle strutture sanitarie, garantendo, in tal modo, a se stesse e al neonato, la necessaria assistenza e le opportune cure.
Com’è noto, – prosegue la presidente Tonizzo – nel caso in cui non sia stato effettuato il riconoscimento, l’atto di nascita del bambino è redatto con la dizione “nato da donna che non consente di essere nominata” e l’ufficiale di stato civile, dopo aver attribuito un nome e un cognome, procede entro dieci giorni alla segnalazione al Tribunale per i Minorenni ai fini della dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge 184/1983. In tal modo, a pochi giorni dalla nascita, il piccolo viene inserito in una famiglia adottiva, individuata dal Tribunale fra quelle che hanno presentato domanda di adozione al Tribunale stesso. Sono circa 350 all’anno i neonati non riconosciuti che, grazie a queste disposizioni, vengono adottati.
Troppe poche volte – denuncia Tonizzo – vengono richiamate le autorità competenti ai loro precisi compiti istituzionali per garantire alle donne in gravi difficoltà la dovuta assistenza prima, durante e dopo il parto.
A proposito delle competenze istituzionali in materia, va segnalato che la Legge 328/2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” all’art. 8, comma 5, ha attribuito alle Regioni il compito di disciplinare il trasferimento ai Comuni o ad altri Enti Locali delle funzioni di cui al Regio Decreto citato.
Alle Regioni compete, quindi, di definire il passaggio ai Comuni o ad altri Enti Locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali occorrenti per l’esercizio delle funzioni suddette.
A tutt’oggi – denuncia Tonizzo – ci sono Regioni che non hanno ancora legiferato in materia ed altre (come Lombardia ed Emilia-Romagna) che lo hanno fatto, attribuendo però a tutti i Comuni tali competenze, non tenendo conto della complessità e varietà delle problematiche coinvolte.
Spesso le partorienti necessitano di interventi specifici, altamente specializzati, legati alla loro difficile condizione, che i piccoli Comuni non sono in grado di garantire.
Inoltre, accanto a gestanti che hanno deciso di riconoscere il loro nato e prendersene cura, potendo contare sul supporto dei servizi socio- assistenziali del proprio territorio e degli interventi sopra richiamati, ci sono anche donne incerte, che non sanno se riconoscere il figlio o meno, e altre ancora che hanno già deciso di non riconoscerlo, avvalendosi del diritto alla segretezza del parto. Infine ci sono donne che non sono a conoscenza del loro diritto di partorire in anonimato e, dunque, non accedono ai servizi preposti.
Al riguardo va segnalata la positiva Legge 16/2006 della Regione Piemonte in base alla quale sono stati individuati quattro Enti Gestori cui sono state attribuite le competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti di queste gestanti, interventi che devono essere forniti su semplice richiesta dell’interessata, indipendentemente dalla sua residenza anagrafica (quindi possono accedervi anche le donne extracomunitarie senza permesso di soggiorno).
Ribadiamo la urgente necessità che le Istituzioni preposte assumano i necessari provvedimenti per garantire alle gestanti in difficoltà il sostegno attraverso personale adeguatamente preparato (psicologi, assistenti sociali, educatori, etc. ) che le aiuti prima, durante e dopo il parto, le accompagni a decidere responsabilmente se riconoscere o meno il proprio nato e le sostenga fino a quando diventino in grado di provvedere autonomamente a se stesse e, se hanno riconosciuto il neonato, al proprio figlio.
Non nascondiamo neppure le nostre preoccupazioni sulla notevole diminuzione – che andrebbe indagata – dei neonati non riconosciuti: in 20 anni sono diminuiti del 49,7%, passando dai 362 del 2000 ai 182 del 2020.
Infine, riteniamo che i giornalisti che riportano queste tristi vicende sui media, dovrebbero astenersi dall’esprimere facili giudizi sulle partorienti che sono state spesso costrette ad abbandonare i loro nati.
Chi per mestiere si occupa di “fare informazione” dovrebbe, invece, fornire precise indicazioni sul diritto riconosciuto a tutte le donne di partorire in anonimato, evidenziando che, per una donna, avvalersi di questo diritto rappresenta una scelta estremamente difficile, che deve essere rispettata e che denota un grande senso di responsabilità verso la vita nascente”.