Se stai a dar retta agli altri non ti muovi più, dice Antonio, e dice che lui subito se ne vuole andare a Roma, ma quando la sveglia ha suonato la mattina alle sei, che doveva andare a Bari per spostare l’iscrizione all’università, lui si è voltato dall’altra parte. Ha rimandato.. domani… poi domani, poi domani. E intanto continua a raccontare di Roma, delle donne: quella con la catena d’oro intorno alla vita, quella con la parrucca, gli occhiali di brillanti, la bionda che beveva, la bruna che lo voleva lanciare nel cinema… le favole. Parla, parla…Tanto che non partirà più tutti l’hanno capito, e pure lui.. Perché? Eh, e ci u sap! Può essere che ad Antonio gli manca qualche cosa, o forse ci manca a tutti noi…. E’ per questo che la vita nostra passa e facciamo così poco, così poco… Oppure può essere che siamo quelli che la razza, il clima, il luogo, la storia hanno voluto che fossimo, come dice quel grand’uomo del Sud. Bah… Antonio continua a parlare di Roma, Francesco continua a parlare della cooperativa; e Roma e la cooperativa sono diventati solo un argomento per chiacchierare, perché qua si chiacchiera tanto. Si chiacchiera… si chiacchiera… Ecco qua!
Era un venerdì sera di pigrizia e sbadigli. Una situazione del genere si scrive «Hygge» e si pronuncia «hoo-guh», ed è il termine danese per la felicità. Una felicità fatta di atmosfera, calore e luce, intimità. Sul tavolino c’erano cartoni di pizza, birre artigianali stappate e bicchieri pieni a metà, un posacenere con un sigaro appoggiato in obliquo, il Pc scarico e l’immancabile Moleskine. Tre metri in avanti c’era la tv accesa e mezzo metro più indietro un divano, una copertina di quelle comprate all’Ikea appoggiata sulle gambe di Anna. Lui stava comodo con le gambe appoggiate sul tavolino basso ed il telecomando poco più in là, sul divano, alla sua destra. In tv mandavano un vecchio film italiano, “I Basilischi”, firmato da Lina Wertmüller. Quel monologo, che non aveva mai ascoltato prima, gli aprì un panorama di riflessioni sul Sud, sul suo racconto e sulle tante narrazioni che, negli anni, sono state fatte su questo pezzo d’Italia. Ma come è possibile- si chiedeva– che per molti il Sud sia ancora la terra del lento sviluppo e del tardo progresso? Si, certamente ci sono lacune immense e le classi dirigenti che l’hanno governato hanno enormi responsabilità, ma è anche vero che qui c’è una straordinaria tendenza all’autoassoluzione da ogni responsabilità, come se le colpe fossero sempre di altri, di un sistema avverso, di tutto un complesso di cose o di un disegno fatto da non si sa bene chi, che ha come unico obiettivo quello di depotenziare e penalizzare il Mezzogiorno.
Con Anna ne parlavano spesso, proprio perché voleva capire se davvero la geografia fosse davvero già un destino, come in tanti sostenevano. Dopo il film e qualche lungo bacio sul divano, andarono a dormire. Il giorno dopo la sveglia era fissata alle 8, con una destinazione fissata già sulle mappe: Napoli. Per il viaggio aveva preparato una playlist particolare, con detro canzoni della scena indie italiana, la trap di LIBERATO, il rock dei The National e la bossa nova di Vinicius de Moraes. Il viaggio di andata fu meno lungo del revisto, forse per via della musica, o forse perché non smisero un attimo di parlare. Arrivati a Napoli, dopo aver parcheggiato l’auto in via Nardones, si diressero subito nel B&B di via Chiaia. Fatto il check-in, entrarono in camera e ne uscirono dopo più di due ore. Forse per il caldo sole della primavera che era scoppiata all’improvviso, forse per la luce calda che splendeva dentro i vicoli e sulle pareti della loro stanza, ma in quel pomeriggio l’amore aveva trovato un luogo perfetto, ideale, un tempo bellissimo dove abitare e svelarsi in tutta la sua forza, con tutta la sua passione.
Uscirono di lì che era già ora dell’aperitivo, ma la tentazione di un gelato era così forte che si fermarono più di un quarto d’ora in fila in una di quelle ottime gelaterie di via Toledo, prese d’assalto da turisti e golosi. Preso il cono, si incamminarono verso la Napoli interiore. Entrarono decisi nei Quartieri, attraversando un pezzo di Spaccanapoli, e furono accolti da odori mediterranei e una luce abbacinante. Per strada ragazzi vestiti à la trap, un po’ Ghali e un po’ Sangue Blu di Gomorra, ascoltavano musica e fumavano sigarette arrotolate. Su qualche cartello stradale resistevano ancora gli sticker di Clet Abraham. Anna gli raccontava Napoli, le storie della signora muta che realizzava fiori di carta, le librerie di Port’Alba, Piazza Bellini e le stratificazioni orizzontali dei suoi palazzi, ormai color smog.
Si sedettero su una panchina di legno, di quelle consumate dal tempo e dall’incuria. Alla loro sinistra si apriva un muro di finestre, pietre e cemento, in basso locali dall’arredamento ibrido, non decifrabile, e che servivano negroni e finger food ai giovani seduti comodi tra militari e fumo di sigarette. Dopo un po’ si alzarono e andarono verso il ristorante di un’amica di Anna, un architetto diventata chef per passione. Attraversarono via San Sebastiano, la strada degli strumenti musicali, mentre la sera spegneva la luce del tramonto. Entrati nel ristorante, furono accolti con i sorrisi della proprietaria ed un ottimo bicchiere di bollicine italiane. Loro sorridevano, intorno accenti francesi coloravano l’atmosfera e rendevano questa notte napoletana ancora più speciale. Un ragazzo con il taglio neomelodico e lo sguardo da playboy intonò le note di “Malafemmina”, conquistando subito le attenzioni dei turisti e dei camerieri. La magia di Napoli si era compiuta, ogni cosa era tornata al suo posto. Le mani di Anna intrecciavano le sue, le parole erano lente e senza fretta, il tempo sembrava dilatato e più dolce, lo spazio non contava più nulla. Quella notte l’amore fu un atto poetico e sublime, romantico e appassionato. Al risveglio, decisero di andare verso il mare, a Mergellina, alla ricerca dei luoghi dei videoclip di LIBERATO e delle atmosfere che li hanno resi celebri e così diversi da ogni altra cosa. Dopo il pranzo, consumato in riva al mare, si avviarono senza fretta verso Potenza. Avevano vissuto l’amore, si erano lasciati attraversare senza opporre resistenza, toccandolo a piene mani. Qualcosa di nuovo era successo, lo sentivano. Forse un tempo nuovo era davvero iniziato.