La verità. Provando ad anagrammare questa locuzione potremmo scoprire una ventina di soluzioni possibili, divertenti, ma tre di queste sono particolarmente considerevoli: rivelata, rivelata, evitarla. Ad ognuna di queste tre possibili soluzioni corrispondeva una domanda. Domande alle quale potresti impiegarci una vita per dare la risposta, ma lui aveva solo il tempo del viaggio di ritorno per trovarne una e che fosse giusta.
Che fare, si chiese. Dire la verità o far morire tutto quello che era successo pochi giorni prima con Veronica? E che senso aveva ancora, nella sua vita Veronica? Certo, il fuoco per Veronica si era spento da molto tempo e per nulla al mondo sarebbe rimasto immobile ad adorarne la cenere. Seduto al post 33 della carrozza 4, con in mano il suo quadernino degli appunto distratti e frenetici, ascoltava dalle cuffie tutta la colonna sonora di “A Single Man” il film d’esordio di Tom Ford , basato sul romanzo, altrettanto bello, di Cristopher Isherwood, “Un uomo solo”. La colonna sonora, scritta da Abel Korzeniowski e Shigeru Umebayashi, era da sempre un riparo per i suoi pensieri, una sorta di camera segreta dove si ritirava quando il peso del dolore e degli affanni si faceva sentire più duro e tagliente del solito. Prese una di quelle penne piccole e con l’inchiostro nero incise delle parole su foglio bianco del taccuino.
I giorni passano senza nemmeno poterli afferrare, senza respirare a pieni polmoni e sentire sulla pelle il colore ed il sapore delle ore. In fretta e senza avvisare, passa il tempo che non sembra nemmeno più il tuo. Ti sorprendi a guardarti nuovo, senza aver ancora cambiato pelle. Il tempo, dicevo, sfugge. Così inizia il tempo del ricordo, delle emozioni che ancora si sentono pure, come l’ambra sulla pelle. Vorresti provare a fermarlo, il tempo, per afferrare con le mani il momento e l’istante in cui è cambiato definitivamente e domandargli il perché. Ma è tempo e non è carne e sangue, e a quella domanda non risponderà mai. E nemmeno tu, dopo mille domande, sai risponderti.
I suoi erano scritti veloci, lasciati liberi di scorrere sul foglio e di fluire nel sangue come ossigeno puro e rigenerante. Nella sua Moleskine raccoglieva tutto, cocci di vita, sua e degli altri, e pezzi di vetro che un giorno gli sarebbero serviti, diceva. Ne portava sempre un’altra con sé, quella dedicata agli appunti di lavoro che, ogni sera, riportava in digitale e riponeva nel cloud. Il treno arrivò puntuale. Ad aspettarlo, al binario due, c’era Anna. Era il 10 aprile, la notte in cui la Roma, la sua Roma, giocava la partita di ritorno contro il Barcellona per accedere alla semifinale di Champions League. Un’impresa impossibile, difficilissima perché partivano in svantaggio dopo la gara del Camp Nou. Per nulla al mondo avrebbe rinunciato a vedere la partita, anche una partita come questa che si preannunciava una disfatta per la sua squadra del cuore. Ma quella sera, mangiato dal senso di colpa, disse ad Anna che l’unica cosa che voleva era stare con lei. Anna, sorpresa da questa sua scelta, prenotò due biglietti per uno spettacolo teatrale, una sorta di reading poetico à la Carmelo Bene, in una piccola sala della città. Un bacio, un abbraccio, il gomitolo di asfalto e poi l’ingresso in sala. Spense il telefono per non guardare la partita, come gesto estremo, come se fosse la giusta pena dopo il peccato. Lo spettacolo durò il tempo della partita, esattamente novanta minuti. All’uscita accese il sigaro ed il telefono. Diede un’occhiata a Twitter e lesse il risultato finale: Roma- Barcellona 3 a 0. Si sentì il cuore esplodere in gola, le mani non riuscivano a stare ferme, le gambe gli tremavano dalla gioia. Prese Anna in braccio, la riempì di baci fregandosene che lì con loro c’erano altre persone. Era un fiume potente e veloce di gioia, un vulcano di felicità. L’impresa eroica era stata compiuta. La Roma, la sua Roma, tornava tra le grandi d’Europa mettendo al tappeto una delle più grandi di sempre. Sui social era un continuo flusso di foto e video, di sorrisi e Daje!, di cori e bandiere. Pensava ai suoi amici che sicuramente erano scesi in piazza a festeggiare.
Anna lo guardava estasiata, con gli occhi felici come se avesse vinto anche lei quella sera. Ogni cosa era lontana, ogni dolore era un lontano ricordo, tutte le pene del passato era state spinte via dal colpo di testa di Kōstas Manōlas, il ragazzo di Nasso che aveva messo alle spalle del portiere del Barça il terzo ed ultimo gol della partita. Si salutarono, Anna lo lasciò andare da solo perché aveva capito che quello doveva essere un momento tutto suo. Arrivato, accese subito la televisione, si lanciò sul divano e ci rimase per almeno due ore a rivedere ogni momento perso di quella notte magica. Momenti così non ce ne sono molti nella vita di un tifoso. Ripensò a quando era bambino, allo scudetto di Totti e Batistuta, a tutte quelle volte in cui aveva visto gli altri vincere. Era felice, talmente felice che non riusciva a nascondere le lacrime dalla gioia.
Anni ed anni di sconfitte e amare delusioni e poi, finalmente, in una notte di Aprile, l’incanto. Per qualche ora si dimenticò di Veronica, di quello che era successo, delle parole che avrebbe dovuto dire ad Anna e del peso che sentiva addosso. Prima di andare a dormire, era già passata la mezzanotte, e mentre sceglieva la cravatta per il giorno, come un lampo un pensiero lo illuminò. Si disse che non avrebbe mai detto nulla ad Anna di quel giorno con Veronica, che quello che era successo a Roma non aveva alcun peso per il suo cuore, e che tanto, tra qualche mese, anche la relazione con Anna sarebbe entrata nel catalogo delle sue nostalgie. Andò a dormire, sicuro della sua scelta e felice per la vittoria della sua Roma. T
utto gli sembrava perfetto, ogni cosa era al suo posto. Ma la vita ha sempre un piano b di riserva pronto a sorprenderti.