Ci ha scritto Paola Castellucci per raccontarci la sua disavventura di utente di Trenitalia. Lo fa con un pizzico di umorismo. Il titolo che ha dato alla sua lettera dice tutto:Aspettando Godot… Ah no, stavolta è un Intercity
Pubblichiamo la lettera.
“Trenta. Quindici. Cento. Centoquaranta. Centocinquanta. No, non sto “dando i numeri”: sono le cifre apparse ieri, 1 febbraio 2018, sul tabellone al binario 2 della stazione di Potenza Centrale indicanti il ritardo del treno.
Ma facciamo un passo indietro. Sono le 15:54: l’Intercity proveniente da Taranto e diretto a Roma Termini sarebbe dovuto partire in questo momento, ma la metallica voce dell’altoparlante annuncia che il treno porta un ritardo di 30 minuti. Va bene, succede spesso alle nostre simpatiche ferrovie italiane (anche se non dovrebbe). Mi metto l’anima in pace, mi trasferisco nella sala d’aspetto della stazione e attendo. Passa un quarto d’ora e il tabellone segnala che il ritardo è sceso a 15 minuti. Mi precipito, quindi, sulla banchina, ma dell’Intercity ancora nessuna traccia. Per farla breve, il treno arriva con un ritardo che è anche superiore ai 30 minuti inizialmente annunciati.
Salgo, sbuffando, in carrozza, insieme agli altri passeggeri che, come me, si sono congelati al vento del pomeriggio potentino. Mi sistemo e sono pronta, finalmente, a partire. O almeno così penso, finché: “Gentili passeggeri, vi comunichiamo che il treno è fermo nella stazione di Potenza Centrale”. Grazie dell’annuncio, non ce n’eravamo accorti.
Chiedo alla ragazza di fronte a me se si sappia qualcosa. Nulla. Ovviamente, nessuno si è preoccupato di spiegare ai poveri viaggiatori tarantini perché abbiano dovuto aspettare l’Intercity 40 minuti nella stazione di partenza, ed essere poi costretti a prolungare l’attesa in quella di Potenza per un tempo indeterminato.
Dopo un po’ il velo di mistero pare alzarsi e la solita voce metallica comunica che il treno è fermo per via di un ostacolo sui binari nelle vicinanze di Sicignano. Ottimo. Che ostacolo? A meno che non alzi il sedere e scendi (al freddo) per chiederlo di persona non ti è dato di saperlo (intanto i minuti di ritardo galoppano: 60, 70, 100!).
Un albero. Un albero è caduto sui binari e blocca la strada. Per lo meno, questo è quello che è stato comunicato al capotreno. Anzi, a detta dello stesso, spesso è più facile scoprire cosa sia successo veramente andando su Google, perché sul loro sistema computerizzato risulta solo “ostacolo”. Andiamo bene.
Ormai siamo arrivati a 140 minuti e tutti ci chiediamo se effettivamente riusciremo ad arrivare nella capitale entro la fine della giornata. Bambini che si lamentano e corrono da una parte all’altra, gente che scende sulla banchina a fumare nervosamente. C’è persino una famiglia che, non abituata a viaggiare col treno, si preoccupa di come farà, una volta giunta a destinazione, a raggiungere i dintorni di Roma: “Dobbiamo prendere un autobus da Anagnina”. Di notte, con i bambini piccoli? Il capotreno (persona gentilissima, devo dire) li informa che, in questi casi, da regolamento i viaggiatori possono gratuitamente usufruire del servizio taxi riservato ai funzionari Trenitalia in prossimità delle grandi stazioni. Davvero? Rimaniamo tutti stupiti, non lo sapeva nessuno. Ma non solo: il capotreno aggiunge di essere tenuto, nell’ultima tratta del viaggio, a proporre questa opzione ai passeggeri di modo da potersi organizzare con il servizio taxi. Prendo il treno da anni, di ritardi ne ho subiti vari, anche parecchio consistenti; mai un capotreno che, nell’ultima tratta, mi abbia proposto questa alternativa. È mai possibile che queste cose ci vengano comunicate solo se espressamente richieste? Perché non annunciarlo con la consueta metallica voce dell’altoparlante?
Ma torniamo a noi. Dopo un breve intervallo in cui ci viene prospettata la possibilità di essere tutti trasferiti su un autobus sostitutivo, all’alba delle 18:13, un’altra voce (questa volta non metallica, ma di un funzionario Trenitalia in carne e ossa) ci informa che la linea elettrica è stata ripristinata e che siamo, quindi, pronti a partire.
La nostra odissea si conclude alle 23:11 quando, finalmente, dai finestrini intravediamo la scritta: Roma Termini. Saremmo dovuti arrivare alle 20:34. La cosa più triste è che non è la prima volta che ritardi del genere avvengono su questa tratta. Due settimane fa, lo stesso treno porta 50 minuti di ritardo. Il 30 novembre, l’Intercity delle 8 porta quattro ore. Poco male che per ritardi superiori ai 60 minuti è possibile ricevere un rimborso del 25%, o su quelli superiori ai 120 minuti un rimborso del 50%. Vale davvero la pena rovinarsi una giornata e il fegato per una tratta di meno di 400 chilometri (da Potenza a Roma)? Credo che su quel treno tutti siamo giunti alla stessa conclusione: “La prossima volta prendo l’autobus!”