Il sabato mattina, dopo una colazione ed un giro in via Pretoria per cercare una casa da affittare, tornò in albergo e si preparò per la corsa. Non aveva un abbigliamento adeguato e si vestì con abiti comodi e leggeri. Era una giornata di sole a tradimento, di quelle che l’autunno conserva come regalo dopo una settimana di lavoro e frustrazioni. Per lui era stata la prima settimana senza Veronica, e, per non sentirne troppo il peso, si era tuffato a capofitto nel lavoro e nella vita mondana che gli offriva la città. Usciva tutte le sere, si alzava ogni mattina alle 7, andando a dormire che era già passata la mezzanotte. Aveva conosciuto già altre persone: un avvocato quarantenne di talento e la sua amica bellissima che gestiva il reseller di un famoso brand di Cupertino, con loro aveva trascorso una bella serata in una birreria del centro, a parlare di musica, concerti e arte contemporanea. Si era sorpreso a toccare con mano l’ospitalità dei lucani, gente fiera e sincera, pronta ad aprirti casa per farti sentire il benvenuto. Ora però era arrivato il momento di montare sulla bici e solcare l’asfalto della città. La sua fortuna è che partiva da uno dei punti più alti della città. La sfortuna è che dopo tante discese sarebbero arrivate le salite. C’era da scrivere una pagina nuova della sua nuova vita senza Veronica: lui solo questo voleva.
Aspettò l’arrivo di Riccardo facendo un paio di giri su e giù lungo il viale che dall’albergo portava ad una piazza crocevia del centro. C’erano delle piccole buche lungo la strada e quelle ruote così piccole e sottili le soffrivano male. Gli tremavano le braccia ad ogni piccola vibrazione del manubrio, i freni erano in basso e per tirarli bene doveva curvare la schiena il più possibile per garantire una presa sicura. Si allungò fino ad una bella salita prima della curva che porta nella parte antica della città, ma subito si fermò per rifiatare e bere dell’acqua. Era dura, molto dura, più del previsto. Prese il telefono dalla giacca che portava sbottonata per il caldo che sentiva. Guardò tra i messaggi e ne trovò due: uno era di Riccardo, vocale, che lo informava del suo imminente arrivo, l’altro era di Veronica. Nessun testo, solo un link ad una canzone: “Ad occhi chiusi” dei La Crus. Indossò gli auricolari, cliccò sul link e ascoltò quella canzone. Le prime parole furono un duro colpo in petto:” Io non capisco se l’amore sia ferita o cura tra di noi. E se il privarci di carezze potrà salvarci oppure no”. L’ascolto tutta, mentre con la bici a passo lento scendeva verso l’albergo dove avrebbe trovato Riccardo ad aspettarlo.
Per fortuna quel languore misto a nostalgia durò poco, erano arrivate le prime pedalate e le prime discese. La corsa era iniziata. Curve disegnate con il compasso, buche evitate con grande stile, uno stile da passista come non se ne vedevano da tempo. Riccardo era bravo e si vedeva, lui, invece, aveva già dolore alla schiena ed alle gambe. Si fermarono in un punto, poco prima dello stadio. Un rapido sguardo ai telefoni, un sorso di acqua ed iniziarono a risalire. Ognuno con il suo passo. Indovinate un po’ come andò a finire?
“Tieni la destra, non ti preoccupare di andare veloce. Tieni il tuo passo, le macchine aspettano”
“Ma quando finisce questa salita, sto morendo.”
“Zitto e pedala, sprechi solo energie così”
“Aspetta, non ce la faccio. Mi scoppia il cuore!”
“Fermati, io vado più avanti. Ciao lumaca!”
“Aspettami, oh! Non conosco le strade…”
“Stai sereno, ci vediamo tra un po’”
“Stai sereno un tubo…”
Lo raggiunse dopo un quarto d’ora.
Stanco, sudato, con la faccia stravolta e le mani arrossate. Non sentiva più le gambe, aveva già dolori ovunque e tanti altri sarebbero arrivati il giorno dopo. Ma ce l’aveva fatta. La salita che dal Liceo classico spuntava in piazza XVIII Agosto e poi su, fino a piazza Matteotti erano tutta sulle sue gambe. Scese dalla bici senza dire una parola. Le endorfine iniziavano a farsi sentire nel sangue e sotto la pelle. Non riusciva a pensare a nulla tanto era stanco. Incredulo della strada fatta, si guardava attraverso le grandi vetrate dei negozi alla moda del centro, sgranando gli occhi e cercando l’ombra. Il pensiero di Veronica, quel suo messaggio, le parole di quella canzone, lo avevano felicemente abbandonato. Si sentiva libero, di una libertà immediata e totale. Riccardo lo guardava, gli sorridevano gli occhi, con il cellulare fece una foto e la postò su Instagram. I due entrarono in un bar per bere del thè ed un succo di frutta, i passanti li guardavano come degli extraterrestri sbarcati per sbaglio in città.
Vero, non è proprio d’abitudine vedere ciclisti in questa città, ma questo non giustifica comportamenti di insofferenza come quelli dimostrati. Per non parlare degli autisti, senza alcun rispetto per i ciclisti e senza alcuna disciplina. Quella che un tempo era chiamata la città dell’apparenza si era trasformata, nel tempo, nella città dell’indifferenza. Riccardo questo lo sapeva bene, avendolo sperimentato più volte sulla sua pelle, e non solo da ciclista urbano, ma per lui fu un’assoluta novità. Poco incline al cambiamento, quasi o per nulla predisposta al nuovo e al diverso. Erano tante le sacche di resistenza che si celavano nel tessuto sociale della capoluogo di regione più alto d’Italia, ma per uno che veniva da Roma fare una cernita e scegliere con chi costruire relazioni e mantenere rapporti era la cosa più facile da fare.
Si riposarono il giusto, seduti a quel tavolino all’aperto di piazza Maffei. Si riposarono talmente tanto che il sudore gli restò addosso tra la t-shirt e la pelle, asciugato dal sole e dal vento che tirava lì fuori. Non fu affatto una buona idea quella: nel pomeriggio, dopo un sonno elegantissimo, iniziò a starnutire senza soluzione di continuità. Andò in farmacia, prese del paracetamolo da banco e tornò in camera aspettando che il farmaco facesse il suo effetto. Quella sera gli salì la febbre a 38, ma nemmeno l’alta temperatura ed un sabato sera passato nel letto riuscirono a smontargli l’entusiasmo per questa nuova e bella esperienza che aveva fatto.
E che era solo all’inizio.