Prima i bisogni di salute dei lucani. Si parta dai contenuti e non dal contenitore
Un disegno di riordino che nega il diritto alla salute dei lucani. Un mero esercizio burocratico per rimettere mano ai solo assetti di potere all’interno delle aziende sanitarie.
Lunedì 6 luglio 2020 – CGIL, CISL e UIL esprimono un giudizio ed una valutazione di profonda insoddisfazione per
il modello di riordino della sanità lucana presentato di recente con un disegno di legge della
Giunta regionale.
Di seguito il Manifesto presentato oggi dalle tre sigle sindacali a Potenza.
Una manovra di riordino che si configura ed appare come un mero esercizio burocratico, un
semplice “aggiustamento” teso a rimettere mano agli assetti di potere delle Aziende
Sanitarie e Ospedaliere. Così non va!
Dopo tanti mesi di immobilismo ed a ridosso di un’emergenza sanitaria senza precedenti, il
governo regionale non può pensare a “rimpicciolire” le questioni, cavandosela con un
riordino avulso da quel modello di nuova e diversa sanità che l’emergenza pandemica
richiede.
L’impianto del disegno di legge, infatti, è carente di visione politica strategica, della
capacità di lettura dei nuovi processi socio-sanitari e non coglie l’aspettativa di larghi strati
dell’opinione pubblica e dei cittadini, per avviare una svolta vera nello “stato attuale delle
cose” del Servizio sanitario regionale.
CGIL CISL e UIL sono convinte che occorra altro e chiedono con forza e convinzione al
Presidente Bardi che si cambi l’impostazione e si ripristini il metodo ed il merito della buona
programmazione sanitaria, di guida e di orientamento basilare dell’insieme del sistema,
superando coraggiosamente ogni raffazzonato comportamento che genera ormai nella
comunità regionale incertezza e confusione.
Lo richiedono, esprimendo la convinzione che si possa ancora modificare l’impostazione
prospettata nel disegno di legge in questione. Nel qual caso, responsabilmente, le
Confederazioni avrebbero spazio e condizioni nuove per offrire un contributo costruttivo al
miglioramento del sistema sanitario, secondo un modello di compartecipazione.
Occorre ripartire dalla programmazione, dalla lettura dei bisogni di salute e dei suoi
determinanti per poi pensare alla conseguente architettura della governance che non può
prescindere dalla tessitura di una stretta correlazione tra medicina primaria, territoriale e
ospedaliera. Scelte diverse rischiano di non essere rispondenti alla domanda di salute dei
cittadini lucani.
L’emergenza pandemica, con il suo portato di possibili recrudescenze, impone elementi e
sfide nuove rispetto a qualunque altro impatto sulle strutture socio-sanitarie.
Occorre ripartire da un “punto zero”. Il contesto è mutato. Non serve il ripristino dello status
quo ante crisi. È uno spreco di opportunità, rafforza sistemi di gestione rigidi, burocratizzati
legati a precedenti logiche di taglio finanziario e di parametri fissi (DM 70), dimostratisi
concausa di tante criticità e dell’abbassamento dei livelli di prestazione e di protezione del
cittadino utente.
Bisogna reintegrare la centralità ed il benessere del paziente, in un nuovo rapporto con i
servizi aziendali, valorizzando insieme il benessere professionale ed umano degli operatori
sanitari.
Riprendendo il filo delle garanzie di universalità e gratuità del SSN/R e ritarando l’offerta
complessiva dei servizi, con la dovuta flessibilità e variabilità, incluso il valore riscoperto dei
presidi più piccoli, sui quali decentrare più funzioni, insieme ad una riorganizzazione più
efficace dell’ambito territoriale.
Ora è evidente che la paventata distinzione, nel disegno di legge della Giunta Bardi, tra due
uniche grandi aziende, una di tipo ospedaliero, l’altra territoriale, è di per se portatrice di
separatezze, di logiche di iperspecializzazione e di eccessiva verticalizzazione delle
decisioni.
Il progetto Bardi riprende ed accentua formule organizzative di netta divisione tra
committente e produttore, già introdotte negli anni precedenti con la Legge Regionale n.2
del 2017, specie su scala provinciale di Potenza; un modello peraltro dettato da motivazioni
di contenimento delle risorse e dalla ricerca di un equilibrio meramente finanziario nel
bilancio dei singoli presidi.
Questa impostazione (divisione tra committente-produttore) non può più reggere ora!
La distinzione è superata anche perché la prima questione evidenziata dal Covid-19 è
che la risposta ospedaliera da qui in avanti deve guardare oltre la mera logica di
contenimento e riduzione della spesa. L’ospedale deve, invece, articolarsi ed ampliarsi in
una progressiva sinergia ed integrazione con le funzioni territoriali. È stato dimostrato che
l’efficacia delle misure di contenimento è strettamente legata alla capacità di risposta della
sanità territoriale, specie per i percorsi di cura a bassa complessità.
Appare, inoltre, significativo e degno di considerazione che il modello “diviso in aziende
committenti e di produzione” è in superamento in Regioni come il Friuli e nella Provincia di
Ferrara.
In Basilicata, invece, si adombra la costituzione di un’unica azienda di “produzione”
ospedaliera (1600 posti letto per acuti) che di fatto drenerà risorse a scapito del territorio,
con un accentramento su base ospedaliera di risorse umane, tecnologiche ed economiche
del sistema sanitario regionale ed una residualità di quelle da attestare alle attività
territoriali sanitarie e socio-sanitarie.
Il semplice e meccanico riaffidamento ex lege all’azienda ospedaliera San Carlo di alcuni
plessi ospedalieri ripropone, inoltre, tutti i suoi limiti: di fatto un depauperamento degli altri
ospedali con un appiattimento verso il basso delle funzioni della stessa azienda
ospedaliera, quando invece occorre sospingere e sviluppare la produzione delle alte
specialità, affinando ed elevando la caratura delle prestazioni con strategie e proiezioni più
incisive e sfidanti.
Il fulcro di un rinnovato sistema sanitario deve essere il distretto/ambito e quindi l’azienda
territoriale, luogo di programmazione e produzione dei servizi sanitari, in grado di prendere
in carico il cittadino utente attraverso il potenziamento dell’assistenza domiciliare e il
rafforzamento delle USCA. Una presa in carico multidisciplinare, con un reticolo
assistenziale in grado di valorizzare e potenziare l’assistenza domiciliare in una logica di
prossimità verso le persone, con modelli innovativi, in specie legati alla prevenzione, agli
stili di vita, alla multicronicità.
Decisiva è la regia rafforzata dei servizi a bassa soglia di accesso (pediatri, medici di
famiglia, medici di continuità assistenziale, consultori familiari, centri vaccinali, centri di
diabetologia, servizi socio-sanitari per anziani, disabili, sofferenti psichici, tossicodipendenti,
ecc.) che già rappresentano il punto avanzato del sistema sanitario lucano.
Occorre definire un assetto certo della continuità assistenziale, strutturato “a scorrimento”
ospedale-territorio, con le dimissioni protette, i percorsi diagnostico-terapeutici, la medicina
d’iniziativa e rafforzando le strutture intermedie tra domicilio, servizi territoriali e ospedalieri.
Questi ultimi resi integrati per macro aree trasversali fino alla assistenza dei pazienti negli
ambulatori specialistici distrettuali di base e con la ricentratura degli ospedali di base
rafforzati, sia per le attività di PSA che per le attività ordinarie medico chirurgiche, ricalibrate
,ove possibile, anche in funzione specialistica.
In definitiva bisogna accogliere e non rinunciare a sperimentare proprio in Basilicata un
modello eccellente di “sanità-sociale”, integrato e non scisso tra ospedale e territorio, come
viene anche affermato e profilato nel recente Patto per la Salute e negli indirizzi del
Ministero della Salute, che dispone finanziamenti consistenti verso l’assistenza domiciliare
e territoriale, il reclutamento di medici, assistenti sociali ed infermieri di comunità.
Nel contempo CGIL, CISL e UIL rivendicano che la Regione acceleri la piena ripresa delle
attività in sicurezza, pena una nuova emergenza più grave di quella da Covid, con danni
per la salute di pazienti cronici, oncologici, polipatologici a rischio di danni irreversibili,
senza cure e follow up.
La Regione deve formulare un vero Piano riorganizzativo degli ospedali, in relazione
all’incremento significativo che lo Stato ha deciso per le terapie intensive e sub intensive,
oltre che per i reparti di infettivologia e pneumologia.
Queste due manovre devono essere intrecciate allo schema di Piano regionale sociosanitario che deve dettare la cornice di valori e di mission rivisitati del Sevizio Sanitario
Regionale, con una corretta ed aggiornata lettura dei bisogni e dei determinanti di salute,
oltre che di una avanzata indagine epidemiologica per ricavare gli scenari futuri di
riconfigurazione dei servizi.
I motori sono l’integrazione socio-sanitaria, la realizzazione “vera” del distretto della salute,
la continuità ospedale-territorio, l’approccio territoriale alle cure con quelle dell’ospedale,
ovvero di medicina generale e specialistica con un servizio di emergenza urgenza del 118 a
fare da cerniera tra la medicina territoriale e il sistema delle acuzie.
Una comunità integrata che assicura e presidia i percorsi di cura dei cittadini.