Così si legge in una nota del presidente della Commissione Regionale Pari Opportunità della Basilicata, Angela Blasi, che prosegue ricordando le parole della partigiana Marisa Rodano durante le celebrazioni del 25 aprile in Parlamento, una figura, quella della Rodano, che solo dopo molto tempo dalla Liberazione è uscita dalla dimenticanza. Si era sempre parlato di donne che avevano aiutato i partigiani: li avevano curati, nascosti, avevano fatto le staffette, recapitando messaggi e materiale di propaganda. Si conoscevano le rivolte organizzate dalle donne per tentare di salvare mariti fatti prigionieri o per impossessarsi di farina o altro per sfamare i propri figli. Si sapeva dei pericoli corsi dalle donne per nascondere famiglie ebree. Ma niente o poco si sapeva delle donne partigiane, di quelle che avevano imbracciato il fucile ed erano andate a combattere il nemico, come gli uomini, insieme agli uomini.
A queste donne si voleva impedire di sfilare per le strade di Milano con le armi in pugno nel giorno della liberazione della città.
Forse si temeva, in una società come la nostra a quei tempi, che quella figura di donna potesse diventare un modello troppo forte per le donne del dopoguerra. E le donne sono state zitte per troppi anni.
Soltanto molto tempo dopo la Liberazione, durante la stagione del femminismo, si è dato inizio ad una vera e propria ricerca storica, raccogliendo testimonianze e fatti attorno alla presenza delle donne nelle formazioni combattenti.
Si è finalmente scoperta un’esperienza femminile straordinaria che ha saputo coniugare la speranza di libertà dalla tirannide, dalla guerra, ma anche da un ruolo subalterno, da un obbligo al silenzio sui propri desideri, sui propri sentimenti.
Il femminismo ha evocato spesso questo silenzio delle madri su quei fatti fondamentali per il nostro Paese, alle madri il movimento delle donne ha promesso una nuova liberazione, ma per farlo le donne avevano bisogno di riscoprirle, di riscoprire le partigiane e di farle parlare.
Come ha parlato la partigiana Marisa Rodano di cui vogliamo qui riprendere solo alcuni passaggi.
“E’ nella Resistenza che le donne italiane, quelle di cui Mussolini aveva detto “nello stato fascista la donna non deve contare”; alle quali tutti i governi avevano rifiutato il diritto di votare,trovano la possibilità di partecipare alle decisioni da cui dipendeva il loro destino e quello dei loro cari, entrano impetuosamente nella storia e la prendono nelle loro mani. Nel momento in cui tutto è perduto e distrutto – indipendenza libertà pace – e la vita, la stessa sussistenza fisica sono in pericolo, ecco le donne uscire dalle loro case, spezzare vincoli secolari, e prendere il loro posto nella battaglia, perché combattere era necessario, era l’unica cosa giusta che si poteva fare. Dalle masse femminili veniva al moto resistenziale un patrimonio di valori e ideali tramandati nella famiglia e che confluì nella Resistenza: un innesto di valori e tradizioni diverse, di esperienze tra loro lontane che, nella Resistenza si venne strutturando come movimento unitario, nazionale: i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà. La Resistenza ha contribuito a far sorgere una comune coscienza nazionale tra donne di differenti ceti sociali, di diverso livello culturale ed orientamento ideale, e, al tempo stesso, a far loro acquisire una nuova consapevolezza del proprio ruolo sociale e l’aspirazione a conseguire pienezza di diritti e di cittadinanza”.
Non a caso i GDD affermavano che “logica conseguenza della partecipazione delle donne alla Resistenza dovesse essere il diritto di voto.”
Oggi non si tratta più di battersi per il diritto di voto, ma per una giusta presenza delle donne nelle istituzioni e nella vita politica e quindi per una legge elettorale che rispecchi tale esigenza.
Oggi abbiamo l’obbligo di portare avanti quelle battaglie per non far rientrare nel silenzio le partigiane e le tante donne che hanno combattuto per il nostro futuro.