Martedì 14 marzo 2023 – Presentata ieri a Potenza la ricerca “Via dalla Basilicata: necessità o scelta?”, rivolta ai lucani che sono andati via dalla Basilicata negli ultimi 20 anni.
Scopo dell’iniziativa dell’Associazione Libera Università delle Donne (LUD) di Potenza, di Potenza, in collaborazione con il Corso di Sociologia Economica e il Laboratorio SNALab del Dipartimento di Studi Politici e Sociali dell’Università di Salerno è quello di indagare il fenomeno della migrazione giovanile e della denatalità nella nostra regione.
Sull’indagine l’intervento di Davide Bubbico, ricercatore nel Dipartimento di Scienze economiche e statistiche dell’Università di Salerno.
“La ripresa dei flussi migratori dalla Basilicata verso altre regioni italiane e verso l’estero è divenuta ormai un fattore strutturale del comportamento demografico della popolazione regionale. Non si tratta naturalmente di una novità e neppure di una ripresa recente considerato che già negli anni 90 l’aumento delle cancellazioni anagrafiche andava costruendo un saldo migratorio a sfavore della popolazione residente. E non si tratta, va detto, di una problematica che investe solo la Basilicata ma il resto del Mezzogiorno e molte aree interne delle regioni centro-settentrionali.
Eppure, credo che una spiegazione basata unicamente su motivazioni che attengono al mercato del lavoro, o meglio all’insufficiente domanda di lavoro, sia di per sé insoddisfacente, o perlomeno lo sia in misura crescente guardando a ciò che sta accadendo negli ultimi anni. Ciò significa che dalla Basilicata non si emigra più per motivi di lavoro ma per altre ragioni? Non è questo il punto, la debolezza della domanda di lavoro (in particolare di quella qualificata) collegata ad un contesto sociale e istituzionale debole (dalla qualità dei servizi pubblici e privati alla prevalenza dei legami corti in molti contesti, a partire da quelli che riguardano i meccanismi di ingresso nella PA ma anche nella stessa regolazione della domanda privata di lavoro), può essere un elemento che concorre sempre più congiuntamente alla maturazione della scelta migratoria.
C’è spesso una retorica sull’importanza dei legami con il territorio che molte volte dimentica una spiegazione più complessa dei movimenti migratori. Le recenti migrazioni, come quelle che interessano la Basilicata vanno inserite in un contesto più ampio che è quella della mobilità della popolazione, dalle aree interne alle aree urbane, dall’Italia all’estero, per ragioni non sempre connesse alla ricerca di nuove opportunità di lavoro, per periodi che possono essere anche transitori, tutti aspetti che dovrebbe consentire di ragionare in misura meno consueta rispetto al tema, soprattutto se questo è considerato un problema e necessità di eventuali soluzioni.
Mi rendo conto che questa può risultare un’analisi meno consueta e in parte provocatoria, ma l’idea che si vada via dalla regione solo per ragioni di lavoro è probabilmente oggi insufficiente. Sicuramente la decisione di molti individui di frequentare una sede universitaria (per chi è nelle condizioni economiche di poterlo fare) distante da casa risponde ad obiettivi diversi che non sono legati solo alla scelta di un corso di laurea ma a ciò che tale scelta rappresenta in quella fase specifica del percorso esistenziale di quelle generazioni. Questa componente difficilmente è destinata a rientrare, forse anche quando potrebbe, e allora è probabile che scatti quel processo comparativo che evidenzia in maggior misura la valutazione insoddisfacente del contesto di partenza.
Certo la domanda di lavoro resta il principale indiziato, ma bisogna ricordare che di frequente non è la sua totale assenza a costituire la ragione principale di una partenza. Sono spesso anche le condizioni di lavoro irregolari, di scarso riconoscimento delle competenze professionali (leggasi sotto-inquadramento), l’ampia diffusione della precarietà contrattuale a fare da presupposto alla decisione di emigrare. Lavorare come geologi a San Donato Milanese rimane oggi più probabile rispetto a Viggiano, e altri esempi in tal senso non mancherebbero. Ciò interroga, dunque, piuttosto non solo la quantità della domanda di lavoro ma anche la qualità della stessa.
L’altro fattore rilevante di questi processi sono gli effetti sulla struttura della popolazione per età e sul comportamento demografico, in particolare quando chi emigra è una donna ed ha un’età inferiore ai 40 anni. Si tratta di una perdita doppia perché in prospettiva ne risentirà anche il tasso di fecondità complessivo. Già oggi, del resto, si può affermare che circa i due terzi della riduzione della popolazione regionale sono ascrivibili al saldo naturale negativo della popolazione piuttosto che al saldo migratorio (senza dimenticarsi di aggiungere il minor numero di figli per nucleo familiare).
È possibile contrastare questi fenomeni? Dipende naturalmente dalle misure (e dalle risorse economiche) che si è disposti ad introdurre e dagli obiettivi che si vogliono conseguire. Per altre ragioni ci sono invece scelte e comportamenti sul piano demografico (riproduttivo) che spesso esulano dal contesto che dipendono dalle scelte individuali e su cui poco possono le policy (anche se un welfare migliore e più sostenibile sotto il profilo della qualità e dei costi dei servizi all’infanzia sarebbe di grande supporto). Ma vorrei dire, in definitiva, che probabilmente la vera sfida non è solo quella sul piano occupazionale, ma anche quella sul piano più generale delle condizioni di vita e della qualità delle istituzioni e dei servizi offerti, come del vivere comune (anche in termini di migliori e maggiori opportunità sul piano dei consumi culturali, radicale miglioramento delle infrastrutture di trasporto e tanti altri fattori).
L’indagine che la Libera Università delle Donne di Potenza promuove con il laboratorio di statistica sociale SnaLAb del Dipartimento di Studi Politici e Sociali dell’Università di Salerno ha, dunque, l’obiettivo di provare a indagare un tema molto richiamato ma forse paradossalmente poco dibattuto sulla base di dati o di altri elementi di osservazione. L’obiettivo non è tanto quello, pertanto, di andare alla ricerca di una soluzione ma anzitutto di fornire elementi più profondi di conoscenza forse per alimentare un dibattito pubblico che vada al di là del tema lavoro che rischia di divenire uno stereotipo come tanti rispetto ad una questione che meriterebbe riflessioni meno scontate e più nel merito”.