Venerdì 23 dicembre 2022 – Un gruppo di preti del nord-est del Paese sollecitati da don Pierluigi Di Piazza fondatore del Centro Balducci di Udine (foto di copertina) si sono ritrovati per anni puntualmente ogni Natale a scrivere una pubblica lettera di auguri con la quale annunciare il vangelo del Natale protesi tra la speranza che viene dal Cielo e le fatiche che si respirano sulla terra.
Da maggio don Pierluigi non c’è più perchè colpito da una inesorabile malattia, tuttavia si è voluti restare fedeli all’appuntamento, e anzi quest’anno si sono aggiunti anche preti, associazioni e comunità del sud, tutti uniti nel tentativo di aiutarci e aiutare a vivere il Natale al di là di ogni sterile orpello senza tradirne il messaggio genuino nella fedeltà al Magistero di papa Francesco.
E’ una lettera che vuole aprirci ad una speranza di primavera per l’umanità (che non a caso è proprio il titolo che si è dato quest’anno) partendo dal coraggio dei tanti che si stanno opponendo con percorsi di pace al delirio della guerra e delle guerre e passando dal coraggio dei tantissimi giovani che in Iran stanno dando la vita per ricordare che non c’è nessun dio nel nome del quale si possa togliere vita e libertà.
Non si dimenticano neanche i numeri spaventosi dei tantissimi profughi che quotidianamente arrivano sulle nostre coste alla ricerca di vita anch’essi ma spesso trovando anche loro la morte, e i numeri di coloro che ogni giorno in Italia vengono annullati nella loro dignità da questa “economia che uccide”, come dice Papa Francesco.
Insomma, una lettera con la quale i preti sottoscrittori si augurano e augurano che il Bambino di Betlemme insegni a tutti la strada “per un tenore di vita improntato alla sobrietà, alla corresponsabilità e alla condivisione, proiettandoci verso un futuro possibile e realizzabile, più dignitoso per tutti”.
Perchè il Natale ci spalanchi le porte su una primavera dell’umanità.
LETTERA DI NATALE 2022
Primavera di umanità
Carissime e carissimi,
in questi giorni di feste vi raggiunga il nostro abbraccio fraterno, segno della condivisione di fatiche e sofferenze, come pure di gioie e speranze.
IL GRATO RICORDO DI DON PIERLUIGI
Il 15 maggio scorso abbiamo dato l’ultimo saluto all’amico don Pierluigi Di Piazza: a lui va il ricordo vivo e vivificante più affettuoso e riconoscente per i “piccoli segni” che in particolare in questi ultimi trent’anni hanno accompagnato la sua vita di uomo e di prete, e che l’hanno sempre visto al fianco di migranti, poveri ed emarginati.
Siamo grati di aver camminato con lui sulla medesima strada e di aver avuto l’occasione di essere partecipi anche attraverso la Lettera di Natale, di veri e propri “laboratori di umanità” dove, in autentico spirito di condivisione, siamo cresciuti in quella fraternità universale che sola dà senso e gusto alla vita.
Collegandoci al detto rabbinico “lo stolto ha il cuore nel lato sinistro, il saggio ce l’ha nel lato destro”, accogliamo quella sapienza che non rinnega certo il buon senso e va ad affermare come saggio è saper “vedere” il cuore dell’altro, a destra rispetto al nostro punto di osservazione; stolto è chi è capace di sentire esclusivamente il proprio cuore, incurante o scettico di quel che pulsa nel cuore altrui, vivendo di quel che per Pierluigi era il vero nemico dell’uomo: l’indifferenza. È nostra convinzione che la sua saggezza dipendesse dal fatto che il suo cuore battesse proprio “sul lato destro”, in quanto nella sua vita ha fatto del cuore degli altri il suo proprio cuore, tanto da temere – come spesso affermava – di non poterlo contenere.
Forse è da qui che siamo chiamati a ripartire, dall’idea di persona che alberga nel nostro cuore e che condiziona le relazioni personali, sociali, politiche, ecclesiali e comunitarie.
Desideriamo tenere fisso lo sguardo sulla sua profetica ed evangelica testimonianza accanto ai fragili della storia, richiamo continuo e pressante a tener vivo anche in noi questo impegno.
L’IMPEGNO NEL QUOTIDIANO
Perché l’impegno di ciascuno è determinante. E la testimonianza infonde coraggio, quel coraggio che intravediamo, a esempio:
- nella scelta da parte di alcuni portuali di Genova – protesta estesa poi a Napoli, Ravenna e Livorno – di bloccare il caricamento di quelle navi che trasportano morte, denunciando il traffico di armi (dirette probabilmente in Yemen e in Siria);
- nella scelta di quel giovane ceceno che, per non divenire “operaio di morte”, ha disertato il richiamo alle armi e per aver salva la vita è dovuto scappare con la moglie e con i suoi due piccoli bambini, ed è stato accolto al Centro Balducci;
- nella scelta di chi, nella tragica situazione dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, rifiuta di andare a combattere pagando di persona e si dichiara obiettore di coscienza sia in Russia che in Ucraina, volendo svolgere un servizio civile alternativo al servizio in armi;
- nella scelta di Maryam Rawi, l’attivista portavoce di RAWA, l’associazione di resistenza di donne afghane all’orrore talebano che lotta con tante altre donne, a rischio della propria vita, per la libertà e i diritti delle donne in quel Paese;
- nella scelta di Mahsa Amini, uccisa per aver protestato contro l’oppressione e delle migliaia di donne che anche in Iran rischiano la vita e il carcere lottando per la dignità e la libertà;
- nella scelta delle ONG che, per salvare i migranti nei nostri mari, danno concreta attuazione alle leggi internazionali sull’obbligo di soccorso in mare sfidando politiche ingiuste e omertose;
- nella scelta di numerose associazioni, gruppi, movimenti e comunità che continuano a resistere e a promuovere cammini di giustizia, di pace e di prossimità,
- nella scelta di milioni di giovani che apertamente e pacificamente manifestano per le strade del mondo e operano da volontari in tanti ambiti della vita sociale richiamandoci all’impegno di prenderci cura di nostra madre Terra e di lottare accanto ai fragili e contro le ingiustizie e le iniquità del nostro mondo.
LE MIGRAZIONI E LE LORO NARRAZIONI
Il rapporto “Italiani nel Mondo 2022” promosso dalla Fondazione Migrantes afferma che il numero degli italiani residenti all’estero (oltre 5,8milioni, il 9,8% della popolazione) abbia superato quello degli stranieri residenti in Italia (quasi 5,2milioni, l’8,8%).
In questo contesto interculturale e di migrazioni universali, ci rattrista constatare quanto si stia rafforzando in Italia e in Europa la chiusura verso i migranti. Il numero di persone in fuga ha segnato un nuovo record nel 2022 con oltre 100 milioni di persone confermando la tendenza a crescere dell’ultimo decennio, seppure con numeri tali verso l’Europa e l’Italia da non giustificare alcuna presunta “invasione”.
Più dell’80% dei rifugiati, infatti, proviene da – e trova rifugio in – Paesi poveri del Sud del mondo dai quali i rifugiati stessi quasi mai vengono ricollocati verso l’Europa, creando in tal modo non solo dei campi, ma quasi interi paesi con funzioni di confinamento, come è stato ricordato proprio al Centro Balducci in un Convegno internazionale a inizio dello scorso mese di maggio, l’ultimo evento al quale Pierluigi ha partecipato.
Vogliamo far fronte a una narrazione delle migrazioni che fomenta inutili paure e pregiudizi, portando al rifiuto delle persone provenienti da altri Paesi.
Addolora profondamente che dal 2014 siano più di 50mila le persone morte sulle rotte di migrazione: i dati dell’International Organization for Migration (IOM) in un recentissimo rapporto confermano che più della metà dei morti si sia verificato sulle rotte verso e all’interno dell’Europa, e più del 60% del totale rimanga non identificato. Nonostante l’aumento delle perdite di vite umane, i Governi europei e il nostro in particolare non stanno realizzando alcun programma efficace di ricerca e soccorso in mare che consenta di almeno arginare la strage in corso. Solo le ONG, spesso criminalizzate, sono rimaste a ricordare che l’Europa è – o, meglio, dovrebbe essere – un progetto di unità politica basata sul rispetto dei diritti umani.
Anche nei nostri territori si presentano situazioni di estrema gravità con persone ammassate in caserme o abbandonate in strada, senza la pur minima attenzione ai loro diritti e ai loro reali bisogni.
Siamo convinti che si tratti di una tendenza che può essere invertita solo compiendo uno sforzo rinnovato e concertato per costruire in comune sentieri di pace, giustizia e solidarietà.
Non vogliamo quindi chiudere gli occhi di fronte a quelle guerre strumentali che facciamo ai migranti, ai richiedenti asilo, ai disperati della storia, a chi entra nelle nostre terre di confine percorrendo la Rotta balcanica, una delle vie di fuga più dure in Europa, segnate da violenze e continui respingimenti illegali. I medesimi respingimenti che preoccupanti dichiarazioni pubbliche di questi giorni dell’attuale sottosegretario agli Interni Prisco vede reintrodurre alla frontiera tra Italia e Slovenia.
Coloro che facciamo fatica a incontrare e accogliere non sono statistiche e meri numeri, non sono “carico residuale”, ma persone, fratelli e sorelle di questa umanità: il “prossimo tuo” per Gesù di Nazareth, per chi crede in Lui e per tante altre persone che ne condividono l’ideale di fratellanza.
UN CONTESTO SOCIALE COMPLESSO E SOFFERTO
Non vogliamo chiudere gli occhi di fronte alle tragedie attuali, sentendo nostro il dolore di tante famiglie per la perdita di persone care anche a causa della pandemia tuttora in corso, delle catastrofi naturali (è di sole poche settimane fa la frana che ha travolto nell’isola di Ischia il paese di Casamicciola), di tante guerre (oltre a quello tra Russia e Ucraina, ben altri 58 conflitti coinvolgono 160 Paesi) e di suicidi, vera e propria emergenza che ha segnato un considerevole aumento soprattutto all’interno di strutture come:
– carceri (il 2022 segna il macabro record in Italia: 79 persone, in Friuli l’ultima, il 7 novembre scorso, di un ventiduenne ospitato nella casa circondariale di Udine),
– caserme (i dati nazionali sono spietati: un uomo appartenente alle Forze armate, di polizia o di sicurezza ogni cinque giorni),
– e strutture dove sono accolti profughi e richiedenti asilo (ci ha colpito il suicidio del ventottenne pakistano appena entrato nel Cpr di Gradisca).
Non vogliamo chiudere gli occhi di fronte a un’“economia che uccide”: uccide l’uomo e il pianeta, porta alla crisi alimentare (quella aggravata dalle tre “C”: il Covid-19, i conflitti e il clima) con milioni di persone al mondo che muoiono di fame e una minoranza che butta via un terzo del cibo prodotto, mettendo a nudo che, se il pane quotidiano Dio lo dà a tutti, siamo noi che ancora non abbiamo imparato a condividerlo; un’economia che costringe 160 milioni di bambini al lavoro minorile per sopravvivere, che produce “scarti” e genera l’aumento delle situazioni di povertà “assoluta” (secondo il recente report di Caritas Italiana, solamente in Italia vede coinvolte due milioni di famiglie che non possono permettersi la spesa minima per condurre una vita accettabile).
Siamo per una “economia della vita”, amica della terra e dell’uomo. Per questo aderiamo idealmente e fattivamente anche noi al “Patto di Assisi 2022”, firmato da papa Francesco e da giovani economisti provenienti da tutto il mondo il 22 settembre scorso, che pubblichiamo in calce a questa lettera.
LA GUERRA E LA CORSA AL RIARMO
Non vogliamo rassegnarci ai conflitti che ci pongono popolo contro popolo. Lo scorso 27 marzo il pontefice ha affermato il “bisogno di ripudiare la guerra, luogo di morte dove i padri e le madri seppelliscono i figli, dove gli uomini uccidono i loro fratelli senza averli nemmeno visti, dove i potenti decidono e i poveri muoiono”. La guerra è un abominio e ci domandiamo se possa mai esistere una “guerra giusta”.
Per questo non vogliamo rassegnarci nemmeno all’uso indiscriminato delle armi. L’invasione di Putin, oltre ad aver portato distruzione e morte nelle città ucraine, ha avuto come effetto un pesante arretramento di qualsiasi progresso internazionale su disarmo e politiche di pace. Ci stiamo abituando al fatto che la guerra sia considerata un normale mezzo di risoluzione delle controversie internazionali determinando in questo decennio un arretramento storico senza precedenti dopo il 1948. Lo dimostrano la profonda crisi del sistema delle Nazioni Unite e le recenti decisioni di robusto aumento della spesa militare, che si va a sommare ad un trend già in decisa crescita.
Soprattutto ci sentiamo di esprimere forte preoccupazione sulla corsa agli armamenti, perché toglie vitali risorse, affamando intere popolazioni, e perché “alza l’asticella” aggravando la minaccia posta dalle armi nucleari, presenti in Italia anche e non solo nella base Usaf di Aviano.
Per contribuire a spalancare un futuro di pace, riteniamo sempre più necessario che il nostro Governo aderisca al Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari.
Tutti gli Stati nucleari e i loro alleati (tra i quali, purtroppo, anche l’Italia) hanno votato di recente contro una Risoluzione nel Primo Comitato Onu a sostegno del Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari (passata con 124 voti favorevoli). E addirittura votando contro o – come l’Italia – astenendosi su una seconda Risoluzione che ribadiva “la profonda preoccupazione per le conseguenze catastrofiche delle armi nucleari” sottolineando “che è nell’interesse della sopravvivenza stessa dell’umanità che le armi nucleari non vengano mai più utilizzate, in nessuna circostanza”. La risoluzione esortava inoltre gli Stati “a compiere ogni sforzo per eliminare totalmente la minaccia di queste armi di distruzione di massa”. Come può dirsi democratica una nazione come l’Italia se si astiene dal firmare tale documento?
Insomma, al momento nessuno vuole abbandonare gli arsenali nucleari, che garantiscono potere e predominio, nonostante un pericolo di guerra atomica distruttiva mai così vicino.
Abbiamo il diritto di vivere in un mondo libero da questa minaccia. E abbiamo il dovere di consegnare a figli e nipoti un futuro degno di questo nome, educandoli dalla più tenera età a prendersi cura delle persone che incontrano con uno sguardo universale verso chi soffre pur lontano fisicamente da loro.
Qualsiasi uso di arma nucleare, intenzionale o accidentale, avrebbe conseguenze catastrofiche, vastissime e durature per gli esseri umani e per l’ambiente: Hiroshima e Nagasaki lo insegnano. È necessario mettere le armi nucleari fuori dalla storia prima che siano loro a mettere fuori dalla storia l’intera umanità! Così affermava sir Józef Rotblat, fisico polacco Nobel per la pace per la lotta contro lo studio e l’utilizzo delle armi nucleari: “Ricordatevi la vostra umanità e dimenticate tutto il resto!”. Un’umanità che ci fa fratelli gli uni degli altri nella condivisione delle diversità che ci caratterizzano, perché è nell’accoglienza della diversità che non solo riscopriamo la nostra identità, ma ci ritroviamo dall’altro arricchiti.
SOLIDALI CON GLI ESCLUSI E GLI EMARGINATI
Mentre siamo drammaticamente coinvolti nei grandi cambiamenti epocali e in un vissuto di violenza e sopruso nei confronti dei più deboli, il Vangelo è per noi luce di speranza che c’invita a sentirci tenuti per mano da Gesù di Nazareth. È Lui che, incoraggiandoci a non aver paura e a camminare insieme, ci spinge a osare di più, abitando nella concretezza le periferie esistenziali. Gesù stesso, negli ultimi momenti della sua vita terrena, ci ha voluto affidare alla custodia del Padre perché potessimo avere in noi stessi “la pienezza della sua gioia” (cf. Gv 17,11.13), una gioia frutto della misericordia di un Padre che ci ama non per i nostri meriti, ma perché ne siamo figli e desidera che tutti siano parte di una vita piena. È questo che crea in noi la fiducia che nella nostra esistenza l’ultima parola l’avrà l’Amore. Ed è questa fiducia che vorremmo trasmettere a chi ci legge.
Nell’accogliere questo dono, percepiamo che celebrare il Natale significa viverlo in quella dimensione universale di fraternità; significa fargli spazio essendo solidali con gli esclusi ed emarginati della storia; significa trovare la forza per rinnovare l’impegno a stare dalla parte degli indifesi con la medesima fedeltà di Hebe de Bonafini, morta lo scorso mese di novembre all’età di 93 anni, attivista argentina tra le 14 fondatrici, nel 1977, delle Madri di Plaza de Mayo con le quali ha lottato tutta la vita sfidando il regime al potere e sfilando pacificamente nelle piazze per chiedere verità e giustizia per gli oltre 30mila desaparecidos uccisi sotto la dittatura.
L’umanissimo figlio di Dio, accolto nel Natale, c’insegni la strada per un tenore di vita improntato alla sobrietà, alla corresponsabilità e alla condivisione, proiettandoci verso un futuro possibile e realizzabile, più dignitoso per tutti.
E sarà un giorno di primavera per questa nostra umanità.
I firmatari:
i preti Alberto De Nadai, Albino Bizzotto, Antonio Santini,
Fabio Gollinucci, Franco Saccavini, Giacomo Tolot,
Gianni Manziega, Luigi Fontanot, Mario Vatta,
Massimo Cadamuro, Nandino Capovilla, Paolo Iannaccone,
Piergiorgio Rigolo, Pierino Ruffato, Renzo De Ros,
Andrea Bellavite, Marcello Cozzi, Ennio Stamile,
Giorgio Pisano, Marco Ricci, Salvatore Vergara;
l’Associazione “Esodo” di Venezia,
il Centro “Ernesto Balducci” di Zugliano (UD),
il Gruppo “Camminare Insieme” di Trieste,
il “Centro studi e ricerche sulle realtà meridionali” di Potenza,
la Fondazione nazionale antiusura “Interesse Uomo” di Potenza,
l’Associazione San Benedetto di Cetraro (CS),
l’Associazione antiusura don Pino Puglisi di Portici (NA)
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“Patto di Assisi” firmato il 22 settembre 2022
da papa Francesco e dai giovani di “The Economy of Francesco”:
Noi, giovani economisti, imprenditori, changemakers,
chiamati qui ad Assisi da ogni parte del mondo,
consapevoli della responsabilità che grava sulla nostra generazione,
ci impegniamo ora, singolarmente e tutti insieme,
a spendere la nostra vita affinché l’economia di oggi e di domani
diventi una Economia del Vangelo. Quindi:
- un’economia di pace e non di guerra;
- un’economia che contrasta la proliferazione delle armi, specie le più distruttive;
- un’economia che si prende cura del creato e non lo depreda;
- un’economia a servizio della persona, della famiglia e della vita, rispettosa di ogni donna, uomo, bambino, anziano e soprattutto dei più fragili e vulnerabili;
- un’economia dove la cura sostituisce lo scarto e l’indifferenza;
- un’economia che non lascia indietro nessuno, per costruire una società in cui le pietre scartate dalla mentalità dominante diventano pietre angolari;
- un’economia che riconosce e tutela il lavoro dignitoso e sicuro per tutti, in particolare per le donne,
- un’economia dove la finanza è amica e alleata dell’economia reale e del lavoro e non contro di essi,
- un’economia che sa valorizzare e custodire le culture e le tradizioni dei popoli, tutte le specie viventi e le risorse naturali della Terra,
- un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme, riduce le diseguaglianze e sa dire, con Gesù e con Francesco, “beati i poveri”,
- un’economia guidata dall’etica della persona e aperta alla trascendenza,
- un’economia che crea ricchezza per tutti, che genera gioia e non solo benessere perché una felicità non condivisa è troppo poco.
Noi in questa economia crediamo. Non è un’utopia, perché la stiamo già costruendo. E alcuni di noi, in mattine particolarmente luminose, hanno già intravisto l’inizio della terra promessa.