Giovedì 27 ottobre 2022 – “La giunta regionale della Basilicata, senza nessuna concertazione con le parti sociali, nel tentativo di colmare un vuoto programmatico in materia di politiche industriali che dura sin dal suo insediamento, ha recentemente rimesso sul tavolo la carta dei contratti di sviluppo a regia regionale, uno strumento che nasce da un accordo Stato/Regione del 2019, con sperimentazioni simili, anche se non identiche, aventi finalità di tutela occupazionale in situazioni di crisi (ad esempio i contratti di reindustrializzazione) che datano già dal 2018”.
Lo afferma il segretario generale della Cgil Basilicata, Angelo Summa.
“Eppure, un opportuno confronto con le organizzazioni sindacali – prosegue Summa – avrebbe potuto migliorare notevolmente un provvedimento che, nonostante il trionfalismo della giunta Bardi, rischia di non produrre ricadute significative. Sarebbe stato utile, ad esempio, un rafforzamento del criterio settoriale nella griglia di punteggi per la valutazione con l’introduzione di un criterio di priorità territoriale che, oltre all’area Zes (area già forte e attrattiva in virtù degli incentivi specifici esistenti, come il credito di imposta) e agli stabilimenti dismessi, premiasse le iniziative che intendano localizzarsi nelle aree a maggiore crisi industriale, più marginali o a maggior disponibilità di terreni per utilizzi produttivi, come ad esempio la Valbasento. O che risultino premianti per iniziative legate all’indotto dell’automotive o alla mobilità sostenibile (ad esempio, supportando il piano governativo di creazione dell’hydrogenvalley).
Sembra mancare – aggiunge Summa – un sistema adeguato di valutazione della validità tecnico-economica dei progetti proposti: lo scarno business plan proposto dal bando manca, infatti, di elementi essenziali di analisi della solidità delle proposte quali le strategie commerciali, promozionali e pubblicitarie del proponente rispetto al prodotto/servizio che intende sviluppare tramite il contratto di sviluppo, o le strategie di sviluppo delle competenze e di consolidamento delle risorse umane assunte. Non si capisce perché non si sia fatto uno sforzo per mettere almeno una parte dell’incentivo, a scelta dell’impresa proponente, a sostegno delle spese di formazione del personale, o a riduzione del costo del lavoro dei neoassunti, magari concordando con le organizzazioni sindacali forme specifiche di riduzione di tale costo in entrata per i primi anni.
Se le direttive attuative del 2021 non consentono sostegni al costo del lavoro e alla formazione – precisa Summa – sarebbe stato opportuno modificarle, ampliandole in una logica di contrasto alla crisi occupazionale. Sarebbe opportuno ricordare che Ires Basilicata ha quantificato in ben 2.000 le unità produttive lucane con vertenze di crisi aperte, coinvolgendo ben 15.000 addetti, ed appena la metà di tali situazioni appare risolvibile con strumenti di continuità aziendale. Il tema sociale è quindi vitale per la nostra regione, a va affrontato con strumenti specifici di sostegno occupazionale, non soltanto fornendo incentivi per gli investimenti in capitale fisso.
Tutte queste debolezze – sottolinea il segretario – avrebbero potuto essere meglio risolte con un confronto allargato alle parti sociali, anche in fase di redazione del bando e dei relativi allegati. Ma il problema principale sembra essere lo sganciamento del bando da qualsiasi visione più ampia, in termini programmatici e di risorse finanziarie, quasi come se esso, da solo potesse risolvere i problemi industriali della regione. Manca del tutto, e non solo sul tema dell’idrogeno, un collegamento con le iniziative nazionali che saranno, tra l’altro, finanziate dal Pnrr, finalizzato a fare massa critica su una maggiore quantità di risorse, incanalandole nelle filiere strategiche che il Pnrr stesso ha previsto per lo sviluppo del Paese: digitalizzazione, transizione ambientale, progetti innovativi nelle filiere previste dal piano nazionale della ricerca, fra le quali alcune assumono, per la Basilicata, un interesse particolare: si pensi al settore della ricerca ed innovazione sui rischi idrogeologici e sismici, o alla telemedicina e teleassistenza.
Più in generale, sembra riprodursi l’idea, piuttosto ingenua, che basta mettere in campo un pacchetto di incentivi, pubblicare la notizia su qualche quotidiano nazionale, perché si crei la ressa di investitori pronti a localizzarsi in regione. Evidentemente, manca la percezione del fatto, peraltro evidenziato dalle maggiori società di consulenza attive nel settore dell’attrazione degli investimenti, che gli incentivi finanziari o fiscali, da soli, non sono il fattore attrattivo per eccellenza, dovendosi costruire un vero e proprio pacchetto localizzativo, fatto da infrastrutture ad hoc per le esigenze dell’investitore, aree attrezzate, servizi reali, ed una meticolosa (e costosa) operazione di promozione delle opportunità nelle sedi dove si prendono le decisioni di investimento.
Assistiamo così al paradosso per cui, mentre si mettono a disposizione 30 milioni di euro per i contratti di sviluppo, la Giunta Regionale mette in liquidazione il sistema delle aree industriali del potentino, tramite la privatizzazione del Consorzio industriale di Potenza ed il suo affidamento ad un commissario. Come pensa la Regione di offrire opportunità localizzative ad eventuali investitori, se persino le aree industriali principali della provincia di Potenza sono sottoposte a procedure liquidatorie e non c’è più un soggetto in grado di fornire servizi comuni alle imprese? Come si pensa di realizzare la necessaria azione di promozione delle opportunità di investimento in Basilicata? Bastano una pagina sul Sole 24 Ore e qualche dichiarazione assessorile? O non si pensa, magari, di coinvolgere anche le organizzazioni sindacali, attraverso le loro strutture territoriali in tutta Italia, per fornire supporto al reperimento di potenziali investitori. Quale ruolo si pensa di dare ad Invitalia nella fase di promozione? O, per le iniziative di tipo turistico, si pensa di dare un ruolo di promoter ad Apt, come peraltro gli compete da funzione istituzionale? E non sarebbe stato opportuno, ovviamente nel rispetto dei limiti normativi sugli aiuti di Stato, pensare di riservare i 30 milioni del bando, oltre al sostegno ad interventi di salvataggio aziendale che sembrano ad oggi maturi (come ad esempio la necessaria acquisizione dello stabilimento Ferrosud da parte di Mermec) ad interventi specifici per il settore automotive, ad esempio sostenendo la creazione di reti di impresa fra subfornitori, o ad un programma specifico di supporto alla R&S in ambito automotive, vista la problematicità delle prospettive di Stellantis e del suo indotto?
Il tema, come si vede, è molto complesso, e non si riduce alla mera messa a disposizione di un pacchetto di incentivi in modo isolato da qualsiasi visione generale dello sviluppo della regione e di collegamento con le politiche nazionali ed europee. Si tratta di un modo di procedere che, temiamo, non sarà particolarmente foriero di risultati utili, a fronte della grave crisi produttiva ed occupazionale che la Basilicata subisce da anni. Un confronto più ampio ed inclusivo serve, quindi – conclude Summa – per dare respiro ad un intervento che, peraltro, impegna gran parte delle risorse derivanti dagli accordi petroliferi di Tempa Rossa, che vanno assolutamente massimizzati, in termini di impatto”.