Giovedì 10 febbraio 2022 – Nel giorno del ricordo delle Foibe, il Prefetto di Potenza, Michele Campanaro, manda un messaggio che pubblichiamo qui di seguito.
“Rivolgiamo oggi il nostro pensiero a coloro che perirono in condizioni atroci nelle Foibe, alle sofferenze diquanti si videro costretti ad abbandonare per sempre le loro case a Fiume, in Istria e in Dalmazia.
Questa giornata è dedicata al ricordo di migliaia di italiani del confine orientale che, al termine del secondoconflitto mondiale, subirono indicibili violenze trovando, in molti, una morte crudele nelle Foibe del Carso. Quanti riuscirono a sfuggire allo sterminio furono costretti all’esilio. L’occupazione jugoslava, che a Trieste durò oltre quaranta giorni, fu causa non solo del fenomeno delle Foibe ma anche delle deportazioni nei campi di concentramento in Jugoslavia di popolazioni inermi. A Fiume, in Istria e in Dalmazia, la repressione jugoslava costrinse molti ad abbandonare le loro case. La popolazione italiana che apparteneva a quella regione fu quasi cancellata e di quell’orrore, per troppo tempo, non si è avuto il doveroso ricordo.
I drammatici avvenimenti di quel periodo storico formano parte integrante della nostra vicenda nazionale e,quindi, vanno doverosamente ricordati e spiegati alle nuove generazioni. Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi dittatoriali responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono.
La cerimonia di oggi in Prefettura, con la consegna di una insegna metallica con relativo diploma in memoria del carabiniere Pietro Buccolo, ucciso dai partigiani slavi il 4 febbraio 1944, non deve, perciò, essere solo una commemorazione rituale, ma un momento fondamentale di espressione dell’identità e dell’unità nazionale.
La Seconda Guerra Mondiale, scatenata da regimi dittatoriali portatori di perverse ideologie razziste, ha distrutto la vita di milioni di persone nel nostro continente, ha dilaniato intere nazioni, ha rischiato di inghiottire la stessa civiltà europea. L’odio e la pulizia etnica sono stati l’abominevole corollario dell’Europa tragica del Novecento, squassata da una lotta senza quartiere fra nazionalismi esasperati.
Detto che sulle Foibe e sull’esodo vi è stata una presa di coscienza dell’intera comunità nazionale solo in questi ultimi anni, l’Italia non può e non vuole dimenticare, perché le tragedie del passato non si ripetano in futuro.
Rileggiamo le parole con cui lo scrittore istriano FulvioTomizza, figlio di un’italiano e di una slava racconta il dramma vissuto in quel tragico periodo: «Mi sono sempre sentito tra due fuochi. Mi accorgevo con dolore che i miei amici croati e sloveni mi guardavano con sospetto e nello stesso tempo non riuscivo a stare tutto dalla parte di mio padre.
Non sono mai riuscito ad odiarli, gli slavi. Nonostante tutto quello che avevano fatto a mio padre e alla nostra gente. Forse perché sapevo che se era successo tutto quel disastro era anche colpa nostra. (…) E io lì, a cercare di ricucire le due parti di me stesso».
Ha ricordato il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che non si è trattato “come qualchestorico negazionista o riduzionista ha voluto insinuare, di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni. Tanti innocenti, colpevoli solo di essere italiani”.
Furono colpiti per presunti rapporti con il nemico anche partigiania ntifascisti,come Francesco DeGregori, zio del cantautore omonimo, e Guido Pasolini, fratello dello scrittore Pier Paolo, rispettivamente Comandante ed effettivo della Brigata partigiana Osoppo e coinvolti insieme ad altre 15 persone nell’eccidio di Porzûs del febbraio 1945.
A dare l’ordine di uccidere è addirittura un altro italiano: il padovano Mario “Giacca” Toffanin della brigata Garibaldi, passata sotto il Comando dell’esercito jugoslavo. In una lettera del 21 agosto 1945 indirizzata all’amico poeta Luciano Serra, Pier Paolo Pasolini ricostruì così la vicenda: «essendo stato richiesto a questi giovani, veramente eroici, di militare nelle file garibaldino-slave, essi si sono rifiutati dicendo di voler combattere per l’Italia e la libertà; non per Tito e il comunismo. Così sono stati ammazzati tutti, barbaramente».
Il nostro Paese, riconciliato nel nome della democrazia, ricostruito dopo i disastri della Seconda GuerraMondiale anche con il contributo di intelligenza e di lavoro degli esuli istriani, fiumani e dalmati, ha compiuto una scelta fondamentale. Ha identificato il proprio destino con quello di un’Europa che si è lasciata alle spalle odi e rancori, che ha deciso di costruire il proprio futuro sulla collaborazione fra i suoi popoli basata sulla fiducia, sulla libertà, sulla comprensione.
Oggi, tanto più alla luce degli episodi di brutale e bieco razzismo che continuano a verificarsi, è ancoranecessario affermare con forza che la nostra civiltà deve essere fatta di umanità, solidarietà e rispetto per l’altro. Dobbiamo superare tutte le barriere di odio, diversità e discriminazione, nel rispetto assoluto e incondizionato della dignità umana.
La responsabilità nei confronti delle giovani generazioni ci impone di tramandare loro la consapevolezza diavvenimenti che costituiscono parte integrante della nostra storia.
La memoria ci aiuta a guardare al passato con interezza di sentimenti, a riconoscerci nella nostra identità, a radicarci nei suoi valori fondanti per costruire un futuro nuovo e migliore. Se saremo capaci di farlo, allora questo Giorno del Ricordo assumerà sempre più un significato di ulteriore pienezza, rispetto a quello di mera commemorazione.
MicheleCampanaro