Giovedì 23 dicembre 2021 – Dall’archivio abbiamo ripreso l’articolo dell’11 dicembre 2018 che scrivemmo a commento del pronunciamento della Cassazione relativamente alla posizione di Marcello Pittella nell’ambito dell’inchiesta Sanitopoli.
Alla luce dell’assoluzione dell’ex Governatore, le parole degli Ermellini fanno riflettere.
“Non emergono “gravi indizi di colpevolezza”, che giustifichino “esigenze cautelari” a carico di Marcello Pittella, presidente della Regione Basilicata, oggi sospeso dall’incarico per effetto della legge Severino – coinvolto nell’indagine della procura di Matera sulla sanita’ lucana.
Lo sottolinea la Quinta Sezione Penale della Cassazione, spiegando perché, il 26 novembre scorso, decise di accogliere il ricorso presentato dai difensori dell’indagato contro l’ordinanza con cui il Riesame di Potenza, nello scorso luglio, confermò la misura cautelare degli arresti domiciliari per Pittella, emessa dal gip, poi sostituita in settembre con quella del divieto di dimora a Potenza.
I giudici di Piazza Cavour, con la sentenza depositata oggi, hanno accolto tutti i motivi di ricorso della difesa, ‘bocciando’ le motivazioni del Riesame del capoluogo lucano.
“Il tribunale di Potenza – osserva la Cassazione – non ha assolto all’obbligo motivazionale, limitandosi a evidenziare una serie di elementi indiziari omettendo una reale autonoma valutazione critica e sostanzialmente aggirando le obiezioni difensive” con “generiche letture ‘probabilistiche’ del ruolo di Pittella” ed “errate valutazioni”.
Quanto, in particolare, alle conversazioni intercettate tra altri soggetti e valorizzate dal Riesame, “manca ogni concreto riferimento a elementi e ircostanze desunte” che “consenta – si legge nella sentenza – di cogliere unitariamente i motivi per cui esse siano state ritenute quali significativo supporto del quadro indiziario a carico di Pittella”.
Non risultano, scrive poi la Corte condividendo i rilievi difensivi, “sufficientemente esplicitati” i caratteri di “gravità, precisione e concordanza” degli “elementi di fatto meramente elencati dal tribunale in maniera frammentaria e con uso di una tecnica redazionale spesso segnata da superflui giudici di carattere moralistico”.
Il Riesame di Potenza, dunque, continuano i giudici del ‘Palazzaccio’, “non ha individuato elementi indiziari dai quali desumere che Pittella abbia fatto sorgere, ovvero rafforzato, il proposito criminoso nei coindagati”.
La motivazione dei giudici di Potenza, secondo la Cassazione, è inadeguata anche sotto il profilo del pericolo di inquinamento probatorio, perché “risulta generica e caratterizzata da una serie di giudizi su ‘perduranti collegamenti politici’ di Pittella, mentre – spiega la Corte – il pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova deve essere identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti“.
Infine, la Suprema Corte ‘boccia’ il Riesame anche sul punto del pericolo di reiterazione dei reati, basato sulla “possibile assunzione di nuovi incarichi da parte di Pittella nel partito di appartenenza o all’inserimento in ambienti amministrativi”: i giudici di legittimità, infatti, osservano che “la circostanza che l’indagato possa contare su nuovi incarichi nel partito o in settori ‘comunque di influenza che gli darebbero rinnovate occasioni di inserirsi, seppure in modo indiretto, in ambienti amministrativi con potenzialità significative di distorsione dei pubblici apparati’ risulta allo stato meramente eventuale e ipotetica, nonche’ basata su argomentazioni generaliste in ordine all’esercizio illecito di pubbliche funzioni”.
La Cassazione ha quindi dichiarato fondato anche il motivo di ricorso con cui i difensori rilevavano una “omessa motivazione” sulla scelta del Gip di “ancorare il giudizio di pericolosita’ alla probabile candidatura di Pittella alle future elezioni regionali”: si tratta “con evidenza – conclude la Corte – di uno sconfinamento dei parametri legali che, imponendo al giudice una valutazione prognostica sfavorevole sul pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede, non possono spingersi fino alla possibilità di ritenere adeguata una misura cautelare per comprimere l’esercizio del diritto costituzionale di elettorato passivo”.