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Nuova lettera del padre di un ospite del Centro Padri Trinitari di Venosa per avere risposte su quanto accaduto e accade dopo il focolaio Covid

USB - Ufficio Stampa Basilicata 27 Settembre 2021
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Lunedì 27 settembre 2021 – Questa volta Franco Deramo, padre di un ospite dell’Istituto di Riabilitazione dei Padri Trinitari di Venosa, scrive anche alla Procura della Repubblica, Carabinieri, oltre che a Regione, Asp, Comune, Ministero della Salute.

A tutti coloro, per intenderci, che avrebbero dovuto dargli una risposta alle precedenti sollecitazioni fatte per capire cosa è accaduto e cosa sta accadendo nel Centro dei Padri Trinitari nel quale il mese scorso si è registrato un focolaio di contagio Covid che ha coinvolto numerosi ospiti ed operatori.

Deramo risposte non ne ha avuto ed ha preso penna e carta chiedendo, questa volta, che anche la Procura della Repubblica s’interessi del caso.

“Con la presente – scrive Deramo – mi vedo costretto a richiamare tutte le questioni da me poste sia nella lettera del 4 settembre che dell’8 settembre u.s.

Il 4 settembre 2021 ultimo scorso, denunciavo a tutte le Istituzioni in indirizzo la riacutizzazione della positività al Covid, all’interno dell’Istituto di Riabilitazione dei Padri Trinitari di Venosa, nonostante il doppio ciclo di vaccinazione, cui tutti erano stati sottoposti, ospiti e dipendenti.

Un evento, a distanza di 20 giorni, rimasto senza compiuto riscontro, senza spiegazione plausibile.

Chiedevo di ricercare cause possibili del dilagare del contagio, interrogavo sanitari e organi gestionali.

Nessuno, credo e spero, possa rimanere indifferente, imperturbato, senza interrogarsi come sia stato possibile bypassare duplice protezione vaccinale, dovunque protettiva, quando somministrata all’intera comunità, quando accompagnata da rigorosa applicazione delle misure di prevenzione previste dalle vigenti norme, e lì, viceversa, inefficiente e inefficace.

Un genitore, padre di un figlio afflitto da autismo grave e patologia concomitante che ne riduce la capacità respiratoria, ha il dovere di interrogare e il diritto di ottenere risposte documentate, non limitate alla telefonata giornaliera di assistente sociale che conferma il permanere di mio figlio in stato di positività “asintomatica”, senza riferimenti altri né a trattamenti specifici, né alle sue condizioni psichiatriche.

Credo che l’accertamento dello stato di fatto vada condotto da chi, avendone titolo, possieda, ad un tempo, competenza tecnica e indipendenza di giudizio, non condizionabile da rassicurazioni generiche. Analisi generiche, osservazioni rituali, magari preannunciate, non rassicurano alcuno, non portano a conoscere cause e a suggerire rimedi. Non protegge chi assicura assistenza, tantomeno chi è assistito.

Casi “particolari” sono stati ricoverati sia presso l’ospedale di Venosa, sia presso quello di Potenza. I ricoveri permangono e non è immaginabile possa trattarsi di ospedalizzazioni di favore all’Istituto, “per alleggerire la situazione”. Certamente sussistono necessità, certamente documentate nei diari clinici dell’Istituto e nelle cartelle cliniche dei centri ospedalieri.

Nessuna dichiarazione di sfiducia nei confronti di chicchessia.

L’ho affermato in passato, lo ribadisco al momento perché nessuno fraintenda e nessuno strumentalizzi. Domandare per conoscere, chiedere protezione per un figlio che soffre e per colui che lo assiste non è un atto di sfiducia. Tutt’altro.

Chiedere a chi gestisce, a chi ha responsabilità sanitaria diretta, di rassicurare nei fatti ospiti, familiari e personale di assistenza non è vessatorio. Tutt’altro.

Trattasi di struttura privata, ma di servizio pubblico, garantito da fondi pubblici in aderenza a criteri di validazione e accreditamento, che rassicurano sulla sussistenza e sul valore della gestione.

Non è previsto che il dirigente sanitario si mostri esasperato, indignato se, al recapito telefonico privato, dimenticando di averlo egli stesso concesso, il sottoscritto lo chiami, per ottenere da unica fonte autorevole, notizie cliniche del figlio, altrove inattingibili. Rifiutare brutalmente il colloquio non è civile, forse neppure umano e forse neppure deontologico. Ci pensi l’Ordine dei Medici.

Comune, Regione, Ministero della Salute son fior di Istituzioni di garanzia.

A queste ci si rivolge, a queste si torna a chiedere di adottare iniziative rassicuranti e fattive, seguite da comunicazione pubblica, rigorosa, formale, definita e sistematica.

Comunicazioni rituali, stantie sono ormai avariate e irritanti.

In attesa di cortese riscontro, alle pregiatissime Autorità in indirizzo porgo deferenti ossequi.

                                                                                     Dott. Franco Deramo“

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