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Il particolato atmosferico può favorire la diffusione aerea del Covid-19 nei luoghi chiusi: ricerca Unibas pubblicata su rivista internazionale

USB - Ufficio Stampa Basilicata 12 Gennaio 2021
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Martedì 12 gennaio 2021 – Il particolato atmosferico può favorire la diffusione aerea del Covid-19 nei luoghi chiusi: è quanto emerge da uno studio realizzato dal professor Paolo Di Girolamo, docente nella Scuola di Ingegneria dell’Università della Basilicata, e pubblicato sulla rivista scientifica “Bulletin of Atmospheric Science and Technology”. Nella ricerca sono stati analizzati i dati epidemiologici e di inquinamento da particolato nelle 110 provincie italiane durante la prima ondata della pandemia. Nello specifico, è stata eseguita un’analisi statistica per correlare il tasso di infezione e mortalità, nonché il tasso di mortalità tra i contagiati, con le concentrazioni del particolato atmosferico di tipo Pm10.

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Durante la prima ondata pandemica gran parte delle province delle regioni del Nord, soprattutto quelle che si affacciano sulla Pianura Padana, hanno subito gravi conseguenze in termini di contagi e vittime. In queste regioni elevati livelli di Pm2.5 e Pm10 sono stati osservati nei due mesi che hanno preceduto l’inizio della pandemia, con i livelli di rischio per queste due inquinanti superati in 20-40 giorni nel periodo tra Gennaio e Febbraio 2020 in molte aree della Pianura Padana, lì dove si sono registrati gli effetti più importanti in termini di infezione e vittime.

Lo studio evidenzia come il tasso di mortalità tra i contagiati risulti correlato alla concentrazione dei Pm10, con un coefficiente di correlazione pari a 0.89 e una pendenza della retta di regressione che testimonia un raddoppio del tasso di mortalità dei pazienti infetti (da 3 al 6%) per un aumento medio della concentrazione di Pm10 da 22 a 27 μg/m3.

L’inquinamento da particolato può avere un impatto diretto sul sistema respiratorio umano o agire come vettore per il virus, comportandosi così come potenziale fattore amplificante nella diffusione pandemica del Sars-Cov-2. Di fatto, il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di origine naturale o antropica, possono favorire la trasmissione aerea del virus, veicolando il virus nelle vie aeree dell’uomo. La trasmissione aerea rappresenta un importante potenziale canale di contagio, a integrazione dei più comuni meccanismi legati al contatto diretto con superfici infette e alla veicolazione via goccioline (“droplets”), soprattutto da parte dei pazienti asintomatici e negli ambienti chiusi. 

Le particelle esalate durante il respiro e la conversazione sono molto più piccole delle goccioline emesse con i colpi di tosse o gli starnuti ed hanno quindi tempi di permanenza in atmosfera molto più lunghi e sono quindi in grado di percorrere distanze molto maggiori, nell’ordine della decina di metri. Di fatto, le particelle esalate con il respiro e la conversazione possono coagulare su una particella inquinante sospesa, così consentendo l’accumulo sulla medesima di un quantitativo di virus potenzialmente sufficiente a indurre l’infezione. A tal riguardo, lo studio illustra anche i risultati di un modello microfisico in grado di simulare i processi di coagulazione tra particelle atmosferiche, fornendo una valutazione quantitativa del ruolo dei diversi meccanismi di collisione coinvolti (diffusione browniana, flusso laminare, fluttuazioni turbolente, forze gravitazionali e di resistenza). I risultati del modello hanno consentito di valutare il potenziale importante ruolo svolto dalla trasmissione aerea veicolata dal particolato inquinante nel convogliare il virus Sars-Cov-2 nel sistema respiratorio umano. Nello specifico è stato evidenziato come, in circostanze specifiche che possono verificarsi in ambienti interni, il numero di particelle potenzialmente infette esalate dall’uomo che coagulano sulle particelle Pm2.5 e Pm10 possa superare la dose minima per attivare l’infezione da Sars-Cov-2 negli esseri umani.

LINK ALLO STUDIO: 

https://link.springer.com/article/10.1007/s42865-020-00024-3

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