La storia dell’italiano che inventò il business dell’Albero di Natale è raccontata nel libro di Renato Cantore, “Il castello sull’Hudson”, edito da Rubbettino
“Ragazzino, sono il tuo albero di Natale. Tienimi bene, perché, se mi curi, posso crescere più grande e più forte, proprio come te!”. Si presentavano con questo messaggio accattivante e un po’ ruffiano inciso su una tavoletta di legno, piantati in un vaso di latta dipinto di rosso, gli alberelli destinati a rendere più allegro e luminoso il Natale di migliaia di bambini nella New York degli anni ’20, la megalopoli che si lasciava alle spalle i lutti e le paure della grande guerra preparandosi a vivere una nuova stagione di ottimismo.
Questi allegri alberelli arrivavano da Armonk, il quartiere verde di North Castle, nella contea di Westchester, a nord est della Grande Mela, e raggiungevano la città caricati a migliaia su decine di trucks, i grandi camion americani, per essere distribuiti nelle case della nuova middle-class americana.
Ad Armonk aveva fissato la sua residenza di campagna un signore di quarant’anni, uno tra i più ricchi costruttori della città, che aveva sposato una nobildonna di origini olandesi e si era costruito sulle rive dell’Hudson un castello in stile medievale, dove viveva come in una favola la sua bella storia d’amore. Questo signore si chiamava Charles Paterno, e dal 1900 era cittadino americano. Ma quando era partito da Castelmezzano, in un livido mattino dell’inverno del 1885, era soltanto un ragazzino timido e spaurito di sette anni, di nome Canio Paternò, che si metteva in viaggio con la mamma e i tre fratelli per raggiungere il papà che aveva tentato la fortuna in America.
Arrivato nel paese dei sogni e delle mille opportunità, perduto l’accento e cambiato il nome, Charles aveva subito messo in luce le sue straordinarie qualità, lanciandosi nel business edilizio nella città dei grattacieli, e cambiando la faccia a interi quartieri di Manhattan. A quarant’anni, soddisfatto per aver dato un tetto, solo nel West Side, a 28mila persone in 75 palazzi, ma per nulla appagato nella sua volontà di sognare in grande, aveva acquistato una vasta tenuta di oltre settecento ettari, dove aveva potuto dare libero sfogo al suo amore per la natura. E furono giardini colorati, laghetti artificiali, perfino mulini a vento. E, su quella che era solo una brulla collina, a Bedford Hills, mise a dimora il numero incredibile di un milione e mezzo di piantine sempreverdi: pini, cedri, abeti di varie specie. Le acquistò a un cent ciascuna. E per dieci anni le avrebbe rivendute come alberelli di Natale a un dollaro e mezzo, al ritmo di trenta-quarantamila l’anno. Fatti due conti, sono seicentomila dollari, una fortuna per l’epoca. Il tutto senza intaccare minimamente lo splendido panorama verde della collina.
Il re dei grattacieli aveva capito per primo che anche l’alberello di Natale poteva diventare lo strumento di un grande business. Ma sapeva pure che non si vive di soli affari. Specialmente a Natale. E a Natale una delle diciassette serre che circondavano il suo castello si svuotava di migliaia di piante di Stelle di Natale, le poinsettias scarlatte di cui Charles e la moglie Minnie andavano tanto orgogliosi. Finivano gratis nelle case di amici, collaboratori, operai delle imprese di famiglia, e addobbavano a festa gli eleganti saloni di Casa Italiana alla Columbia University, cui Charles aveva regalato una biblioteca di 20mila volumi.
Ma il suo dono più fantasioso Charles lo avrebbe preparato in silenzio, per anni, alle sue tre nipotine. Stava addestrando di nascosto quattro renne a tirare una slitta. Aspettava un Natale con la neve. Si sarebbe vestito da Babbo Natale, avrebbe preso le bimbe, e sarebbe montato sulla slitta lanciandola a tutta velocità, con tutto il carico di sogni e di fantasia, lungo la Fifth Avenue.
La morte, che lo raggiunse inattesa sul green di un esclusivo country club, gli impedì di fare quest’ultimo regalo di Natale.