E’ il giorno della tanto auspicata ripartenza, ma non per tutti. Oggi, mentre l’Italia prova a ripartire con il pericolo del virus a meno di un metro di distanza, moltissime persone resteranno a casa perché senza un lavoro. Una quarantena prolungata, obbligata, senza via d’uscita. Sarà il primo lunedì al sole dell’era Covid (per il post è ancora troppo presto), un lunedì che molti ricorderanno come l’inizio di una nuova storia e che tanti, troppi, vorrebbero cancellare. La crisi economica che stiamo vivendo sta tagliando in più parti il tessuto sociale del paese, aumentando le differenze tra chi potrà provare a risalire la china e chi no. C’è frustrazione, rabbia, dolore, disperazione, impotenza. Chi ha perso il lavoro oggi proverà un dolore aumentato, una rabbia difficile da placare con le sole buone parole. Anche se un giorno arriveranno i soldi della disoccupazione o delle varie forme di reddito, è l’inoperatività che fa più male, quel senso di impotenza che immobilizza e spezza via ogni sogno, ogni ambizione.
Nella fase che si apre adesso, che non ci troverà migliori di prima, non ci sarà spazio per chi è adesso fuori dalle fabbriche e dagli uffici. I dati dell’Istat dicono che la stima preliminare del Pil italiano, riferita al primo trimestre dell’anno, risulta in calo del -4,7% rispetto al trimestre precedente e riporta una variazione acquisita del -4,9% per il 2020. Ed è solo l’inizio, perché la profondità di caduta del Pil italiano sarà enorme. La politica perde tempo a discutere tra Mes ed Eurobond, infarcisce la propria propaganda di parole d’ordine tossiche aumentate da fake news costruire ad arte che diventano pietre, massi, contro la realtà. Alcune stime dicono che la disoccupazione in Italia potrebbe arrivare al 17%. Più andremo avanti con i giorni e più non ci sarà spazio per questa disperazione, per questo disagio, per le domande di futuro che le vittime della crisi economica non smetteranno di porre. Ma chi davvero ascolterà queste domande? Quale politica vorrà ascoltarle? E chi riuscirà davvero a dare risposte? Risposte che non siano forme assistenzialistiche di reddito ma di dignità, di lavoro, di impiego ed impegno.
Chi non ha più un lavoro, questa mattina si è alzato con un vuoto interiore che non riuscirà a riempire. Le parole, tante, ascoltate e lette in questi giorni, sono solo facili e fallaci illusioni che si dimostrano inconsistenti alla luce del sole del 18 maggio. Sarà difficile andare avanti così per molto tempo. Sarà difficile contenere questa rabbia sociale che rischia di esplodere da un momento all’altro. Perché come nel famoso film con Javier Bardem, “I Lunedì al sole”, “ogni è giorno è lunedì. Quando si è disoccupati, depressi, incazzati, disillusi, sconfitti, allora un giorno vale l’altro; ogni giorno è lunedì quando sei un emarginato”.
Invisibili, ecco cosa siamo diventati noi disoccupati all’alba del 18 maggio. E lo saremo ancora per molto tempo. Noi si che resteremo a casa, non andremo a spendere i nostri soldi nei bar e nei ristoranti, non faremo più tutto quello che un tempo ci piaceva fare. Non solo per paura del contagio ma perché impossibilitati a farlo senza un minimo di certezza economica in tasca. Che senso ha occuparsi di come saranno le vacanze? A chi importa se nel ristorante ci saranno uno o due metri di distanza tra un tavolo e l’altro? Invisibili e soli, così saremo. Una solitudine specchiata, un distanziamento sociale netto, continuo, che ci allontanerà pericolosamente dal futuro. Forse non ci ammaleremo di Covid ma portiamo già addosso i segni di un altro pericoloso contagio che non conosce cure, ospedali, balconi danzanti ed eroi.
Adesso che il lockdown è finito inizia la traversata nel deserto, senza acqua e senza una rotta tracciata. Sarà una battaglia senza umanità, una lotta senza esclusione di colpi: : una lotta senza esclusione di colpi che produrrà solo altri morti e feriti. L’Italia oggi riparte ed è una buona notizia, ma chi si è dovuto fermare senza poter ricominciare questa mattina avrebbe voluto tantissimo andare al bar, bere un caffè e rimettersi a lavorare, a correre, a vivere.