Tredici mesi di lavoro non retribuito. Tredici. La denuncia arriva dai giornalisti collaboratori della Gazzetta del Mezzogiorno, quelli non contrattualizzati, per intenderci. Quelli senza tredicesima, senza “malattia”, senza ferie. Senza stipendio da tredici mesi. Quelli che oggi, dopo tredici mesi, provano a far sentire la loro voce ma con rispetto ed educazione senza abbandonare la nave ma provando, anzi, con il loro impegno, ad evitarne il naufragio.
Di seguito la lettera dei collaboratori di Puglia e Basilicata della Gazzetta del Mezzogiorno
In questo drammatico momento per la vita del “nostro” giornale per la prima volta anche noi collaboratori della Gazzetta sentiamo il bisogno di far sentire la nostra voce. Ci siamo abituati in questi anni ad essere sistematicamente considerati “invisibili” per quanto concerne la retribuzione del nostro lavoro. Non ce ne voglia il dottor Mario Ciancio Sanfilippo se, dopo aver letto le sue dichiarazioni all’Ansa (“… garantendo durante la propria gestione la puntuale corresponsione delle retribuzioni a giornalisti…”), gli precisiamo che così non è, almeno per quello che ci riguarda. Il nostro lavoro di collaboratori, infatti, non è stato retribuito per il periodo marzo-agosto 2018 (gestione Ciancio). Sei mesi, che non sono poca cosa (almeno per noi). Anche l’amministrazione giudiziaria ci ha riservato lo stesso “trattamento”. L’elenco delle mensilità per cui il nostro lavoro non è stato retribuito si è allungato, sino a raggiungere, ad oggi, complessivamente quota tredici. Nonostante sia un dato acquisito che noi collaboratori, con il nostro lavoro quotidiano, contribuiamo affinchè la Gazzetta conservi la sua peculiarità di autorevole voce di ogni comunità di Puglia e Basilicata, sistematicamente, quando si è trattato di scegliere tra chi retribuire e chi non retribuire, siamo stati ignorati. Nonostante questo, la maggior parte di noi non ha tirato i remi in barca e ha proseguito con immutata grinta nel suo impegno quotidiano perché questo giornale fosse la Gazzetta. Oggi prendiamo atto del fatto che non solo il nostro impegno potrebbe non essere servito a niente, ma nel momento della “deriva” nessuno si ricorda che ci siamo e che se la nave dovesse affondare ognuno di noi perderà qualcosa in questo naufragio. Poco o molto che sia non è importante: un anno – scusate se è poco – del nostro lavoro non verrà retribuito. Parliamo di lavoro, non di volontariato. Lavoro a cui abbiamo dedicato tempo ed energie, mettendoci passione, impegno e professionalità. Per noi sarebbe uno smacco nello smacco se, anche adesso, nessuno, a tutti i livelli, si ricordasse che ci siamo. La nostra condizione di “figli di un dio minore” non ci consente di scioperare o mettere in campo altre iniziative di sensibilizzazione, ma questo non significa che non abbiamo una dignità.