La città è da sempre il luogo delle speranze e della attese, il teatro della nostra esistenza quotidiana fatto di atti e di scene. Viviamo ancora con il pericolo del Coronavirus ma il futuro che si apre davanti a noi non è mai stato così pieno di straordinarie suggestioni, soprattutto per quello che riguarda Potenza. La crisi che stiamo vivendo, non solo sanitaria, inevitabilmente apre anche nuove possibilità, ad inedite opportunità.
Oggi non è più rinviabile la messa a sistema di una nuova idea di città, che tenga al centro la persona, la sua cura, le sue libertà e servizi altamente innovativi per sostanziare una trama che connetta le persone, le informazioni, i diritti, le opportunità. Tre sono oggi le grandi direttrici di pensiero sulle quali va intessuta la trama delle azioni: ambiente, sicurezza, digitale. La difesa della salute è da sempre uno dei fari dell’architettura moderna, così dice l’architetta spagnola Beatriz Colomina nel suo libro “X-Ray Architecture”. Non è un caso, infatti, che le prime leggi urbanistiche sono state scritte nel XIX secolo per gestire al meglio le malattie infettive durante la Rivoluzione Industriale. In quel caso furono introdotte norme per aumentare le dimensioni delle abitazioni, in modo da ottenere una maggiore ventilazione e più luce. Sempre la Colomina ha asserito in un’intervista alla rivista di architettura Pin-Up, riferendosi all’epidemia di tubercolosi, che “La malattia è ciò che ha modernizzato l’architettura, non solo i nuovi materiali e le nuove tecnologie”. Perché? “Perché una persona su sette è morta di tubercolosi nel mondo, ma in una grande metropoli come Parigi si è arrivati a una su tre”.
Ma come tenere insieme l’esigenza di costruire città sicure con il grande tema ecologico? A questa domanda ha provato a rispondere il sociologo americano Richard Sennet, il quale sostiene che l’unico modo possibile per garantire il distanziamento sociale evitando però di intensificare l’uso dei trasporti pubblici, e quindi di aumentare l’emissione di gas tossici, è replicare i concetto di “città dei 15 minuti” che Parigi sta adottando: una strategia che permette di muoversi a piedi o in bicicletta per andare al lavoro o a fare compere, avendo tutto o quasi a portata di mano. Questa è un’idea, sicuramente da cucire su misura, ma non impossibile da realizzare anche a Potenza.
Si è avviato il dibattito anche qui su come pensare la città post Covid. Bene, è sintomo di una vitalità culturale ed intellettuale. Senza entrare troppo nei tecnicismi, non è terreno di coltura per chi scrive, ci permettiamo solo di individuare alcuni punti, provocazioni, e sollevare qualche domanda.
Perché una città che si può vivere in 15 minuti ha alla base una strategia che è legata alla rigenerazione delle periferie. Una delle lezioni più significative di questo tempo che stiamo ancora vivendo non è solo lo smart working – a proposito: serve un piano concretissimo di digitalizzazione dell’intero tessuto urbano che guardi al futuro, lasciando perdere i profeti di sventura e complottisti anti 5g- ma soprattutto il ritorno ad una vita di quartiere che ha rivitalizzato l’economia del commercio di prossimità. Ci si muove prevalentemente a piedi, in massima sicurezza, e si sceglie di fare la spesa nel negozio più vicino alla propria abitazione. E’ così i tutte le aree urbane? Ci sono tutti i servizi di cui abbiamo bisogno? Il ritorno a questa pratica non apre solo il cassetto dei ricordi, non stimola solo la nostalgia (ma per andare verso il futuro bisogna sempre ricordare il passato) , ma permette di gestire facilmente un’esigenza primaria e, allo stesso tempo, di dare linfa vitale ai piccoli negozi, alle botteghe, agli esercizi commerciali che rischiavano di essere soffocati dalla presenza di grandi ipermercati e centri commerciali, dove peraltro è naturale che si creino degli assembramenti numerosi. Insomma, non sono cambiati i nostri bisogni ma le nostre abitudini: una rivoluzione che sta rivitalizzando un pezzo importante della nostra economia urbana. Eccolo qui il pericolo della crisi che si trasforma in opportunità.
La sfida è quindi intervenire nelle nostre periferie, nelle contrade, ridisegnarle, portare lì servizi, potenziare quello che già c’è, aprire piccoli cantieri – che vuol dire mettere a disposizione dei micro crediti e permettere anche alle piccole imprese edili di poter lavorare – creando così le condizioni per poter mettere a disposizione di tutti i cittadini opportunità da poter cogliere al meglio, affrontando così il degrado urbano e le solitudini. Il nuovo umanesimo deve diventare l’orizzonte ideale dell’azione pubblica e della politica.
Questo discorso non vale solo per il commercio di prossimità ma anche per i luoghi di divertimento e di ricreazione, oltre che per tutte le altre funzioni essenziali che servono e che creano cittadinanza. Che senso ha oggi avere una concentrazione così massiva di attività in un’unica zona della città che, peraltro, non è dotata di passeggio pedonale e di piste ciclabili? Quell’idea di sviluppo urbano oggi si mostra in tutti i suoi limiti, bisogna cambiare.
Per affrontare le emergenze sanitarie si guardi con attenzione al progetto CURA (acronimo di “Connected Units for Respiratory Ailments”, ovvero “Unità connesse per le malattie respiratorie”) sviluppato da Carlo Ratti Associati con Italo Rota nato per aiutare nella risposta all’emergenza Coronavirus. Un ecosistema di servizi diretti, facili da raggiungere, praticamente su misura, realmente smart. Così facendo aumenterà la qualità della nostra vita e diminuirà il tasso di inquinamento della nostra città. E’ un obiettivo da perseguire ora più che mai.
Questa è una prima ipotesi di lavoro possibile, concreto e misurabile. Ambiente e Sicurezza si possono coniugare così, non è impossibile. Ma non è l’unica proposta. Nei prossimi mesi saremo chiamati a modificare spesso i nostri comportamenti e le abitudini. L’azione immediata deve essere improntata alla diminuzione del numero di auto in circolazione modificando così l’uso dei tanti parcheggi per dare la possibilità a bar e ristoranti di espandersi all’esterno. Tre priorità: incentivare l’uso di biciclette (buona la proposta del Sindaco Guarente, si vada avanti senza perdere troppo tempo); aumentare gli spazi pedonali ; mettere in sicurezza il già costruito. Chi scrive ha fatto del racconto digitale dell’attraversamento a piedi di Potenza un hashtag, #euapiedi, molto virale e che ha messo la città al centro del mondo.
Queste due proposte partono dall’esperienza quotidiana, da modelli di riferimento internazionale e da alcune domande. La città si attraversa o si vive? Si abita o si consuma? Ci si serve della città o si è servitori? E poi: quanta altra periferia si può aggiungere alla periferia? Che limite ci deve essere all’espansione? Fino a che punto è necessario costruire il nuovo invece di rigenerare l’esistente? Quante città ci sono in una sola città? Potenza che città vuole essere domani? Noi potentini cosa possiamo fare adesso per migliorarla ed essere una comunità responsabile?