Andrea Di Consoli qualche giorno fa ha scritto un post molto giusto. Dice: “Come in tutte le guerre, anche dopo questa pandemia ci saranno vincitori e vinti. Vale per il più piccolo comune come per la più grande nazione. La guerra è una crudele accelerazione dei meccanismi di selezione socio-economica. I più a rischio sono coloro che pensano di mettersi al riparo sotto l’ombrello statale, che è il primo ad aprirsi ma anche il primo a essere spazzato via dai venti della tempesta. La guerra si vince là fuori, non qui dentro. Ecco perché fra poco bisognerà essere molto forti e determinati”.
Essere forti, ma come? Come si fa ad essere più forti? Dove trovare la forza che serve per un tempo nuovo, che nessuno conosce, che non ha precedenti e nemmeno in versione ridotta. Non c’è futuro già conosciuto per questo eterno presente, che un po’ è già passato. I giorni trascorrono ma quella luce in fondo al tunnel è ancora lontana, impercettibile, un miraggio. Come in un deserto ci muoviamo sgomenti temendo di incrociare un pericolo che non fa rumore, non si vede, eppure è lì, fuori da questa finestra e può arrivare da chiunque.
Ci sono stati giorni in vita mia che tutto aveva un nome, una voce, un colore; ma questi, adesso, sono tutti bianchi, con lo stesso nome, con lo stesso suono, con lo stesso sapore. Oggi che giorno è? E che differenza c’è tra questo e quello che è già passato? Sono cambiato io? E’ cresciuta la mia barba? Sono cresciuti i miei capelli? E quali parole nuove sto usando oggi per raccontarmi? Cosa dirò a mia madre quando la chiamerò? Cosa mi dirà lei di nuovo? Nulla. Non ho niente di nuovo da dire. Non ci sono novità, se non nei numeri. Ma questi numeri cosa raccontano? Cosa rappresentano? Ci rappresentano? Sono in grado di interpretare le nostre vite chiuse in casa? Nessuno che si sta chiedendo cosa davvero vorremmo sentirci dire. La verità, certo. Ma quale? Quella dei numeri o quella delle paure che nessuno somma? Perché abbiamo timori che non vengono conteggiati, che nessuna curva riesce a riportare. La paura più grande è quella di perdersi in questa pandemia, di smarrire la propria vita, di dover ricominciare da capo dopo anni di sacrifici e sogni che ancora dovevano essere realizzati. Le ambizioni restano, almeno quelle non potrà levarcele nessun Covid, finché saremo in vita. Ma il resto è tutto ignoto. Non una via, non una parola, non una sola indicazione che non sia “restate a casa”. Ma noi a casa ci restiamo, è cosa ci aspetta lì fuori che non è dato sapere. Chi ci aspetta? Cosa? Chi ci aspetterà davvero quando tutto sarà finito? Quando sarà finito? Ognuno vivrà le proprie paure, ognuno avrà un racconto da fare, una lettura di quello che è stato, una verità in tasca da srotolare quando ci ritroveremo seduti a pranzare o cenare con chi in questi giorni abbiamo solo visto dietro lo schermo piccolo di un telefono. Forse ci sarà una storia che più di altre racconterà la nostra vita immersa in questa pandemia, ma sarà la storia che nasconderà le altre, creando nuovi stereotipi e nuove bugie. Ed è quello che vuole fare certa politica, populista ed estremista, che sa nutrire la propria propaganda solo di paura senza speranze. Lo vediamo tutti i giorni, lo leggiamo ad ogni virgola dei post sui social network, nelle pagine di certi giornali, nelle urla scomposte di politicanti professionisti o nelle facili digressioni dei personaggi cicaleggianti che ancora abitano nei talk-show.
Ci sforziamo di raccontarci una storia, unica, che inizia con “andrà tutto bene”. Ma non è vero, è una bugia, è una storia che non vale per tutti, che può servire per cantare qualche canzone alla finestra, ma quando vivremo le nostre vite fuori da qui non ci sarà l’arcobaleno che troveremo nel cielo a colorare il nostro cammino. Questo virus non livellerà le vite di chi resterà, ma sarà l’ennesima cesoia che dividerà violentemente i poveri dalle possibilità, i disoccupati dalla dignità, le vite degli altri dalla nostra.
Bisognerà essere forti anche quando i ricordi si presenteranno ai nostri occhi, uscendo di casa in un giorno d’estate, o nel cuore della notte sotto la forma di un incubo che sveglia come una sberla in piena faccia. Bisognerà essere forti anche quando, il giorno dopo, saremo in mezzo ad una strada, tra tanta gente, e vivremo impauriti dal tocco e dal respiro dell’altro. Dovrà essere ancora più forte chi si ritroverà senza un lavoro, con l’angoscia nel cuore e la dignità sotto i piedi. Con quali occhi guaderà al passato chi ha perso ogni cosa? Come sarà il futuro di chi non avrà più un lavoro per vivere? Sono giorni duri, verticali, che nascono a tradimento. Viviamo chiusi nelle paura, che non è roba degli altri e che nessuno può sollevarci. Ma in questo tempo dobbiamo avere la misura del tutto, non perdere il peso della bellezza, raccogliere e conservare l’umanità che ci circonda. Anche di questo dobbiamo occuparci adesso. Perché queste ore in cui si contano morti e vite in bilico, ristabiliscono le priorità, rimettono al centro la cura della nostra esistenza e quella delle persone che amiamo.
Oggi è il 15 aprile. La Basilicata il 13 aprile ha fatto registrare 0 contagi, il 14 uno solo: una bella notizia che fa ben sperare. Non servono i trionfalismi delle tifoserie della politica e dei governanti di turno, siamo ancora nel mezzo della tempesta. Qui da noi, in Italia e nel mondo uomini e donne ancora muoiono o si ammalano. Le bare che vanno verso i cimiteri sono ancora troppe. E’ una pandemia, non possiamo dimenticarlo, anche se i numeri lucani sono bassi. Dobbiamo imparare a convivere con il virus. La notte non è finita, è tutta ancora da attraversare, ma l’alba quando verrà sarà nuova.
Stringiamoci forte.