È domenica anche per noi
Con la paura addosso non ci fai nulla di buono, questo Francesco lo sapeva bene. Erano mesi che a lavoro le cose non giravano più bene come un tempo: nonostante non mancassero clienti la tensione in ufficio si era fatta sempre più tesa a causa di una litigata furiosa tra i due soci proprietari della concessionaria di auto nella quale lavorava da più di tre anni. Tre anni di lavoro nello stesso posto sono, di questi tempi, già un fatto molto importante, questo Francesco lo sapeva e faceva di tutto per poter conservare questo lavoro. Si occupava dell’officina, ma non era un meccanico, gestendo auto in entrata ed in uscita, clienti molesti e debitori di lungo corso. Aveva studiato da operatore dei beni culturali, ma dopo qualche esperienza all’Archivio di Stato e in un paio di biblioteche comunali della zona, trovò lavoro in questa concessionaria di auto i cui proprietari, marito e moglie, da un po’ di tempo non se la passavano più bene. Motivo? Lei aveva tradito lui, o almeno era questo quello che lui sospettava. Con chi? Con un suo dipendente, Emilio, più giovane di lui di almeno venti anni e con l’aria di chi la strafottenza ce l’ha nel sangue come le piastrine. Il che va bene quando devi vendere auto, ma se pensi che tua moglie abbia una relazione con un tipo così la cosa ti fa incazzare, e non poco. Pur avendo un ottimo rapporto con i due capi, Francesco cercava di starne fuori il più possibile, evitando di fare domande e di esprimere giudizi. Si sentiva appeso ad un filo che pendeva dal soffitto della concessionaria, tra auto di ultima generazione e qualche buon usato o km zero. Si muoveva con prudenza, come un mercante in un grande affare, ed in cuor suo sperava che questa crisi sentimentale potesse finire il più possibile, magari con un licenziamento del suo collega che tanto casino aveva portato da quando era arrivato. La solidarietà umana è spesso una categoria per romanzieri e cantautori, nella vita reale c’è poco spazio per il perdono, la comprensione, le seconde opportunità. Soprattutto se da una decisione presa ne deriva un’altra che può riguardarci direttamente. Provate a vedere l’odio che scorre su Twitter e capirete bene di cosa stiamo parlando. Per scaricare la velenosa tensione che si respirava a lavoro, Francesco si dedicava lunghe passeggiate lungo il fiume della città o nelle vie del centro con il piccolo nipote, figlio della sorella Lorenza. Daniele, otto anni, era nato il giorno in cui Francesco si dichiarò a Letizia. Il 25 marzo vennero al mondo un piccolo bambino ed un nuovo amore. Letizia era l’ostetrica che aveva fatto nascere Daniele, mora e mediterranea, con gli occhi intensi e la gentilezza di una principessa austroungarica. Quel giorno si scambiarono uno sguardo rapido e potentissimo, la sera erano a festeggiare la nascita del nipote, dopo un mese erano già alle prese con un weekend da organizzare. In questi otto anni non sempre le cose erano andate bene, il più delle volte per colpa del lavoro, altre per quella impetuosa ed ingestibile paura che sul più bello tutto sia destinato a finire. Per alcuni anni fu così, poi smisero di fare la guerra contro tutto e tutti, soprattutto contro i propri fantasmi, e iniziarono a godersi la
normalità di un rapporto d’amore che, nonostante tutto, era uscito vivo dalle tempeste più dure. Quanto è sottovalutata la normalità dei sentimenti, quando riescono ad essere autentici e senza bisogno di effetti speciali. Come il primo bacio all’uscita da scuola, dato di fretta per non farsi vedere e con gli occhi chiusissimi; ce ne siamo dimenticati di tutta quella bellezza, dello stupore della scoperta dei brividi che corrono sulla pelle.
Andò a prendere Daniele alle 11 del mattino, come d’abitudine. Un bacio, un abbraccio, la cintura allacciata e le note della sua canzone preferita, “Acrobazie” di Dorso. La sapeva a memoria, la cantava sempre, alzando la voce quando il talentuoso cantante Indie diceva: “È domenica anche per noi. Guarda la luna nel mare che si fonde con le onde, non pensare che sia male un gelato in pieno inverno. Pensa alle labbra degli altri che si muovono fra mille acrobazie. Per evitare le bugie. Per evitare le bugie”. Dopo vari giri riuscirono a parcheggiare in una strada stretta e lunga del centro storico. Era la domenica dei musei aperti, una delle migliori trovate degli ultimi anni per permettere a tanti di conoscere, scoprire, riappropriarsi della bellezza dei beni culturali di questo strano Paese, l’Italia, che ha un rapporto conflittuale con la propria memoria sulla quale dovrebbe fondare l’idea di futuro e invece lo demolisce a colpi di intolleranze, chiusure, odio, rancore. Dopo un’ora, all’uscita, incontrarono un caro amico medico che non vedeva da tempo. Un abbraccio, un come stai?, e poi la domanda:
«Ma è tuo figlio? »
«No, è mio nipote. »
«E allora tu quando? »
« Bah, mo vediamo… »
«E datti da fare, sù. »
«Stammi bene, Franco. »
«A presto. E salutami i tuoi. »
«Sarà fatto. »
Prese la mano di Daniele e si tuffarono nelle strada lunga e dritta del centro storico. Con molta lentezza si muovevano in quel viale costeggiato da piccole botteghe, farmacie e bar, mentre la gente lo animava con le parole scontate della domenica. Si fermarono in una pasticceria storica, famosa per le sue torte e per le sue millefoglie altissime con dentro panna, crema e scaglie di cioccolata: una delizia a cui non sapeva resistere. Prese il numero, 56, aspettò 10 minuti, dando un occhio al telefono e l’altro a Daniele che si aggirava da solo tra le vetrinette ed i frigo con dentro gelati e semifreddi, e poi fu il suo turno. Come un duo comico d’avanspettacolo scelsero dolci di ogni genere dando per ognuno un nome di fantasia inventato al momento; lo facevano spesso, si divertivano a creare parole nuove come “pannasotto”, “cremosuccio”, “cioccolatinissimo” e il “tante tante foglie gocciolato”. Finito di ordinare, mentre la ragazza bionda e ridanciana confezionava il tutto, la proprietaria della pasticceria gli chiese:
«Che bel bambino, è suo figlio? »
«No no, è mio nipote… »
«Ah…credevo….ma lei non ne ha figli? »
«Veramente no, ma sono fidanzato»
«Quindi? »
«Quindi non abbiamo ancora programmato»
«Eh! Questi giovani, aspettano sempre e perdono solo tempo»
«Ma no, è solo che… »
«E’ solo che? »
«E’ solo che di questi tempi, no…sa com’è? »
«Lo so io com’è. Voi volete ancora la vita comoda, il caffè a letto e dare buoni consigli agli amici senza farvi sfiorare nemmeno dall’idea di essere responsabili e adulti”
«Ehm…andiamo piccolo, che è tardi»
«Ecco, è esattamente così. Dovete sempre fare altro, e non fate mai la cosa giusta… »
«Buona domenica anche a lei, grazie di tutto! »
Uscirono e si diressero verso la macchina, mentre stavano entrando passò con la bici un cugino di Letizia, Alfonso, che non vedeva da molto tempo.
«Hey! Come stai, Alf? »
«Bella France’! Tutto bene, e tu? »
«La solita, non ci lamentiamo. »
«E lui è Daniele, vero? »
«Si, è proprio Daniele. »
«E’ proprio un bel bambino, si vede che ha preso dalla mamma e non dallo zio. »
«Ma che dici? Lo vedi che siamo due gocce d’acqua? »
«Si, ma una è evaporata»
«Ma che fai da queste parti? »
«Ho ripreso la bici, erano settimane che non pedalavo più. »
«Hai fatto bene. »
«E tu? »
«Un giro con il piccolo, Letizia è andata all’Ikea con la madre. »
«E ti capisco, hai fatto bene a mollarle. »
«Alf’ fatti vedere, magari una sera di queste andiamo a bere qualcosa insieme»
«Certo, France’. Ciao Daniele, ma hai chiesto a zio quando lo fa un bel cuginetto? »
«Alfo’, mo pure tu? »
«Che? »
«No, niente. Ci vediamo presto, ok? »
«Si, a presto. »
Finalmente entrarono in macchina. Senza nemmeno aspettare un minuto in più Daniele gli disse:
«Ma che volevano tutti questi tuoi amici da te? »
«Ma che ne so! Io so solo che volevo farmi una passeggiata con te e invece…»
«Senti, zio, la prossima volta andiamo allo stadio, che è meglio. Tanto tu i dolci nemmeno puoi mangiarli che sei a dieta. »
«Grazie, eh. Grazie che me lo ricordi, soprattutto di domenica. Ma che carino che sei, eh!»
«Andiamo a casa? Devo giocare a Fortnite! »
«Si, ce ne andiamo subito. Che giornata, tu non puoi capire. Quando diventerai grande ti racconterò di questa domenica peggio di un qualsiasi lunedì»
«Ok. Ma adesso dammi il telefono che devo giocare. »
«Ah. Ok. Tieni. »
« E non stare così, si vede che sei triste. Tanto io un cuginetto non lo voglio, mi basti tu!»
La macchina scomparve nelle curve di cemento e asfalto. Chissà se un giorno Daniele si ricorderà di questa domenica. Ma soprattutto, chissà come sarà quel “tante tante foglie gocciolato”.