Era d’estate
L’auto parcheggiata nel punto più caldo del mondo. Un fuoco con quattro ruote. L’aria condizionata? Scarica, ovviamente. Entrò, abbassò i finestrini, si levò la giacca e si sbottonò la camicia fino al possibile. Bere l’acqua nella bottiglietta lasciata per sbaglio sul sedile del passeggero sarebbe stata una follia. Si convinse che il caldo, quel caldo infernale, faceva bene alle ossa, così decise di mettere in moto ed attraversare la città per fare la spesa, sperando di trovare qualche negozio aperto. Alla radio suonavano i tormentoni del momento, le felicità puttane delle stagioni senza più Festivalbar e milioni di visualizzazioni su YouTube.
Era domenica mattina, quasi mezzogiorno, cambiò stazione per ascoltare un notiziario. Cronaca politica, cronaca giudiziaria, cronaca rosa e quella sportiva in tutte le salse. Ma nell’estate senza sabbia ed ombrelloni è il balletto del calciomercato il vero tormentone. Poi una voce calda e raffinata, lesse il classico elenco degli accorgimenti da tenere presente in giornate afosissime come questa. “Evitare di uscire nelle ore più calde della giornata, bere almeno 2 litri d’acqua al giorno, consumare molta frutta e verdura, indossare indumenti leggeri e di colore chiaro. E ancora, evitare l’esposizione diretta al sole, non bere alcolici o bevande ghiacciate, chiudere le imposte nelle ore più calde, limitare l’uso di fornelli e forno, fare bagni e docce con acqua tiepida, non indirizzare i ventilatori direttamente sul corpo e passare più tempo possibile in ambienti con aria condizionata.”
Dopo la spesa, se ne tornò a casa ma senza grande entusiasmo. Preso dalla noia, aprì il primo giornale che aveva a tiro. C’era la foto del politico di turno, un sindaco o un parlamentare, non sapeva bene, in spiaggia mentre faceva il bagno. Nella pagina accanto c’era l’immancabile commento del mancato premio Nobel per l’economia che spiegava il perché di tutto questo tardo sviluppo e lento progresso. Saltò qualche pagina e finì negli spazi degli eventi. Lì, come da copione, c’era l’intellettuale di provincia che esaltava la programmazione estiva di quel tale comune o di quella precisa piazza, ma solamente perché ne era l’ospite principale dell’immancabile, imperdibile, festival letterario con tanto di targa, foto ricordo, e posa plastica, da postare immediatamente sui social network. Continuava a sfogliare il quotidiano, eppure era consapevole che quel rito stanco lo avrebbe condotto sulle strade lastricate del racconto di è quella solita storia del meteo, degli anziani che escono nelle ore più calde e delle foto agli scontrini esorbitanti di Venezia, Roma, Firenze e Porto Cervo. Aprì il frigorifero, prese una bottiglia ghiacciata di the alla menta e se ne andò sul terrazzo. Non c’era un minimo di ombra, nemmeno a pagarla. Provò a ripararsi sotto un vecchio ombrellone arrugginito che i vecchi proprietari di casa avevano lasciato. Si distese sulla sdraio giallo ocra e iniziò a bere il the a piccoli sorsi. Con la mano libera, quella destra, teneva in mano il suo telefono e con un gioco di polpastrelli scorreva le immagini che l’algoritmo del social network gli proponeva. Gente al mare. Ragazze in costume. Fidanzati abbracciati al tramonto. Era tormentato da tutte quelle immagini di inutile felicità. Dopo un quarto d’ora rientrò in casa, si diede una rapida rinfrescata e si vestì per scendere al bar sotto casa. Lì almeno avrebbe trovato persone che come lui stavano passando questa torrida domenica di estate in città, e sicuramente con loro avrebbe condiviso l’alfabeto dell’indignazione ed il canto del lamento. Seduti ai tavolini c’erano una coppia di anziani, due ragazzi intenti a rullare sigarette ed ad ingollare birre in lattina, due ragazze che sembravano appena uscite da un telefilm degli anni ottanta ed uno strano tipo sulla quarantina che fumava il sigaro e beveva Pastis.
Si mise a sedere tra il fumatore e le ragazze, ordinò da bere e aspetto pazientemente il ritorno del cameriere. Poi, una volta tornato con il suo bicchiere di the freddo, iniziarono a parlottare di calcio e mercato. Ma all’improvviso, come preso da un raptus, lo guardò egli occhi e gli disse: «Sai, odio l’estate. La odio proprio, non ci posso fare niente. Lo so, stavamo parlando della panchina del Milan, ma so che puoi capirmi. Odio l’estate perché dura troppo poco. Odio l’estate per le file in autostrada. Odio l’estate perché fa troppo caldo. Odio l’estate perché la sabbia scotta. Odio l’estate per le amichevoli a tarda notte. Odio l’estate perché non c’è il campionato. Odio l’estate perché si suda spesso, senza piacere. Odio l’estate perché in metropolitana è un inferno. Odio l’estate perché mi fa male l’aria condizionata. Odio l’estate perché genera fallaci illusioni. Odia l’estate perché al tramonto fate tutti la stessa foto. Odio l’estate perché al tramonto prendete tutti lo stesso pessimo aperitivo. Odio l’estate perché la birra si scalda subito. Odio l’estate perché le zanzare di notte sono bastarde. Odio l’estate perché tutti rimandano tutto a settembre. Odio l’estate perché la pioggia non bagna il nostro amore , però che cazzo, non la smette più. Odio l’estate perché i baci perduti non sono niente quando perdi le chiavi della macchina nella sabbia. Odio l’estate perché la Versilia è bella, ma non ci vivrei. Odio l’estate perché le vostre vacanze durano almeno tre settimane. Le mie mezza. Odio l’estate perché la musica è tutta uguale, sempre la stessa. Odio l’estate perché i tormentoni sono peggio del trapano del dentista. Odio l’estate perché su Instagram le ragazze…vabbè’ ci siamo capiti. Odio l’estate perché ci sono almeno tre matrimoni a cui devi andare, se no pare brutto. Odio l’estate perché non so nuotare. Odio l’estate perché anche quest’anno non sono andato in palestra mentre tutti gli altri staranno facendo sfoggio dei loro fisici scolpiti. Odio l’estate perché sono pigro e non voglio fare niente di niente. Odio l’estate perché “Amore, hai messo la crema?”; “Amore, mi vai prendere un gelato?”; “Amore, facciamo il bagno?”; “Amore, andiamo alla sagra?”; “Amore, mi porti a ballare?”; “Amore, fammi una foto!”. Odio l’estate perché in spiaggia c’è sempre quella musica che parte proprio quando ti stai addormentando. Odio l’estate perché dovete spiegarmi cosa cazzo è l’apericena. Odio l’estate perché in televisione fanno sempre gli stessi film. Odio l’estate perché io lavoro mentre gli altri stanno con le chiappe in ammollo. Odio l’estate perché la domenica diventa il giorno peggiore della settimana: senza campionato, tutti al mare, tutto chiuso. Pure il negozio di Amal è chiuso. Famiglia, amore, amicizia: tutto nasce per sfuggire alla più agghiacciante delle verità: che si è soli. Nessun essere umano non ha mai avvertito nella carne, fosse anche soltanto per pochi attimi, questa solitudine assoluta, ancor più straziante avendo intorno degli affetti. E la solitudine è, più che solitudine di fronte alla morte, solitudine di fronte alla nascita, che è quasi più traumatica del morire. Quando qualcuno mi chiede cosa sia la verità, io rispondo sempre la stessa cosa: la verità è la solitudine».
Una coltre di silenzio era calata su di loro, nessuno aveva osato interrompere il suo monologo per paura di spezzare questa assurda atmosfera che si era creata. Ma dopo pochi secondi ognuno tornò alle sue attività: le ragazze continuarono a parlare dei tipi conosciuti la sera prima, il tipo solitario riaccese il sigaro e finì il suo aperitivo, i due anziani ripresero a giocare a carte come se nulla fosse mai successo. Lui si alzò, entrò nel bar, pagò il suo conto e se ne andò a piedi lungo il lunghissimo viale che tagliava in due il quartiere. In quel bar non tornò più. Nessuno seppe più nulla di lui. E quella bottiglia di Pastisse restò inutilizzata fino a quando un nuovo cameriere non decise di buttarla via perché tanto nessuno l’avrebbe mai bevuto. Era d’estate, una normalissima domenica d’estate, che nessuno ricorda più..