“Finchè si avranno passioni non si cesserà di scoprire il mondo”. Con questa citazione di Cesare Pavese, tratta da “Il mestiere di Vivere” del 1952, l’associazione e comunità terapeutica Insieme, prova a fare chiarezza e ad esprimere la propria visione dei fatti in merito alla nota vicenda relativa all’installazione del chiosco che somministra alcolici sul lungo Basento, in prossimità del centro che ospita, lo si ricorda, tossicodipendenti ed alcolizzati in cerca di recupero dalle loro dipendenze. Con una lettera aperta alla città, che si riporta integralmente, l’associazione chiarisce tempi, modi e motivi del dissenso espresso all’installazione del chiosco in quel luogo specifico.
“Negli ultimi giorni ci sono arrivati tantissimi messaggi, molte chiamate, fitti commenti sotto post e comunicati, a cui sentiamo, come Associazione, come Comunità Terapeutica e come equipe di professionisti, di dover dare risposta per apportare chiarezza ed instaurare un confronto costruttivo. “Chi vuole può venire a trovarci” invita Mimmo Maggi, direttore scientifico dell’Associazione Insieme. “Offriremo un caffè e cercheremo di spiegare come funzionano le dipendenze e quali sono le argomentazioni scientifiche alla base delle nostre metodologie e della nostra recente ‘presa di posizione‘”.
Il dibattito è acceso, la passione è forte, i toni divampano, talvolta un po’ troppo. La scintilla è rappresentata dalle nostre posizioni sulle necessità dei nostri ragazzi e dei nostri programmi terapeutici, in contrasto con un chiosco che vende alcolici in un contesto ludico e ricreativo ben segnalato da luci, suoni e odori, sorto sotto “casa nostra”, comunicante con la rete a recinzione della nostra Comunità Terapeutico-Riabilitativa per le dipendenze patologiche. La nostra richiesta, posta ben prima del completamento dei lavori di insediamento del “locale a cielo aperto”, per quanto decisa, non aveva e non ha nulla di rigido e proibitivo: Si trattava, semplificando, di trovare un modo per spostare tutto questo di qualche centinaio di metri, in modo tale che gli stimoli multi- sensoriali non raggiungessero facilmente i sensi dei nostri ospiti, scatenando quella serie di risposte neurofisiologiche a cascata connesse con i centri del piacere nel cervello che portano al craving, la “brama” della sostanza, la ricerca spasmodica di una dose, magari in un momento in cui l’ospite non ha ancora consolidato gli strumenti psico-fisici per poterlo gestire e su cui si lavora soprattutto nelle prime fasi del programma. Tutto questo ha bisogno di un tempo, anche di diversi mesi, in cui la persona deve essere “protetta” il più possibile prima di poter cominciare, gradualmente, a “verificarsi” sul territorio, in modo che gli stimoli esterni, che non si fermano alla semplice alta gradazione dell’alcol, ma abbracciano una serie di stimolazioni connesse all’utilizzo delle sostanze, non incontrino, scatenino ed amplifichino una spinta “interna” all’uso ed abuso delle stesse. “Non siamo contro le discoteche e la birra” riassume il dottor. Alvino, direttore della Comunità, “ma è chiaro come ci sia un tempo ed un luogo adatto per ogni cosa. Sono scelte strategiche che hanno radici anche nel buon senso.” Nessuna pretesa ideologica, quindi, nessun connotato politico in senso lato, né amore per la polemica fine a sé stessa. Rigidità, proibizionismo e chiusura, peraltro, sono caratteristiche che male si sposano con i valori di base dell’Associazione e con le metodologie di intervento della Comunità dai cancelli aperti, fondate su presupposti teorici ben precisi ed osservazioni sul campo in un’esperienza più che ventennale. “Viviamo in continua osmosi con il territorio”, spiega la dott.ssa Bencivenga, presidente dell’Associazione Insieme che gestisce la Comunità. “Collaboriamo con le associazioni, le cariche istituzionali, enti ed aziende; organizziamo eventi, spazi di promozione culturale, iniziative.” Portiamo avanti un’idea forte, pragmatica e simbolica al tempo stesso: Non sono i cancelli che proteggono, mantengono, trattengono, come accade altrove, quanto la relazione, la stimolazione e la spinta al positivo, la costruzione di una Legge centripeta alla base di un’appartenenza fatta di valori, cultura e condivisione. Per tali ragioni i nostri cancelli sono aperti. Sempre. È uno scambio costante tra i ragazzi che possono viversi all’esterno in accordo con la loro capacità di reggere ed un territorio che entra in Comunità attraverso gli eventi culturali che organizziamo settimanalmente. È questo uno degli elementi innovativi ed esclusivi della nostra Comunità terapeutica.
Alcuni, forse provocatoriamente, hanno affermato che magari allora sarebbe meglio spostare la Comunità in un luogo isolato. Un’alternativa scorretta sotto molti punti di vista: sociale ed antropologico, trattamentale e deontologico ed anche da una prospettiva prettamente culturale. Rifiutiamo, a tal proposito, “la delega che le istituzioni ed una parte di società vorrebbero passarci, con il mandato di ‘rinchiudere’ ciò che viene definito ‘malato’ per non dare fastidio alle cosiddette
‘persone normali’”, sempre seguendo le parole del dott. Maggi, nascondendo il fatto che le dipendenze sono un Fatto sociale e che come tale vanno trattate. Chi lotta per uscire da una dipendenza è, infatti, “portatore” di un disagio che riverbera e che emana dal tessuto sociale, culturale e psicologico in cui è ed è stato immerso. Prendere le distanze dal problema, preferendo che i tossicodipendenti stiano il più lontani possibile, rinchiusi in una struttura, è probabilmente un metodo rapido quanto inefficace di allontanare tale disagio endemico, ed allo stesso tempo priva gli ospiti della struttura di quel “nutrimento” socio-relazionale che è mancato e che rappresenta una medicina più forte di qualsiasi terapia metadonica possibile. È un rapporto biunivoco che si perderebbe spostando realtà come Potenza Città Sociale sul “cocuzzolo di una montagna deserta”. È certamente un impegno quello che chiediamo. Alle istituzioni chiediamo di tutelare il diritto alla salute, al benessere e a prestazioni socio-sanitarie che lo promuovano, assicurando la rimozione di ostacoli al suo raggiungimento; alla Società, invece, richiediamo uno sforzo ancora più intenso ed importante, soprattutto al giorno d’oggi, dove sembra sempre più difficile fermarsi e potersene assumere la responsabilità: da un lato poter “Vedere” l’Altro e le sue fragilità, dall’altro guardare dentro di sé ed alle proprie fragilità. Per “curare” le dipendenze bisogna prendersi cura di una Società intera, fare “comunità”, costruire, venirsi incontro, incontrarsi. Invitiamo davvero soprattutto chi è critico e scettico a venire a parlarne con noi, a conoscerci, a conoscere. Non è ideologia. È Sociale, con la S maiuscola di Scienza, con la C di Cultura. È questo il combustibile della nostra passione e della nostra professionalità.