La libreria dei sogni
Erano le dieci del mattino quando la moglie lo svegliò dal sonno. “Matteo, svegliati! Devi andare a lavorare!”. Aveva fatto tardi la sera prima, ma la verità è che aveva accumulato talmente tanta stanchezza che la metà bastava. Si vestì di corsa, senza nemmeno darsi una pettinata a quella massa di capelli sale e pepe che tanto non riusciva mai a mettere in ordine. Di domenica la libreria apriva sempre più tardi, verso le undici, per questo se l’era presa comoda la sera prima. Era uscito a cena con gli amici di sempre, quelli con i quali condivideva ancora la passione per il calcio e le trasferte nei campi impossibile per sostenere la squadra della sua città. In verità, da qualche tempo a questa parte, non riusciva più ad essere sempre presente a tutte le partite, soprattutto quelle fuori casa. Per quelle in casa, invece, aveva escogitato un meccanismo di turnazioni e salto del traffico con Vespa, da Guinnes dei primati. La libreria in cui lavorava, era uno dei soci, non era né troppo piccola, così come lo sono quelle delle città della provincia italiana, ma nemmeno così grande da sembrare labirinti di carta ed inchiostro con luci dall’effetto lisergico. Una corsa sfrenata e l’arrivo in centro poco prima delle undici. Nemmeno il tempo di bere un caffè e subito entrò un primo cliente. Era una professoressa di inglese, sulla cinquantina, poco pratica della tecnologia, che voleva acquistare alcuni volumi usando il bonus insegnanti ma del quale non ricordava la password. In verità, Matteo lo sapeva bene, la signora non aveva nemmeno attivato la procedura necessaria per crearsi l’account sulla piattaforma ministeriale. Capitavano spesso clienti del genere, poco o per nulla inclini all’innovazione, e con i quali perdeva inutilmente tempo a spiegare sempre la stessa storia dell’account, della password, dell’applicazione da scaricare sul telefono e via discorrendo. La professoressa andò via, e subito dopo entrarono due ragazzi. Il primo, un quindicenne, voleva un libro su uno YouTuber, l’altra, un po’ più grande ma non di molto, gli chiese se per caso avessero un libro qualsiasi di Italo Calvino.
Matteo sorrise, soprattutto alla richiesta della ragazza, perché sapeva che dal momento in cui quella ragazza apriva il libro sarebbe iniziato un viaggio lunghissimo e pieno di infinite bellezze letterarie. Indicò sala e scaffale, i due si divisero e poi tornarono in cassa per pagare. Erano molti i ragazzi che entravano ed uscivano in quella libreria, non tutti con idee chiare ma spesso con un forte desiderio di leggere, scoprire, allargare i propri orizzonti. Per Matteo questi volti giovani erano una buona ragione per credere che non tutto era perduto e che non sempre il mondo che ci circonda è esattamente così come ce lo raccontano e ce lo raccontiamo. Nel frattempo, erano entrati in libreria altri tre clienti, che per lui non erano solo acquirenti, ma lettori, ricettori di emozioni e generatori di nuove bellezze. Per questo aveva una cura speciale, si dedicava ad ognuno di loro con garbo ed educazione, indicando possibili letture e suggerendo nuove esperienze da intraprendere. I libri, diceva, sono come sentieri inesplorati: bisogna iniziare il cammino per capire dove ci porteranno e se quella strada sarà stata bella, significativa, necessaria, o no. Il suo posti di comando, in questo viaggio fantastico, era dietro il bancone di legno chiaro sul quale svettavano due schermi molto grandi di computer con al centro una famosa mela. Da lì controllava tutto, dando spesso un’occhiata alle telecamere del circuito interiore che riprendevano tutti gli spazi della libreria. Nella sala principale risuonavano le note di Joe Barbieri e della sua Maison Maravilha, forse il più bel lavoro del raffinato cantautore napoletano. Al piano inferiore, nella sala delle presentazioni era possibile trovare libri di quasi tutti i generi.
Un cartello amaranto con la scritta bianca indicava: Psicologia, Sociologia, Antropologia, Religioni, Musica, Arte, Fotografia, Fumetti, Cinema, Libri in lingua, Guide turistiche, Manualistica, Autori Locali. Chissà perché gli autori locali sono sempre relegati in un angolino delle librerie, eppure sono loro che animano quelle sale per presentare i loro innumerevoli libri di poesie e romanzi. Come sempre di domenica, anche quella volta la sala delle presentazioni era silenziosa e quieta, con in mezzo quattro sedie disposte a formare un rettangolo e circondare da quattro pareti piene di libri sulle mensole rosse. Lì sotto era tutto più ovattato e distante, ogni tanto Matteo scendeva per staccare qualche minuto e riprendersi dalla sbornia di visi, parole, scontrini e buoni sconto. Nonostante fosse già arrivata l’ora di pranzo, in libreria continuavano ad arrivare nuove persone. C’erano anche un professore di storia ed un giornalista locale che parlavano di politica, Europa e mercati finanziari, poco più in là una signora molto elegante sfogliava l’ultimo vincitore del premio Strega e consigliava all’amica di approfondire la letteratura americana del Novecento. Nonostante gli sforzi, la stanchezza si faceva sentire, per questo Matteo se ne restava seduto sullo sgabello alto e con la schiena ben saldata alla parete bianca. I sorrisi non mancavano di certo, ma il sonno era risalito prepotente e beffardo. Appena anche l’ultimo cliente se andò, chiuse la porta a chiave, prese il telefono, chiamò la moglie dicendogli che sarebbe rimasto in libreria per mettere un po’ i ordine in magazzino, e se ne andò nella sala del piano di sotto.
Finalmente la pace, il silenzio, la solitudine. Come spesso faceva, si sedette per terra con la schiena appoggiata allo scaffale dei libri di Fotografia, quelli belli spessi e con il dorso rigido. Distese le gambe e tirò un lungo respiro di sollievo. Chiuse gli occhi per scaricare un po’ di stress.
Un minuto, due, tre, al quarto era già calato in un sonno profondissimo. Al quinto era immerso in un sogno incredibile e assurdo. Era in libreria, la sua, al solito posto, ma dentro invece di esserci i soliti clienti c’era gente nuova, mai vista prima. Mise gli occhiali per vederci meglio, perché non gli pareva vero che nella sua libreria ci fossero Woody Allen e Diane Keaton, vestiti esattamente come nella famosa scena di Io e Annie. Si, proprio quella in cui Allen spiega la differenza tra l’ orribile ed il miserrimo. Non riusciva a crederci, ma era davvero di fronte ad una delle scene più belle del film. Si alzò dallo sgabello, girò l’angolo stretto del bancone e si avvicinò ai due grandi attori. Non fece in tempo a dire «Mr. Allen» che si accorso che alla sua destra, nella saletta dei classici della letteratura c’erano Kate Winslet e Jim Carrey. “Nooo! Assurdo! Non ci credo! Ma cosa ci fanno qui? Ma cosa mi sta succedendo?”, si chiedeva stralunato mentre Clementine diceva a Joel: «…troppi uomini pensano che io sia un’idea o che possa completarli o che possa riuscire a ridargli la vita…ma io sono solo una ragazza incasinata che cerca la sua pace mentale…non farmi carico della tua». Era incredulo, senza parole, basito dinanzi a tutta questa magia che si apriva ai suoi occhi. Non riusciva a dire una parola, nemmeno un suono. Tutto ciò stava succedendo nella sua libreria e non c’era nessuno che poteva testimoniarlo. Si spostò a destra, verso lo scaffale dei libri per bambini, lì dove Belle danzava felice appesa alla scala e con la cesta di vimini sull’avambraccio.
Corse in bagno per sciacquarsi la faccia, come a volersi svegliare da questo incantesimo, ma una volta fuori dal bagno erano ancora tutti, tra libri e scaffali. Corse verso le scale, scese al piano inferiore, ma a metà si fermò per far passare Billy Cristal e Meg Rayan, nei panni di Harry e Sally, e Hugh Grant e Julia Roberts, in quelli di William Thacker e Anna Scott nel famoso “Notting Hill”.
«E’ pazzesco, davvero. Ma cosa mi sta succedendo? E’ bellissimo, devo dirlo a qualcuno. Dov’è il telefono? Già, è rimasto sul bancone. Adesso salgo e fotografo tutti! ». Risalì di corsa, tutti erano ancora a zonzo nella libreria, compresa Salma Hayek che, come in “Desperado”, lo stava aspettando dietro il bancone della libreria. Affascinante, sexy come poche al mondo, con quello sguardo che non permette repliche, era lì sorridente e con addosso una bellezza sfrontata come la sua Caroline.
«Matteo, ti stavo aspettando. Vieni qui…», gli disse.
«Ma dici a me? Cioè , proprio io? », le rispose, senza più fiato.
«Si. ¡Ven aquí, mi amor! ».
Si avvicinò al bancone chiudendo gli occhi, lei lo afferrò stringendolo forte a sé. Chiusero gli occhi, si strinsero più forte, e proprio mentre le labbra si stavano sentò un lontano squillo di telefono che si faceva sempre più insistente. All’improvviso si svegliò. Restò seduto per qualche secondo senza muovere nemmeno un dito. Poi guardò l’orologio, erano le sedici: doveva riaprire. Si alzò di scatto, con un occhio ancora chiuso e l’altro mezzo aperto cercò di capire dove fosse. Salì le scale, andò verso la porta, girò la chiave e l’aprì. L’aria fredda di autunno lo svegliò completamente. Il telefono intanto aveva ripreso a squillare. Rispose: era la moglie.
«Amore, non puoi capire cosa mi è successo! Si, ho mangiato. Stasera? A casa di tua madre? Il compleanno di tua zia? Tuo zio vuole vedere la partita con me? Ok, amore. No, non vedo la partita con gli altri. Allora a dopo. Tranquilla, sarò puntuale. Ciao…».