L’ora in più
Che ora è?
Allungò la mano destra sul comodino per prendere il telefono e controllare l’ora. Erano le 8 del mattino. Con un gesto automatico, iniziò a scrollare distrattamente la homepage di Facebook per controllare messaggi, aggiornamenti e le notizie del giorno. Se togli il calcio e qualche altro evento straordinario, di domenica succedono sempre poche cose, ma l’abitudine a celebrare questo rito era ormai talmente consolidata che si ripeteva ogni giorno, come una preghiera laica. «Ma tu guarda a questi che ancora vanno in giro a fare baldoria il sabato sera», disse mentre guardava le foto di un locale vicino casa sua in cui i soliti ultra quarantenni, singol incalliti novelli divorziati, tentavano di esorcizzare il passare del tempo praticando abitudini gaudenti e festaiole, come se fossero ancora studenti universitari fuori sede, con un libretto ancora da riempire e i tempi di recupero dall’hangover pari alla velocità con cui Usain Bolt ha corso i 100 metri in quella notte di Berlino. «Che noia! Le solite battute sul cambio dell’ora. Me ne devo uscire da questo social, ormai ci sono solo sfigati e battutisti da quattro soldi». Non erano passati nemmeno dieci minuti ed il suo risveglio era stato polemico e lamentoso, manco fosse un lunedì di lavoro dopo le vacanze di un mese ad Ibiza. Si alzò dal letto, bevve acqua dalla bottiglia, si avvicinò alla finestra ed alzò le tapparelle del balcone per fare entrare più luce possibile. Fuori c’era un magnifico silenzio, una quiete straordinaria, il quartiere era avvolto da una nebbia fitta e le strade erano bagnate dalla pioggia battente che tutta la notte era scesa senza tregua. Quel giorno di fine ottobre era ufficialmente la prima domenica di autunno vero, con i suoi colori e le atmosfere romantiche che ispirano racconti, romanzi, poesie e canzoni. Accese il computer, anche questo un gesto automatico e rituale, e se andò in cucina per prepararsi la colazione. Latte, caffè, biscotti con gocce di cioccolato, succo di frutta e tanta acqua. La colazione della domenica mattina era un cerimoniale da consumare con lentezza, con tutta la sua sacralità, perché negli altri sei giorni della settimana non aveva mai il tempo di potersi regalare un tempo così diverso ed un piacere per la bocca amara dopo il sonno della notte. Fosse stato più caldo, avrebbe apparecchiato sul tavolino di legno messo lì fuori il balcone, ma con un tempo così non c’era molto da fare, così portò tutto l’occorrente, computer compreso, sulla scrivania del salotto. Erano le 9, le 10 se fosse rimasto ancora l’orario del giorno prima, e già non sapeva che farsene di tutto quel tempo in più. Perché una volta fatta la rassegna delle notizie, dei post, degli affari degli altri, dopo aver messo qui e lì qualche cuore alle diverse foto che gli scorrevano in timeline, non sapeva più che altro fare. «Però, mica male questa qui. Peccato solo sia già fidanzata, altrimenti. E lei? Ma chi si crede di essere. Eccolo qui il solito leone da tastiera, bravo a fare polemiche e poi, quando lo incontri per strada, è talmente timido che nemmeno saluta. ». Accese la tv, mise su un canale all news, ma dopo un po’ cambiò senza far troppo caso e si ritrovò a vedere un vecchio film di Monicelli, “Camera d’albergo”. Lo guardò fino alla fine, poi andò in bagno per farsi una doccia e rendersi presentabile al mondo. Erano quasi le 11 quando uscì dal bagno, asciutto e pulito, con la sua tuta casalinga e quella maglietta con il volto di Obama disegnata à la Andy Warhol.
«Sono ancora le undici. E ora che faccio fino alle 13? »
Nell’attesa di uscire di casa per andare a pranzo dai suoi, decise quindi di andare in cucina e lavare la tazza e le posate della colazione, poi andò in camera da letto e mise tutto in ordine, così come in bagno e nel salotto. Era tutto in ordine, anche perché il giorno prima era venuta la ragazza delle pulizie ed aveva sistemato tutto il caos di una settimana della vita di un trentenne single e grafico pubblicitario. Alle 12:30 usci sul balcone, scattò qualche foto con il cellulare, un paio ne pubblicò su Instagram. Pensò che sarebbe stato bello potersi sedere a guardare le foglie, che sembrano sapere esattamente come cadere da un momento all’altro. poi rientrò e si mise a leggere un vecchio fumetto di Gipi, “unastoria”. Verso le 12:45 si mise addosso una giacca e usci di casa per andare dai suoi. Ma la casa di famiglia era distante dalla sua solo quattro portoni. Per perdere più tempo, si fermò nel parchetto lì vicino a fumare una sigaretta, attento a non farsi beccare dal padre, ex fumatore e severo fustigatore dei praticanti del vizio di nicotina. Finita la sigaretta, alle 13:10, andò a casa dei genitori per il tradizionale pranzo della domenica, la sola occasione che aveva per stare un po’ con i nipoti, figli della sorella minore, Luciana, che vivevano dall’altra parte della città e che non vedeva quasi mai durante la settimana.
«A che ora ti sei alzato, zio?» , gli disse Fabrizio, il nipote più grande.
«Alle 8, perché? », gli rispose, e lui.
«Quindi alle 9! », gli disse ridendo.
«Ah, ho capito. Anche tu con questa storia dell’ora in più. », gli disse annoiato.
Pranzarono benissimo, come sempre, poi alle 15 salutò tutti e se ne tornò a casa per riposare un po’. Dopo un bel sonno ristoratore, alle 16:30 si preparò un altro caffè che bevve alla finestra, sfumacchiando un’altra sigaretta. Ma alle 17 non aveva più altre cose da fare. Non voleva uscire, non voleva andare al cinema perché di domenica, diceva sempre, ci vanno solo le coppiette ed i parrucchieri, detestava le presentazioni dei libri e del calcio non gliene importava niente. Fuori la pioggia scendeva ancora, il cielo si era fatto rosa con le nuvole grigie, le gomme delle auto sfrecciavano sull’asfalto lucido come uno specchio, gli alberi si riempivano di acqua e le foglie piangevano lacrime senza dolore. Qualcuno portava a passeggio i cani, altri andavano a buttare la spazzatura, una coppia passeggiava stretta aggrappata all’ombrello, il colore delle case riscaldava le vite e le storie protette negli appartamenti popolari. C’è una poesia nelle sere d’autunno che racconta la via degli altri, c’è bisogno di uno sguardo poetico, ispirato, per poterne cogliere l’essenza, per vedere il miracolo quotidiano della vita degli altri. Nelle sere d’autunno le parole diventano meno rumorose, i bisogni si fanno più intimi, la pelle e le ossa hanno bisogno di un calore che non è solamente quello dei termosifoni, ma è differente, più sottile, interiore. Perché in autunno le paure ritornano a vivere, le ansie si sommano, le preoccupazioni si esaltano. Ancora alla finestra, lasciò rimbalzare sulle sue labbra parole in libertà.
«Chi ha inventato la domenica lo avrà fatto sicuramente pensando alla stagione fredda e per dare una tregua a tutto ciò. Di domenica si potrebbe fare tutto, ma alla fine fai sempre le stesse cose, oppure non fai proprio niente. E pure chi ha deciso che, due volte all’anno, di domenica, dobbiamo muovere le lancette per guadagnare più luce, evidentemente non aveva proprio niente da fare. Altrimenti si sarebbe fatto i fatti suoi. Ma che giorno è la domenica? Uno non fa in tempo ad abituarsi al riposo che già ti risale l’ansia del lunedì. Ma come fanno tutti quelli che vanno farsi la gita fuori porta, consapevoli che poi tanto la sera arriverà, che dovranno tornare a casa, magari nel traffico delle strade intasate dai maniaci dei centri commerciali o dai turisti del weekendino. Che poi, che diamine è il weekendino? Boh! Sarò fatto male io, ma se fosse per me la domenica dovrebbe essere proprio abolita. Fateci lavorare tutti e sette i giorni e dateci più giorni di ferie in estate. Non è male come idea, no? Ma a chi lo sto dicendo? A me stesso? Come sono ridotto male! Sto diventando peggio dei lamentosi, dei professionisti dell’odio, degli scoraggiatori militanti. E’ solo che oggi il tempo non passa mai. A proposito, che ora è? Ancora le 18:30. Ma che me ne devo fare di questa ora in più? Ora me ne esco, basta. Questa tristezza mi sta angosciando. »
Sene andò in giro, a piedi, nelle strade del quartiere. Vagando senza meta, si ritrovò in una via lunga e dritta, costeggiata da negozi, bar e bazar. Fumava e ascoltava musica, John Hopkins soprattutto. Camminò a lungo per quella strada, affrontando volti, donne infilate in abiti eleganti e uomini in pantaloni comodi, bambini con giocattoli appena comprati e giovani coppie abbracciate come chi si illude e pensa che sarà per sempre così. Ma quello, l’amore, mica è sempre così. Poi girò per tornarsene a casa. Gli sembrava di aver passeggiato per un pomeriggio intero, ma quando controllò il telefono per vedere i vari messaggi ricevuti vide che erano solo le 20. Entrò in una pizzeria, prese tre pezzi di margherita ed una birra da portare a casa. Una volta in cucina, apparecchiò per la cena che consumò in meno di un quarto d’ora. Alle 21:30 non sapeva più che fare. Alle 22 iniziò a sbadigliare, ma dalla noia. Alle 22:15 se ne andò a dormire senza avere molto sonno. Il giorno dopo doveva prendere un treno per Mantova e raggiungere un cliente dell’agenzia per cui lavorava. Trascorse una notte agitata, senza riposo. Prese sonno solo alle 5 del mattino. Alle 7 la sveglia suonò, inesorabile. Pensando fossero le 6, la spense e si girò dall’altro lato. Si alzò che erano le 9. Il treno era ormai partito da un’ora.
Già, proprio quell’ora in più.