La partita di pallone
Il giorno prima, sabato, era stato tutto il tempo chiuso in un centro commerciale a sgomitare tra bambini urlanti, madri alle prese con i saldi della stagione e padri in preda a deliri di abbandono e crisi di nervi. I centri commerciali, dove si può assistere al “naufragio dell’umanità”, se non li frequenti con una certa assiduità, possono davvero far male, soprattutto se con lo shopping e i suoi derivati non si ha molta confidenza. Per Camillo ormai era diventata una sfibrante abitudine, soprattutto da quando con Marta, la sua compagna, avevano deciso di andare a vivere insieme in una nuova casa tutta ancora da arredare e colorare.
Marta e Camillo si erano conosciuti un anno prima ad una festa di compleanno di un amico comune. Camillo ci mise un bel po’ prima di invitarla ad uscire, ma da quella sera di novembre non si erano mai più lasciati. Stavano bene insieme, nonostante la difficile combinazione degli orari di lavoro e dei giorni liberi durante la settimana. La domenica, però, era il loro giorno, il momento in cui poteva condividere più tempo insieme, provando ad incastrare più cose possibili. Fino a qualche tempo prima, la domenica di Camillo era un giro facile: sveglia tardi, colazione lenta, giro in centro con gli amici, pranzo veloce, partita allo stadio quando la sua squadra giocava in casa. L’arrivo di Marta determinò quell’immancabile cambio di abitudini, fatto senza nemmeno rendersene conto. Funziona più o meno sempre così: un giorno sei forte e sicuro della tua libertà, l’altro ti ritrovi in coda nel traffico dei centri commerciali. All’inizio fu anche piacevole per lui, un cambio di abitudini non può che fare bene, si diceva Ma con il passare delle stagioni, iniziò a sentirne tutto il peso, soprattutto perché aveva fatto tanto per potersi conquistare una fetta di libertà durante la settimana, dopo giorni di lavoro intenso e logorante. Amava Marta, come nessuna mai, e questo gli dava una forza interiore così vigorosa da fargli superare quasi tutto. Ma sul calcio non era più disposto a concedere nulla. Decise quindi d organizzare un piano perfetto per svincolarsi dagli impegni domenicali e concedersi tre ore buone di sano tifo in tribuna. Due settimane di carinerie, attenzioni, parole dolci, cura dei dettagli e puntualità – perché aveva un serio problema con la puntualità -, la roadmap necessaria per giungere senza sbandamenti alla domenica sportiva. Marta era positiva, ben disposta, e nonostante lo stress a lavoro non aveva ancora pronunciato parole tipo “sabato adiamo”, oppure “prenotiamo”. Tutto andava nel modo giusto, everything in its right place, per citare uno dei suo gruppi musicali preferiti.
Due settimane sono un tempo breve, ma per lui era diventato un tempo lunghissimo con giornate lunghe almeno trentasei ore. Sentiva che la resistenza non era affatto futile e che tutto quel “dolore” gli sarebbe tornato utile un giorno. La domenica, appunto. Il sabato prima del dì di festa arrivò. Aperitivo, teatro e cocktail finale. Tutto perfetto, senza sbavature.
E proprio mentre si stavano salutando, tra un bacio ed una carezza, lui la guardò negli occhi e le disse: “Amore, dato che non abbiamo nulla in programma per domani, vorrei andare a vedere la partita”. Silenzio. Un lungo silenzio tuonò nell’abitacolo della macchina. Lei abbassò lo sguardo, iniziò a frugare nella borsa come in cerca di qualche cosa. Solitamente è per le chiavi, ma era come se stesse cercando parole da comporre e da restituire.
«Ti sei già organizzato, di’ la verità! »
«Ma no. Era solo una ipotesi. »
«Guarda che non devi certo giustificarti.»
«Amore non mi sto giustificando. Sto solo dicendo che…»
«Veramente lo stai facendo. Credi che io sia una stupida? »
«Certo che no, ma adesso perché dici queste cose? »
«Lo so io il perché. E lo sai anche tu. »
«Non ti capisco. Davvero. »
«Quando vuoi fai sempre finta di non capire. »
«Marta ma che dici? »
«Marta? Adesso mi chiami per nome? »
«E come ti devo chiamare? »
«Già che non mi hai chiamato come la tua ex…»
«Ancora con questa storia? »
«Vedo che sei suscettibile all’argomento. »
«Veramente non me ne frega niente. Se tu che l’hai tirata in mezzo. »
«E cosa ti interessa? Non l’ho ancora capito. »
«Senti, stavamo parlando di domani. »
«Non cambiare argomento, eh! »
«Ma veramente sei tu che lo hai fatto. »
«Comunque vai pure dove vuoi. Non devi certo chiedermi l’autorizzazione. »
«Ma io non ti ho chiesto nulla. Ti ho solo espresso una mia volontà, tutta qua. »
«Una volontà? Veramente hai già deciso tutto. Perché se mi dici di voler andare allo stadio è perché hai già comprato il biglietto! »
«Me l’hanno preso, ma non ho ancora deciso se andarci o meno. »
«Ecco, lo vedi? Chissà da quanto tempo hai questo biglietto e tu me lo dici solo ora. »
«Lo ha presto Giorgio per me e per Michele. Sai, per stare un po’ insieme noi. »
«Ma ancora che fate queste cose da ragazzini? Le uscite solo maschi? »
«Amore, ma che male c’è? »
«Nulla di male, ma siete ridicoli. »
«Ora non offendere però. Lasciamo perdere. »
«Cosa? »
«Non ci vado, basta. Se devi fare così mi fai passare la voglia. »
«Ora è anche colpa mia? Sei bravo tu! »
«Ma bravo a fare cosa? »
« A rigirare la frittata. Ad ogni modo, fai come vuoi. »
«No guarda, ho deciso che è meglio se non ci vado. »
«Vedi? Avevo ragione io. Tu cercavi il mio permesso. »
«No, nessun permesso. Volevo solo andare allo stadio, passare un mezzo pomeriggio con gli amici, compatibilmente con gli impegni. Visto che non ci sono, visto che non dobbiamo andare da nessuna parte, per una volta volevo farmi un piccolo regalo. “
«Te l’ho detto, fai che vuoi. Non me ne frega niente. »
«Ok, farò come voglio. Ma amarti non pregiudica la mia libertà. »
«Bravo! Adesso è tardi e me ne vado a dormire. Buona notte, a domani. Ah, no! Tu non ci sei domani. »
«Che nervoso! »
«Ciao, divertiti. Fatti sentire, se vuoi. »
«Si, vabbe’. Buona notte. E dammi un bacio! »
Marta si avvicinò alle sue labbra, si baciarono, poi uscì nuovamente dalla macchina e se ne andò a casa. Camillo era nervoso, arrabbiato e agitatissimo. Tornando a casa, mentre la radio passava “A song for the lovers” di Richard Ashcroft, rimescolava le parole di Marta. Una ad una. Era sicuro che Marta non gli avesse detto tutto, come spesso capita. Lei aveva questo limite, non riusciva a comunicare le sensazioni che provava, belle o brutte, e si chiudeva a riccio in attesa che lui trovasse la parola giusta, la frase, il sorriso, la pozione magica, la chiave nascosta nei fondali dell’Oceano Indiano, per comprendere il suo stato d’animo. Non sempre ci riusciva, spesso era una fatica immensa e senza ricompensa, come a volte l’amore sa essere. Viaggiava verso casa, con il finestrino aperto nonostante il freddo fuori. Si mise a letto con un peso sullo stomaco. Si girava e rigirava nel letto ma non trovava sollievo in alcun modo. Aveva voglia di prendere il telefono e scriverle un lungo messaggio rabbioso, ma a conti fatti non gli conveniva affatto. Meglio far sbollire la rabbia, la vita di coppia è anche questa cosa qui.
Ore 8 del mattino. Caffè, giornali, colazione vitaminica e un occhio alle previsioni del tempo. Tutto con calma, con la giusta lentezza. La partita era alle 15 ed alle 13 si sarebbe incontrato con gli altri per il classico aperitivo abbondante, prima del match. Perché a stomaco pieno e con la giusta dose di carboidrati si regge tutto, anche la delusione di una sconfitta. Il calcio, altra grande metafora dell’amore. Verso le 11 chiamò Marta, ma senza risposta. Pensò che magari era alle prese con qualche faccenda domestica e chiuse la telefonata. Ci riprovò di nuovo verso le 12, ma ancora una volta Marta non rispose. A quel punto le mandò un messaggio, che rimase senza risposta. La richiamò mezz’ora dopo e ancora nulla. Evidentemente Marta era ancora molto arrabbiata dalla sera prima e voleva farglielo capire, per provocarlo.
Mille pensieri si formarono nella testa di Camillo, come nuvole cariche di pioggia. Le stesse che si stavano addensando sulla città e che minacciavano pioggia. Un altro messaggio, questa volta vocale, ma ancora una volta nessuna doppia spunta blu. Si rassegnò, ormai aveva capito che nulla avrebbe modificato l’umore di Marta e la sua giornata. Puntuale si incontrò con gli amici, fingendo una certa naturalezza ed una serenità primaverile. Un piatto di lasagna al forno, un paio di bicchieri di vino, qualche sigaretta di troppo e poi via allo stadio. L’emozione era grande, come la prima volta, come ogni volta. Si posizionarono in curva, tra i tifosi Stesso posto di sempre, perché nel calcio la scaramanzia è una regola più certa del fuorigioco. Primo tempo andato, fermo sullo zero a zero. Chiacchiere, commenti, un occhio al telefono per controllare i risultati delle altre partite ma di Marta nessuna notizia. A metà del secondo tempo la sua squadra era sotto di tre gol. A dieci minuti dalla fine erano 4 i gol subiti e zero quelli segnati. Decise di andare via prima del fischio finale, non riusciva a reggere l’assalto degli avversari e la debolezza degli undici di casa. Se sei un tifoso vivi sempre una doppia partita nella partita: con il tempo e con l’ansia. Salutò gli amici e andò via.
Fuori dallo stadio regnava un silenzio spettrale, un vuoto abissale. Si incamminò verso la macchina, lasciata a due chilometri da lì, ma decise di fare una strada diversa, più lunga, per distendere i nervi dopo tanta delusione. Il freddo si faceva sentire sulle mani e sulle guance, Marta invece era sparita completamente. Camillo aveva deciso che per quel giorno non l’avrebbe più cercata e che un po’ di sana solitudine avrebbe fatto bene ad entrambi. Camminava, a passo deciso, riflettendo sulla partita e sugli errori commessi. Leggeva su Facebook i commenti dei tifosi sul gioco e sul mister: molti chiedevano al presidente di cambiare l’allenatore, altri di tirare fuori gli attributi, ma scritto diversamente. Ma d’un tratto, girando l’angolo per prendere le scale della villa comunale, il suo sguardo fu rapito da due ragazzi abbracciati e intenti a baciarsi. Come una calda luce improvvisa che acceca gli occhi e scalda la pelle, sentì uno strano senso di familiarità in quella scena che gli si apriva davanti gli occhi. Si fermò, guardò con più attenzione ai dettagli, scandagliando ogni elemento. All’improvviso gli cadde il telefono dalle mani e nemmeno se ne accorse, i suoi occhi si iniziarono a gonfiare e le mani a tremare. I due ragazzi si salutarono dandosi un ultimo bacio, lui se ne andò a destra e lei si diresse dall’altro lato verso le scale dove era appena salito Camillo. Senza dire nemmeno una parola fissò la ragazza mentre attraversava la strada. Dal cielo iniziarono a scendere gocce di pioggia fredda, poi i loro sguardi si incrociarono e l’aria divenne di ghiaccio.
Era Marta.
La sua Marta.