Diventare adulti in una sola notte. No, non parliamo di magie e incantesimi, ma di politica e di responsabilità, quelle che pesano come un macigno sulle spalle di chi, consapevolmente, ha scelto di caricarsi addosso il peso di un’intera città. Se poi ci aggiungiamo il fatto che questa città, Potenza, è verticale e meridionale, la cifra del peso diventa ancora più faticosa. Parliamo di una storia vera, che ha un nome ed un cognome, Mario Guarente, ed una data certa: domenica 9 giugno 2019, il giorno in cui il ragazzo si è fatto uomo, diventando sindaco. Potremmo usare mille metafore per raccontare la storia di un giovane potentino che dalla periferia della città ha scalato, con disciplina e qualche tentativo, le salite curvilinee che disegnano il capoluogo lucano, ma dato che questa è una storia che sa di antico, di politica e ambizioni, la prosa prende necessariamente il posto della poesia. Prima di tutto va detto chiaramente che con Guarente vince – di poco- una proposta politica chiara, ma soprattutto che con lui vince un’idea un po’ antica e che sembrava in disuso, ossia che la politica è fatta di percorsi, crescita, formazione, esperienza e nessuna improvvisazione. Perché il nuovo primo cittadino ha investito molto delle sue energie e del suo tempo nella politica, quella fatta della polvere delle strade e delle paure delle persone. Nel suo scalare, come un ciclista dal passo determinato e sicuro, Guarente ha conosciuto sconfitte e ripartenze, piccoli successi e risalite. Potremmo quasi dire che la storia del successo di Guarente è un bene per la politica intera, che ritorna ad essere centrale e protagonista, mettendo in soffitta, chissà per quanto tempo, quell’idea mai rivelatasi vincente che questo mestiere, perché lo è se fatto bene, dovesse essere una roba per altri, per la cosidetta società civile, a cui i politici hanno concesso troppo spazio perché ormai fuori dal gradimento popolare. Invece così non è stato, almeno per Guarente, al quale adesso toccherà non solo rigenerare positivamente il rapporto tra la politica ed i cittadini, ma soprattutto governare una città così complessa ed indecifrabile: in continuo mutamento.
Ci permettiamo, da qui, di dare un affettuoso consiglio al nuovo sindaco potentino: camminare per le strade e volgere lo sguardo oltre. Oltre le polemiche, le divisioni, le partigianeria, la falsa contrapposizione tra le contrade ed il centro, i mestieranti dell’odio, i rancorosi, gli scoraggiatori militanti, i perdigiorno, gli incompetenti. Al sindaco chiediamo di opporsi al deserto dell’immobilismo e di tesserarsi al partito dei lucani che resistono ed avanzano. L’altro consiglio che vogliamo dare a Guarente è tutto legato alla sfida generazionale che la sua biografia gli impone. Perché se c’è un modo per far vincere una generazione, la sua e di chi scrive, ed un’intera città, è solamente attraverso la faticosa e necessaria opera di rammendo che va esercitata per ricostruire e riunire la comunità cittadina, capace di riconnettersi ad un nuovo destino preferibilmente migliore e diverso da ogni suo buon passato. Non bisogna smarrire le radici, certo, ma Potenza ha la necessità di immaginarsi in un tempo nuovo e in un mondo che è sempre più interconnesso e dal quale non possiamo tagliarci fuori. C’è da costruire una città nuova, aperta, che si deve opporre al deserto della società chiusa e che tende a conservare sé stessa senza muovere nessun passo in avanti. Occorre una visione di lungo termine che investa alcuni temi fondamentali. La Cultura e l’education, l’urbanistica, le costruzioni, la salvaguardia ambientale, le infrastrutture, l’energia, la mobilità, la sicurezza, la salute e la governance.
A questi consigli vogliamo aggiungere un appunto che ci proviene dalla lettura di “Giustizia, etica e politica della città”, opera sempre attuale di S. E. Carlo Maria Martini: “La paura urbana si può vincere con un soprassalto di partecipazione cordiale, non di chiusure paurose; con un ritorno ad occupare attivamente il proprio territorio ed occuparsi di esso; con un controllo sociale più serrato sugli spazi territoriali e ideali, non con la fuga e la recriminazione. Chi si isola è destinato a fuggire all’infinito, perché troverà sempre un qualche disturbo che gli fa eludere il problema della relazione: commune conversationis officium, dice Ambrogio: “comune è il dovere di intrattenere relazioni”.
La sfida è alta ma non impossibile.
Buon lavoro, signor Sindaco.
In bocca al lupo, Mario.