Saremmo curiosi di conoscere cosa pensano i giudici della Corte Costituzionale, la “Suprema” Corte, dopo le decisioni che il Gip, prima, e il Tribunale del Riesame, hanno adottato nella sempre più incomprensibile vicenda giudiziaria che coinvolge Marcello Pittella.
Saremmo curiosi di conoscerlo perchè qualche perplessità agli “ermellini” sarà pure sorta dopo che sia il Gip che il Riesame hanno, in buona sostanza, ignorato del tutto le loro valutazioni, sulla base delle quali hanno accolto il ricorso dei difensori di Pittella, rinviando per una nuova valutazione al Riesame.
L’ha adottata, elemento non di poco conto, con due terzi degli stessi componenti che si erano espressi precedentemente. Qualcuno sostiene che sarebbe stato opportuno che si astenessero per un giudizio più sereno. Probabilmente ha ragione.
Quello che, però, diventa difficile capire e far capire al comune cittadino – al netto delle valutazioni politiche sull’operato del Presidente Pittella che saranno fatte in un altro momento – è come sia possibile che la Cassazione abbia potuto essere “ininfluente” o addirittura “distratta”, come qualcuno ha azzardato, su una vicenda così delicata.
Le motivazioni della Suprema Corte le abbiamo lette e, sebbene non giuristi ma qualche esperienza di cronista giudiziario l’abbiamo, non riusciamo a comprendere come sia possibile ritenere ininfluente quanto i giudici hanno affermato.
Lo ricodiamo: “Non emergono gravi indizi di colpevolezza, che giustifichino esigenze cautelari a carico di Marcello Pittella” e, per quanto riguarda il provvedimento del Gip, gli Ermellini parlano di “omessa motivazione sulla scelta del Gip di ancorare il giudizio di pericolosità alla probabile candidatura di Pittella alle future elezioni regionali“. “Si tratta con evidenza – aggiungono – di uno sconfinamento dei parametri legali che non possono spingersi fino alla possibilità di ritenere adeguata una misura cautelare per comprimere l’esercizio del diritto costituzionale di elettorato passivo“.
Un giudizio netto sulla base del quale si dava per scontato che i provvedimenti restrittivi (divieto di dimora a Potenza) che pendono ancora su Pittella potessero essere revocati, consentendogli di tornare a pieno titolo a via Verrastro.
Non si è voluto che questo accadesse perchè quel “mostro” del Governatore potrebbe reiterare il reato. Lo potrebbe fare perchè, ancor prima che scoppiasse lo scandalo sulla sanità lucana, aveva espresso l’intenzione di ricandidarsi. No. Non è possibile.
Il suo potere è tale che potrebbe creare ancora danni, tornare ad essere il “regista” del malaffare come si evincerebbe dall’inchiesta. Un “mostro”. Ovviamente tutto da dimostrare.
A Potenza non potrà mettere piede. Potrà arrivare fino a Tito. Umiliato. Non nella sua carica di politico, sebbene sia questa che ci sembra stia più a cuore ai magistrati, ma di uomo.
Che si tratti di accanimento nei suoi confronti ci sembra sempre più evidente. Non basteranno le dichiarazioni di solidarietà che a Marcello Pittella sono giunte in queste ore da più parti a restituirgli serenità.
Temiamo che la sua vicenda giudiziaria durerà ancora a lungo. Sicuramente per impedirgli di potersi ricandidare. Come qualcuno ha deciso.