L’Editoriale di Nino Cutro
Il Procuratore Capo della DDA di Potenza, Francesco Curcio, nel commentare la brillante operazione antidroga condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Potenza, ha lasciato intendere con estrema chiarezza che l’aver smantellato una cellula di nigeriani che operava nel capoluogo di regione con collegamenti anche in Puglia e Campania, non è sufficiente. “Non basta”, ha detto. “Bisogna continuare a vigilare”.
C’è da credergli.
Bisogna farlo nella consapevolezza che lo spaccio di sostanze stupefacenti è una piovra che estende i suoi tentacoli ovunque. È un problema sociale, una vera emergenza.
Non c’è giorno che le forze di polizia non arrestino qualcuno trovato con droga destinata al mercato locale e purtroppo spesso a giovanissimi.
Si, perché, ci dicono gli esperti. che l’età di chi fa uso di stupefacenti si è inesorabilmente abbassata. Quattordicenni, quindicenni… La prima volta si fa per emulazione, per “provare” nuove sensazioni o, nel peggiore dei casi, perché persone senza scrupoli, con espedienti vari, “tirano dentro” i giovani in un giro dal quale diventa poi difficile uscire. E spesso sono gli stessi ragazzi che vengono costretti a spacciare. Se n’è avuta conferma in un’altra operazione condotta dai carabinieri di Venosa: pusher poco più che quindicenni, spacciavano davanti la scuola o nelle vicinanze dell’oratorio.
In quell’occasione il Procuratore Curcio, da noi intervistato, espresse tutta la sua amarezza per il fatto che nessuno se ne fosse reso conto.
Ed è proprio questo l’altro aspetto sul quale sarebbe il caso di soffermarsi. Non per un’indagine sociologica – non abbiamo la presunzione di farlo – ma soltanto per porci alcune domande: davvero non ci si rende conto di quello che accade? O ci si distrae, in maniera spesso ipocrita, per far finta di non vedere? Ed ancora: lo si fa per paura o soltanto perché poco importa dell’altro, del prossimo, dell’amico, del parente, fosse questo anche un ragazzo?
Ed ora una domanda che facciamo con il massimo rispetto di chi in famiglia potrebbe vivere questo problema: in che momento “scatta” nei genitori l’allarme che nella vita del proprio figlio qualcosa potrebbe non andare nel verso giusto? È possibile non rendersene conto? Possibile che si pensa che si possa trattare di una “ragazzata” alla quale non dare peso?
Mi è capitato un giorno, da capo scout, di provare a “far aprire gli occhi” ad una mamma: “Il tuo angelo, come lo chiami, fuma e non le sigarette”, le dissi. Lo sguardo di quella donna è ancora davanti ai miei occhi.
Non è facile prendere coscienza che un figlio, tuo figlio, quello della signora della porta accanto, rischi di avviarsi lungo una strada irta di pericoli. Ma se si riesce a farlo, con coraggio, semmai porgendo la mano a chi in quel momento può aiutarti, “il tuo angelo può salvarsi”.
È una battaglia che deve impegnare tutti noi. Lo dobbiamo fare per educare i giovani a stili di vita sani, iniziando già dalla tenera età. Famiglia, scuola, parrocchia, associazioni: tutti insieme devono operare per superare quell’atteggiamento sempre più diffuso che porta a ritenere che tutto sia normale.
Pensarlo è soltanto un alibi per non affrontare il problema. Perché non è “normale” ubriacarsi, fumare farsi uno spinello a tredici anni. Non è normale.