Vivere al Sud è difficile se non si è giovani, ricchi ed in salute. E’ quanto emerge dalle Anticipazioni del Rapporto Svimez 2018, presentate ieri a Roma nella biblioteca del centro studi, con la presenza della Ministra per il Mezzogiorno Barbara Lezzi.
Nonostante la crescita del PIL meridionale che registra nel 2017 un +1,4%, perfettamente in linea con la crescita Italiana al + 1,5%, le cause del sottosviluppo non tendono a migliorare. Per crescere il Mezzogiorno ha bisogno di forti investimenti pubblici che riducano il divario con il Centro-Nord riguardante il lavoro, la sanità, le infrastrutture, il sostegno alle famiglie.
Andiamo per ordine: la ripresa è stata trainata perlopiù da investimenti privati, cresciuti al Sud del 3,9%, un incremento superiore a quello del Centro-Nord che registra un +3,7%. Preoccupante, invece, la contrazione della spesa pubblica corrente nel periodo 2008-2017, -7,1% nel Mezzogiorno, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese.
Il triennio di ripresa 2015-2017 conferma che la recessione è ormai alle spalle per tutte le regioni italiane, e tuttavia gli andamenti sono alquanto differenziati. Il grado di disomogeneità, sul piano regionale e settoriale, è estremamente elevato nel Mezzogiorno. Nel 2017, Calabria, Sardegna e Campania sono le regioni meridionali che fanno registrare il più alto tasso di sviluppo, rispettivamente +2%, +1,9% e +1,8%. Si tratta di variazioni del PIL comunque più contenute rispetto alle regioni del Centro-Nord, se confrontate al +2,6% della Valle d’Aosta, al +2,5% del Trentino Alto Adige, al +2,2% della Lombardia.
La Basilicata si attesta su un incremento del PIL modesto, +0,7% nel 2017, dopo la forte accelerazione della crescita negli anni scorsi: addirittura +8,9% nel 2015, +1,3% nel 2016. Va notato che l’industria lucana è in forte ripresa già dal 2014 e continua a trainare l’economia regionale, sia pure con intensità diverse, nel triennio, al termine del quale
registra una performance molto positiva (+47% nel 205-2017). Nel periodo, vanno bene anche le costruzioni (+18,3%) mentre sia i servizi (-1,3% nel triennio) che l’agricoltura (-1,2%) appaiono in controtendenza rispetto al resto dell’economia meridionale.
Il valore delle famiglie lucane impoveritesi a causa della spesa sanitaria privata, al 2015, è del 3%, all’estremo opposto troviamo la Lombardia con lo 0,2% e lo 0,3% della Toscana. Un record negativo per la Basilicata, terza in questa classifica. La Basilicata risulta però adempiente nell’erogazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) con un punteggio di 170, 10 punti in più del valore minimo di 160. Inadempienti risultano essere Molise, Puglia, Sicilia, Calabria e Campania.
I divari si confermano anche per quel che riguarda l’efficienza degli uffici pubblici: la SVIMEZ ha costruito un indice sintetico della performance delle Pubbliche Amministrazioni nelle regioni sulla base della qualità dei servizi pubblici forniti al cittadino nella vita quotidiana: fatto 100 il valore della regione più efficiente (Trentino-Alto Adige) emerge che quelle meridionali, ad eccezione della Campania che si attesta a 61, della Sardegna a 60 e dell’Abruzzo a 53, sono al di sotto della metà: Calabria 39, Sicilia 40, Basilicata 42, Puglia 43.
In termini di occupazione si registra un +1,2% ma si tratta di “occupazione debole e precaria” spiega il direttore Svimez Luca Bianchi. Nel corso del 2017 l’incremento dell’occupazione meridionale è dovuta quasi esclusivamente alla crescita dei contratti a termine (+61mila, pari al +7,5%) mentre sono stazionari quelli a tempo indeterminato
(+0,2%). Vi è stata una brusca frenata di questi ultimi rispetto alla crescita del 2,5% nel 2016, il che dimostra che stanno venendo meno gli effetti positivi degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni al Sud. Il dato più eclatante è il drammatico dualismo generazionale: il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi
di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità).
Risulta raddoppiato, dal 2010 ad oggi, il numero delle famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione: da 362.000 a 600.000. Crescono anche le famiglie in povertà assoluta al Sud e quindi il fenomeno dei working poors: dalle 700 mila del 2016 alle 845 mila del 2017. Si registra una crescita della povertà anche nelle famiglia con un lavoratore: 312 mila, valore doppio rispetto al 2008.
Diminuisce il peso demografico nel Mezzogiorno: il 34,2% sul totale della popolazione italiana. Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati. Anche nel 2016, quando la ripresa economica ha manifestato segni di consolidamento, si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 131 mila residenti. Tra le regioni meridionali, sono la Sicilia, che perde 9,3 mila residenti (-1,8 per mille), la Campania (-9,1 mila residenti, per un tasso migratorio netto di -1,6 per mille) e la Puglia (-6,9 mila residenti, per un tasso migratorio netto pari a -1,7), quelle con il saldo migratorio più negativo.
Disagio economico e sociale si fondono, nonostante la crescita del PIL il divario Nord-Sud è ancora molto marcato, le arretratezze meridionali non sembrano assottigliarsi, anzi rischiano di far affondare il Sud se lo Stato non interviene con forti investimenti pubblici.