Nel vocabolario di italiano che hanno portato per affrontare mercoledì la prima prova degli esami di maturità oltre a qualche appunto (confessiamolo!), i maturandi hanno messo anche il timore di non farcela, speranze e uno sguardo al proprio futuro.
Quando gli esami saranno finiti, quando la prima importante prova per la vita per un giovane sarà conclusa si apriranno, infatti, nuovi orizzonti.
Si accenderà il “tom tom esistenziale” che indicherà la strada da percorrere. Una strada in parte prevista, in parte tutta da scoprire.
Una strada che per molti porterà inevitabilmente fuori la Basilicata per il percorso universitario che è stato scelto; per il desiderio di sperimentarsi in altre realtà. Perché abbiamo inculcato in loro, nei giovani, la convinzione che in Basilicata non c’è futuro.
E così, non con la valigia di cartone come all’inizio del secolo, ma con il trolley alla moda, si parte.
Dietro si lascia qualche apprensione nei genitori che egoisticamente vorrebbero che i figli rimanessero a casa. Che continuassero gli studi in regione, considerando che l’ateneo lucano offre delle buone opportunità. Ma, ai figli non si comanda. E neanche al cuore.
Bisogna accettare e lasciare che percorrano la propria strada, che si confrontino e scontrino con le difficoltà; sbagliano semmai. Dicono i pedagogisti: sbagliando s’impara. Ma mentre i nostri giovani partono per nuovi lidi, proviamo a chiederci: perché questo accade?
Riavvolgo la bobina. Molti anni fa, quando mio figlio frequentava la scuola media, Nino D’Agostino, economista, convocò noi genitori per un consiglio. “Non costringete i vostri figli – ci disse – a scegliere gli studi che piacciono a voi ma cercate di individuare, dati alla mano, in quali settori con maggiori opportunità occupazionali sarà possibile orientarli”. E ci dette delle dritte.
Quanti di noi hanno seguito il consiglio di D’Agostino non è dato sapere. Certamente ci si è guardati bene – parlo per esperienza personale – di imporre le nostre scelte convinti che dovevano essere loro, i nostri figli, a scegliere. È andata bene? È andata male? Ognuno ha la sua storia.
Ma torniamo al problema: perché i giovani vanno fuori regione e soprattutto perché, dopo gli studi, non ritornano?
Lo dicevamo: intanto li abbiamo convinti, a malincuore e forse sbagliando, che in Basilicata non c’è futuro. Perché, dicono in molti, “il sistema” (vogliamo chiamarlo assistenzialismo?) non offre molte possibilità.
Certo, in Basilicata le opportunità di lavoro non sono le stesse di quelle che offrono altre regioni.
Ma anche in altre regioni, e ancor più all’estero, il lavoro non si trova sotto casa. Bisogna mettersi in gioco, proporsi. Mettersi sul mercato. Se sei bravo, preparato; se sei competente le porte si aprono.
Ma – si sostiene – lo stesso non accade in Basilicata.
Ma proviamo a vedere il bicchiere mezzo pieno senza illudere nessuno.
Ci sono stati giovani che, mettendo a sistema la propria esperienza e le proprie competenze, il lavoro sono riusciti a crearselo, a “inventarselo” anche in Basilicata utilizzando leggi e bandi varati per incentivare l’impresa giovanile. “Io penso positivo” canta Jovanotti. Proviamoci anche noi e, soprattutto, che questo motto valga anche per i giovani maturandi.
Auguri ragazzi. E, se potete, tornate.