I 186 km più temuti della seconda settimana del Giro d’Italia sono quelli che portano in cima al Monte Zoncolan: 5 Gran Premi della montagna in programma, compreso quello conclusivo a quota 1730. E’ la salita più dura del Friuli e certamente una delle più dure in assoluto d’Italia e d’Europa. Il Monte Zoncolan può essere confrontato solo con il Mortirolo per l’intensità dello sforzo richiesto e per il carattere proibitivo delle pendenze sistematicamente sopra il 10% con tratti, anche non brevi, che sfiorano il 20%.
Un giornale online aveva presentato così la tappa di montagna: “Se il mito del Centenario era stato lo Stelvio – la montagna sacra del ciclismo, il passo più alto della Nazione – la centunesima edizione del Giro d’Italia ha scelto un simbolo moderno della Corsa Rosa: il Monte Zoncolan, un martirio alpino con le sue durissime pendenze nella terra di mezzo, bianche come il latte, rosse come il sangue. Lo Zoncolan è una montagna che s’eleva nell’incantevole cornice delle Alpi Carniche e i ciclisti lo chiamano il Kaiser perché, parola di chi ha scalato il Mortirolo, l’Angliru o il Mont Ventoux, è la salita più dura d’Europa.” (it.eurosport.com).
Non saliva sui pedali da un bel po’, ma la passione pe le due ruote era rimasta intatta. Ogni tanto dava una ripulita alla sua bici, pulendola e sistemando i vari ingranaggi, ma il freddo e la pioggia della primavera potentina non permettevano grandi uscite e arrampicate sulle salite di asfalto e cemento. Il Giro d’Italia era un appuntamento fisso, che ogni anno seguiva con grande interesse. Aveva iniziato da piccolo, seguendo le imprese eroiche di Bugno, Pantani ed Indurain, uomini che hanno fatto la storia di questo sport duro e poetico. La tappa dello Zoncolan era tra gli appuntamenti più attesi per gli appassionati della Corsa Rosa. Anche se in ufficio a lavorare, seguì la tappa con il computer a destra, aperto su file Excel e mail, e l’iPad a sinistra, collegato in diretta con la corsa. Nemmeno i messaggi di Anna riuscivano a distoglierlo, tanto era preso.
“Dal versante di Ovaro, la strada s’arrampica per 1.210 metri di dislivello in soli 10,5 chilometri alla pendenza media dell’11.6% tra picchi di oltre il 20%. I primi 3 chilometri somigliano all’imbocco di molti passi dolomitici, con un declivio regolare che spiana netto dopo mille metri. Dai tremila, traversato il paese di Liariis, comincia invece la parte più ripida perché ci sono subito cento metri al 22% e per i 6 chilometri successivi il pendio medio è del 15%, con tornanti stretti e ripidi su fondo sconnesso. Solo intorno al nono chilometro, le pendenze tornano al 7% e la strada spiana fino al 4% in prossimità dei tre tunnel di mattoni a vista che, per il primo passaggio del Giro (da Ovaro) nel 2007, sono stati cementati e illuminati. Non è finita, perché gli ultimi 500 metri hanno una pendenza del 12% per scollinare in vetta a 1735 metri di altitudine”. (it.eurosport.com).
Tra i protagonisti dell’edizione 101 del Giro, lui stava seguendo con particolare interesse il corridore lucano Pozzovivo. Domenico, nato e cresciuto con il vento dello Ionio sulle spalle, con una formazione musicale da pianista, abile a suonare i notturni di Chopin, aveva nel suo palmares importanti piazzamenti nelle diverse corse a tappe e significative vittorie di tappa. Dello scalatore di Montalbano Jonico apprezzava molto il suo essere mite ma determinato, caratteristica che aveva ritrovato in molti lucani conosciuti in questi mesi di vita al Sud. La sua caparbietà lo aveva aiutato a risalire dopo i brutti incidenti avuti in questi anni di corsa sull’asfalto. In un’intervista parlò anche del suo rapporto con la Basilicata: “Torno spesso in Basilicata, soprattutto in inverno perché il clima è migliore rispetto alla Svizzera dove risiedo. E poi sono le strade che mi hanno fatto innamorare di questo sport. Sono fiero del carattere della mia gente, poco appariscente, che lavora con costanza e umiltà badando più ai fatti che alle parole. È una regione incontaminata, ancora poco conosciuta”.
Ritrovava nelle parole di Pozzovivo tutto il sentimento che lo univa alla Basilicata, un amore nato da poco ma già così solido e fermo. Forse per questo seguiva il giro dello scalatore lucano, perché in lui rivedeva sé stesso, con molti meno muscoli e talento. Nella tappa dello Zoncolan Pozzovivo aveva dato tutto, con il suo passo, restando a poco dalla maglia rosa.
Nonostante le dure pendenze ha saputo reagire, con coraggio ed ardore, non si era lasciato tentare dalla possibilità di mollare la presa, rispondendo colpo su colpo, da protagonista in una giornata che verrà ricordata a lungo da tutti gli amanti del grande ciclismo. La sua corsa aveva doti atletiche straordinarie e accenti poetici come quelli di un tempo. Nella bellezza di questo sport di gambe e polmoni, Pozzovivo rappresentava l’anima romantica e tenace che è propria di chi proviene dalla provincia italiana. A fine tappa, mentre il telefono brillava di messaggi e le email si sommavano, lui restò ancora collegato con la diretta per sentire commenti ed interviste. Fuori il sole era coperto da nuvole cariche di pioggia, dentro l’aria riscaldata dai termosifoni ancora accesi si faceva piacevole e placida. Era rimasto solo nell’open space di questo palazzo di vetri e cemento armato, la condizione ideale per finire di lavorare e trovare ancora del tempo per pensare.
In cuor suo sapeva che quello era il tempo delle scelte, perché il calendario era chiaro e il conto dei giorni che restavano prima del suo ritorno a Roma si era fatto maledettamente breve. Ripensò a Pozzovivo, alle sue parole sulla Basilicata, alla fatica della salita, al passo che serviva per restare vivi all’arrivo. Il telefono squillava, era la madre che lo stava chiamando. Le rispose e si sentì rassicurato. In quel momento avrebbe voluto scomparire in un abbraccio, sentirsi al sicuro tra i suoi affetti più cari, ma la distanza segnava il suo tempo e imponeva scelte e riflessioni come un uomo vestito da uomo deve saper fare. A fine telefonata mise computer e Ipad nello zaino, spense la luce, chiuse la porta e se ne andò a cena dal suo amico Riccardo. Restò solo per tutto il tempo, a riflettere, a pensare, a disegnare, a coniugare il tempo al futuro e a cercare la geografia ideale dove farli abitare.
Roma o Potenza?
Restare o tornare?
Questo era il suo dilemma.