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Letto Lo Scalatore. Novanta giorni. (Capitolo 21)
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Lo Scalatore. Novanta giorni. (Capitolo 21)

USB - Ufficio Stampa Basilicata 8 Aprile 2018
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Aprile, risveglio dei muscoli e della natura. La primavera faceva il suo ingresso in città a piccoli passi, il freddo ancora copriva i palazzi e le auto lasciando i segni del suo passaggio al mattino. Si alzò, andò in cucina per prepararsi la colazione, ripetendo, in fila, i gesti di ogni giorno: prima la tazza, quella di Starbucks presa in aeroporto a Parigi , poi il bollitore, in fine il caffè avanzato del giorno prima. Erano le sei del mattino, la tv era accesa a volume basso, lui, seduto, finiva la sua colazione con un occhio ai giornali, la preghiera dell’uomo moderno, ed uno alla Tv. Una doccia e poi via, verso la sede locale di una tv nazionale che lo aveva invitato per presentare i primi risultati del progetto di ricerca ed innovazione sul quale il suo team stava lavorando.
Era abituato a questo tipo di cose, non gli pesava molto parlare in pubblico e davanti ad una telecamera, ma questa volta era diverso. Sapeva bene che dopo quella breve intervista gli sarebbero arrivati messaggi sul telefono degli amici che aveva conosciuto a Potenza. Era diventato uno di loro, parte di una comunità fino a poco tempo fa sconosciuta e lontanissima. Con lui, in studio, un tale che aveva da poco pubblicato un nuovo libro, e ch aveva già conosciuto in altre occasioni. Si erano incontrati al Jazz Club, al cinema, nel ristorante di sempre, allo stadio, qualche volta anche in giro con la bici. Avevano passioni comuni ma non si erano mai stretti la mano. Non sapeva il suo nome, ma il suo volto era così familiare da sentirlo molto vicino alla sua vita. E’ una sensazione strana, si diceva, pur conoscendo solo il suo nome avverto un’energia positiva ogni volta che lo incontro. Come se fossimo simili, con storie differenti, ma uguali per sguardo e visione. Dopo la diretta televisiva presero un caffè insieme e lui, lo scrittore, gli regalò una copia del suo ultimo libro lasciandogli anche una bella dedica.  Uscì di lì e se andò dritto in ufficio, una nuova giornata di lavoro e parole, sempre troppe, lo stava aspettando con tutto il suo carico di stress e frustrazioni.
A fine giornata aveva all’attivo: un pacchetto di Benagol, uno di caramelle balsamiche, uno di antistaminici, 32 email da rispondere, un libro iniziato, un paio di post da scrivere, mezza rassegna stampa da leggere ancora, qualche decina di messaggi tra WhatsApp e Telegram da rispondere e una vita sociale ferma da qualche parte.
Mandò un messaggio ad Anna, prendendo in prestito le parole di un grande poeta: “La mia noia combatte con i lenti crepuscoli. Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi. La luna fa girare la sua pellicola di sogno“. Lei, di tutta risposta, gli scrisse così: “Non cercare di splendere come la giada, ma sii semplice come la pietra”. Si divertivano a tirar fuori pezzi di racconti, frasi, metafore, immagini e disegni colorati da altri. In questo modo intrecciavano le loro letture, andandosi a cercare nei luoghi dell’anima, riconoscendosi. Queste parole, i libri letti, i film visti e rivisti, erano il  migliore antidoto alla noia, il cicatrizzante migliore per curare le ferite del cuore, anche per le più profonde per le quali solo il tempo sa dare rimedio. Lui era da sempre ossessionato per la perfezione, soprattutto sul lavoro. Talmente ossessionato che ne aveva fatto una ragione di vita. Una sera, seduti sul divano di un’enoteca, ebbero una piccola discussione, proprio su questo argomento. Anna non sopportava molto questo su modo di fare, e di essere, che riteneva inutile e dannoso soprattutto per sé stesso.
Senza aspettare che la seconda mescita di vino facesse il suo effetto, lo guardò negli occhi, come solo lei sapeva fare, e gli disse: ” Forse ho capito una cosa di te.  Quando eri piccolo qualcuno ti avrà detto che eri bravo, magari a scuola o in qualche sport, e che tutto sarebbe andato sempre bene negli anni a venire.  Però, ad un certo punto, la vita vestita da serpente, ti avrà offerto una mela marcia ed è da allora che non riesci a sopportare i difetti, soprattutto degli altri. Dovresti provare a controllare questa tua ansia da prestazione per tutto, non puoi continuare a vivere la tua vita come se fosse una continua competizione, contro qualcuno contro qualcosa. Accetta gli altri per come sono fatti, dagli una possibilità di fare e di essere senza avere sempre quell’atteggiamento da primo della classe con il ditino alzato, pronto a dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. A volte mi perdo, non so più chi sei. Non so se sei la persona dolce e premurosa che mi ha fatto ritrovare l’amore, oppure sei il cinico stronzo che pensa solo a sé stesso e agli utili aziendali. Lo so, ti sembrerà sciocco tutto ciò. Ti sembrerò un’idealista, una romantica, una sognatrice, ma tu mi vivi dentro come nessuno ha fatto mai. Ed io non voglio paura dei miei sentimenti. Non più. Non adesso. Non con te.”
Queste parole di Anna suonarono come una sveglia per lui. Mai nessuno era riuscito a parlargli in faccia, con tanta franchezza. Negli occhi di Anna leggeva verità e amore, per questo non poteva far finta di nulla. Per questo le sue parole gli restarono incollate alle pareti del cuore, negli angoli della memoria. Sentiva che tutto ciò non apparteneva ad altri, non era un racconto di chissà quale bravo autore, ma finalmente era suo. Tutto suo. Ma quella parete, il calendario parlava un linguaggio ancora più veritiero. Tra tre mesi tutto sarebbe finito. Novanta giorni e la sua vita sarebbe tornata a fluire lungo le strade di Roma.

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