Riportiamo qui di seguito la relazione che il segretario del Pd di Basilicata Mario Polese ha tenuto introducendo i lavori della Direzione.
“Abbiamo perso. Potrei aggiungere che abbiamo perso male, malissimo, ma anche in questo modo non basterebbe per capire il messaggio che gli elettori ci hanno consegnato con il voto del 4 marzo.
Evitiamo formalismi di maniera: ci sono responsabilità di tutti e diverse gradazioni di responsabilità. Io, da Segretario, al netto delle attenuanti temporali, ne ho più di tutti gli altri, soprattutto per il livello di autorevolezza oggettiva connessa al ruolo elettivo che ricopro. E non posso che legare la prosecuzione del mio mandato, alla condivisione di un percorso possibile che vorrei proporvi oggi e che dia il la alla rinascita di un partito collegiale in un tempo ristretto, per riemergere subito dalle nebbie. E condividendo quanto
stabilito dal Partito Nazionale che nella riunione dei segretari regionali con Maurizio Martina, ha chiesto a tutte le apicalità del partito un ulteriore sforzo di responsabilità, mantenendo salde le redini, chiedo al Presidente Giuzio, di cui apprezzo la generosità delle intenzioni, di non presentare alcuna dimissione a questa assise. Perché la fiducia per me è sempre in discussione e poco contano le percentuali del congresso, che pure non accetto però vengano messe in discussione da uno strumentale desiderio umano, ma non
comprensibile politicamente, di rivincita.
Certo, il voto popolare che ha premiato 5 Stelle e Lega ha eroso parte del consenso del Pd in tutto il Sud, nelle isole e in parte del Centro, e noi pure in questo quadro risultiamo la regione in cui si registra la sconfitta minore, ma è chiaro che, al netto dell’analisi su cosa sia oggi il Mezzogiorno e quale grammatica serva per interpretarlo al meglio, ogni regione, ogni territorio, ogni singolo comune ha delle precise ragioni sulle quale dobbiamo
interrogarci a fondo.
Ovviamente non sarà lo spazio, seppur importante ed utile, di questa nostra direzione a liquidare l’analisi del voto, e del non voto per noi, ma è da qui che dobbiamo partire per un percorso, con franchezza e senza troppe metafore. Impariamo ad usare un linguaggio di verità, con lo stile e la sobrietà che ci contraddistingue. Ecco perché fino ad oggi ho preferito tacere.
Ho condiviso e apprezzato quanto emerso dalla direzione nazionale del Pd, lunedì scorso. Le dimissioni sono una cosa seria. Ed io non posso che ringraziare Matteo Renzi per quello che ha fatto, per il gesto di grande responsabilità, ma soprattutto per le cose fatte dal suo governo e da quello Gentiloni. Cose fatte bene, cose fatte meno bene e cose non ancora fatte, non dobbiamo nascondercelo, a Roma come in Basilicata. Maurizio Martina, a cui va il nostro saluto e l’augurio di un buon percorso nella sua veste di segretario reggente, ha da subito impostato il lavoro sulla rigenerazione del nostro partito. Non può che farci piacere, anche perché siamo stati i primi noi ad indicare la strada della rigenerazione delle comunità democratiche come unica possibile via per affrontare la tempesta che, di li a poco, si sarebbe abbattuta sul paese.
In questi giorni abbiamo assistito ad un balletto dichiarazioni e post sui social che francamente ci saremmo risparmiati. Da parte di tutti. A Roma così come qui da noi. Evidentemente non è chiaro cosa ci hanno detto innanzitutto i nostri elettori, che ci accusano di esserci occupati troppo dei destini dei gruppi dirigenti e del ceto politico e poco delle vite dei cittadini.
Una sconfitta così dura merita più sobrietà, maggiore approfondimento e meno attivismo mediatico. Lo dico a tutti, innanzitutto a me stesso.
Dobbiamo iniziare a cambiare modus operandi, anche a partire dalla comunicazione, bisogna costruire comunità e non solo esaltare le individualità. O faremo così oppure resteremo una somma di singoli in uno spazio vuoto. Dobbiamo mettere in cima invece alla nostra agenda il fare, bene, e poi il comunicare. Solo se fai puoi raccontare. Ma su questo tema, elle prossime settimane, organizzeremo degli appuntamenti specifici con tutti voi, gli amministratori e con i segretari dei nostri circoli.
Sono tante le cose che dobbiamo iniziare a fare, sulle quali proveremo ad innovare e a modernizzare il nostro essere comunità politica. Ci vorrà tempo, chiaramente, ma ci sarà bisogno di impegno da parte di ognuno di noi affinché questo partito possa limare il più possibile i propri difetti e far emergere le tante qualità. Qualità che abbiamo e che non dobbiamo deprimere o reprimere a causa di questa sconfitta. E sono certo che Vito Giuzio chiarirà il senso delle sue parole sulla mancanza delle classi dirigenti, perché sono state di certo male interpretate, perchè se c’è un vulnus, è proprio quello di non aver fatto emergere ancora chi nelle sezioni di periferia o nei quartieri della nostra città si sente democratico dentro, ma trova spazi chiusi e purtroppo a volte sezioni sbarrate.
Ma cosa è successo il 4 Marzo?
Proverò a dirvela così, partendo da un aneddoto della mia vita di tutti i giorni. Ogni mattina, quando da casa mi dirigo verso il mio ufficio in Regione o al Pd, attraverso parte della città e delle sue periferie. Mi incrocio con esistenze che non conosco, che sembrano tutte uguali, ma che compongono la vita collettiva che anima questa città. Per un lunghissimo periodo abbiamo smesso di relazionarci con queste persone, convinti che quel consenso costruito negli anni avrebbe retto lo stesso, anche con un netto, ma non
improvviso e ben prevedibile, straordinario cambio del quadro politico. Ma gli invisibili delle nostre città, con i quali abbiamo provato a recuperare un rapporto solo in questa campagna elettorale, hanno deciso di diventare visibili, con il loro voto, mettendo noi, adesso, in una posizione di invisibilità.
Ci siamo affannati, nei diversi consessi, a ragionare sulle periferie e sulle solitudini, sulle esigenze e sulle domande della gente comune, ma lo abbiamo fatto in circoli ristretti e nel ceto politico. Ci siamo occupati dei poveri senza i poveri. Per un partito di centrosinistra è la più grande sconfitta sul piano culturale, prima ancora che elettorale.
Abbiamo perso di credibilità ai loro occhi e quindi abbiamo perso il loro consenso.
Eppure di cose buone e significative il governo ne ha fatte. Le misure messe in campo per la lotta alla povertà, alla disoccupazione, per l’inclusione sociale e la tenuta del welfare sono state significative e, in alcuni casi, senza precedenti. Ma non siamo stati in grado di costruire un quadro narrativo rassicurante, nel quale le nostre proposte e le nostre azioni, concrete e già operative, potessero avere la meglio sulla propaganda populista che ha
caratterizzato questa campagna elettorale. Così come sui temi energetici e della protezione della salute e dell’ambiente, nonostante le scelte forti, rivoluzionarie, un unicum nella storia politica lucana, messe in campo da Marcello Pittella e dalla giunta regionale, non sono bastate ai lucani per battere la dilagante sbornia di fake news sul tema.
L’Italia post 4 marzo è divisa in due.
Come ha detto Claudio De Vincenti, la linea di divisione politica segue una linea di divisione delle difficoltà e dei problemi. Da una parte, un Nord con livelli occupazionali elevati ma ancora traumatizzato dalle conseguenze della crisi 2008-13: ancora situazioni di incertezza di famiglie, lavoratori e piccoli imprenditori, sulla stabilità delle loro prospettive di reddito, con il bisogno di difendere ognuno la propria posizione che ha esacerbato la diffidenza gli uni verso gli altri e ha ingigantito le preoccupazioni per immigrazione e sicurezza.
Abbiamo anche con i nostri comportamenti politici dato sostanza ad un reciproco individualismo dei governati e dei governati. Noi cioè non abbiamo tenuto conto del fatto che la profondità della crisi che siamo riusciti parzialmente a superare implicava che la ripresa non avrebbe sanato subito le ferite sociali prodotte. Abbiamo creato oltre 900.000 posti di lavoro (300.000 nel Mezzogiorno) ma ci sono ancora (soprattutto al Sud) tanti
disoccupati o persone che hanno rinunciato a trovare lavoro. Perciò le misure che hanno rimesso in moto l’economia e che stanno consolidando la ripresa sono state paradossalmente percepite come misure per chi è in grado di farcela e non, come invece erano e sono, misure per aprire sempre più le porte del mondo del lavoro a tutti. È come se le nostre misure si fossero fermate in “alto”, non fossero arrivate alle persone in carne e ossa. Ecco, non siamo apparsi in sintonia con quelle sofferenze e quelle ansie alle quali pure volevamo rispondere, siamo apparsi estranei ai tanti che ancora stentano a ritrovare la fiducia nel futuro. Se c’è una cosa che mi preoccupa è che il voto, al Nord come al Sud seppure per motivi diversi, segnala una perdita di speranza dei nostri concittadini nel futuro ed una inevitabile e fortissima richiesta di cambiamento.
Sbaglia chi semplifica l’analisi rintracciando solo nel desiderio assistenzialista e nella contrazione della spesa pubblica o l’aspirazione al reddito di cittadinanza come spinta al voto verso il Movimento 5 stelle al Sud. Il punto è un altro: il desiderio di uno straordinario cambiamento accompagnato da una domanda: quale sia il punto di esistenza vero e su cui si fonda il centro sinistra oggi in Italia, e più complessivamente il progressismo in Europa.
Perché non sfugge a nessuno, come ci diceva Martina, che ci sono concetti superati, come quelli di frontiera e che pure il mito del cosmopolitismo è fallito nella percezione dei cittadini. Pare quasi che si stia meglio chiusi e distanti. E che i grillini abbiano rappresentato una delle più grandi class action dei cittadini contro la politica.
Abbiamo pagato i nostri errori, la nostra arroganza a volte, la nostra litigiosità che ha avuto un solo risultato: la disgregazione delle nostre comunità nei territori. Siamo stati distanti da quell’idea di partito delle comunità democratiche, sulla quale oggi dobbiamo continuare lavorare. Magari con l’ambizione di tornare ad essere il modello per tutto il partito nazionale.
Altra verità che queste elezioni ci consegnano: non è il correntismo spinto la soluzione. Perché uno dei punti della sconfitta è proprio questo: è saltato il meccanismo dell’atlerita, se non sono io in campo, non c’è nessun altro. E questo spiega perché le primarie congressuali con tanti candidati in campo producano più consenso delle politiche. E vale per tutti, non solo per alcuni.
Torno a ripetere un concetto espresso prima: o si ragiona come comunità o ci si ritroverà da soli. Chi pensa di stare in questo partito senza sentirsi parte di una comunità più grande del proprio ego ha sbagliato tempo e luogo .
Recependo le indicazioni della direzione nazionale, siamo chiamati tutti a un impegno straordinario. Dobbiamo promuovere, ad ogni livello, il più ampio confronto di analisi e proposta per individuare insieme il percorso da seguire per il rilancio del Partito Democratico nella società lucana. Penso ad assemblee territoriali aperte in cui tutti i nostri iscritti, tutti i protagonisti dell’agire civile e sociale di Basilicata possano esprimere liberamente opinioni, giudizi, proposte…un calendario fitto che in poco più di un mese ci
porti ad un risultato di sostanza da cui ripartire e che costituisca la base di una assemblea regionale che lanci una grande conferenza programmatica che sciolga tutti i nodi sulle politiche più avanzate da proporre nel quinquennio 2018-2023.
L’agenda dei prossimi mesi sarà caratterizzata da questa grande missione, non c’è alternativa. Attenzione perché non sarà facile battere il fascino di soluzioni tanto semplici quanto illusorie rispetto a nuove insicurezze e sradicare il ruolo che l’anti-politica ha giocato a più riprese nella nostra cultura collettiva.
Negli anni di governo, abbiamo fatto scelte importanti per il bene del Paese, dal reddito di inclusione alla riduzione delle tasse e ad un fisco più a misura di contribuente, dalle unioni civili al biotestamento. Nel nostroprogramma c’erano proposte altrettanto forti per continuare questo cammino e prendersi cura del futuro: denatalità, occupazione femminile, formazione permanente, non autosufficienza. Sia chiaro: perdere le elezioni quando hai
fatto cose buone per il tuo Paese non è un’attenuante, ma un’aggravante.
Non c’è stato solo un problema di comunicazione. C’è stato un problema politico.
Più che cosa fare…mi chiederei da dove ripartire.
Servono nuove idee non solo nuove persone: una partecipazione superiore a quella di una sola domenica ai gazebo. Serve un partito che fa il partito, che intermedia la società in forme nuove, che dialoga con gli attori dello sviluppo anche oltre i corpi intermedi e che si costruiscano assieme esperienze e si elaborino idee. Ecco, le primarie delle idee, mi sembra cio che di buono sia emerso dal dibattito di questi giorni. Lo faremo a partire da questa direzione, dall’agenda delle prossime settimane, dalla necessità di avviare una fase di
consultazione programmatica per i prossimi appuntamenti elettorali e puntando alla rigenerazione del Pd a partire dalle periferie più distanti della nostra regione, senza trascurare i grandi centri, il vero problema di questa passata campagna elettorale.
E se dobbiamo usare un linguaggio di verità, dobbiamo stare nel solco della linearità e nella priorità sostanziale e non formale di nuove alleanze ampie,rafforzando il perimetro dell’attuale centro-sinistra e provando a costruire una reale convergenza programmatica con LEU, forze civiche, senza veti reciproci e con regole chiare. Costruendo in regione come nei Comuni una linea omogenea, perchè non è piu sostenibile che esistano più pd e più
centro-sinistra. Allora partiamo da Potenza, capoluogo di Regione, dove la nostra posizione deve essere chiara. Siamo stati responsabili ma ora una fase è finita, dobbiamo prenderne atto e voltare pagina, il Partito Democratico ritira la propria delegazione in giunta. E poi si affronterà il tema di Matera e degli altri comuni che versano in analoghe condizioni di ambiguità politica.
Serve inoltre avviare un lavoro tematico collegiale con i dipartimenti che vorrei costituire nei prossimi giorni e anche una scuola di formazione politica per giovani amministratori e non, perché se c’è una nota positiva dopo questa sconfitta, è il desiderio di molti di avvicinarsi al partito democratico, quasi un desiderio collettivo di fare uno sforzo in più. E questa è una cosa bella che va valorizzata. Lo abbiamo detto durante il congresso, lo abbiamo scritto nella mozione, lo inizieremo a fare a partire da questa imminente primavera. La scuola di formazione è uno dei punti nevralgici per il futuro del Pd, è infatti
fondamentale rafforzare le nostre classi dirigenti e metterne anche in campo di nuove, sempre più capaci, competenti, e radicate nei territori.
Chiudo, con quello che è il tema principe dopo il 4 marzo, le imminenti elezioni regionali. Non siamo nelle condizioni oggi per fare scelte, ma abbiamo punti fermi da cui partire. Il primo, è questa esperienza regionale, il cui giudizio non può che essere complessivamente positivo, al netto di quelle criticità che persistono e che in questi mesi dovremo provare ad affrontare con maggiore energia, individuando proprio nella figura di Marcello Pittella il
punto di partenza di ogni ragionamento. Il secondo è che abbiamo la necessita di affrontare un viaggio nel cuore dei problemi della Basilicata per comprendere se non solo questa giunta, ma tutti noi, siamo nelle condizioni di rilanciare una offerta più avanzata per il centrosinistra lucano. Il terzo, tempi brevi, poco più di un mese, per rivedersi all’esito delle consultazioni più volte già citate ed assumere una destinazione definitiva, con scenari che oggi non sono automatici.
Quello che è certo è che il Pd riprenderà da subito il lavoro iniziato in questi primi mesi.
Insieme saremo presenti in tutta la regione, in ogni territorio, in ogni circolo, in ogni piazza. Tra la gente, a viso aperto, senza paura del confronto, anche quando sarà aspro e duro. Sarà un lavoro capillare, in cui ognuno di voi sarà chiamato a farne parte. Insieme affronteremo questa fase non facile ma allo stesso tempo esaltante. Insieme lavoreremo per recuperare credibilità e consenso. Insieme torneremo nelle strade con le feste dell’unità e le tante iniziative di confronto, tra mondi distanti e singole persone. Insieme, con
l’entusiasmo e la passione di chi ama la Basilicata e crede nella politica come strumento per migliorare e crescere. Con la buona politica, le nostre competenze, la nostra squadra che nascerà, le migliori esperienze, le giovani risorse. Con la bellezza delle passioni forti . O staremo insieme, oppure non ce la faremo.
Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi…con Aldo Moro che voglio ricordare nel quarantennale del suo rapimento, vi ringrazio per l’attenzione augurandovi un nuovo corso.