Un popolo dovrebbe capire quando è sconfitto, tu lo capiresti, io lo capirei. Al mio segnale scatenate l’inferno
Dopo aver pronunciato questa frase, Massimo Decimo Meridio sale in sella al suo levriero e attraversa le fila dei soldati romani pronti per la battaglia contro i Marcomanni in Germania. Questa è una delle scene più importanti del film “Il gladiatore” magistralmente interpretato da Russel Crowe. Da quando ho visto in campo per la prima volta Giuseppe Siclari, beh, ho sempre detto a me stesso che in quel film, confuso tra i soldati romani, ci calzerebbe a pennello. Sarà per il profilo greco, sarà per l’imponenza o per quella andatura un po’ oscillante che sembra condizionata dal peso di una armatura.
La verità è che lo vedrei bene interpretare il ruolo del gladiatore, del combattente perché in campo lotta e si impegna come un vero guerriero. Premetto che è troppo facile scrivere di lui dopo la rete della vittoria in quel di Gragnano. In realtà la considerazione esula dall’ultima partita, anzi è proprio da quella rete che voglio prendere le distanze. Sarebbe troppo facile tessere le lodi di un calciatore quando sigla un gol vittoria. La verità è che Siclari ha sempre mostrato in campo di onorare la maglia, di lottare per la squadra, trainandosi dietro avversari troppo esili per reggere il confronto, svettando di testa e urlando ai sui compagni di squadra per un passaggio troppo profondo o fatto con un attimo di ritardo. Ma negli ultimi mesi il guerriero Siclari è stato anche vittima della frustrazione di non trovare la rete, elemento che, per un bomber come lui, deve essere stato a tratti avvilente.
Nel frattempo Giuseppe Siclari continuava a lottare e correre calciando la palla sempre con maggiore grinta e rabbia per trovare quel gol tanto voluto. Ma la palla, quasi per un gioco beffardo del destino, preferiva scheggiare il palo piuttosto che finire in rete. Lui intanto forniva assist in assenza di gol, urlando, imprecando e dimenandosi. Sempre però dando il massimo per quantità e sostanza. Intanto il digiuno dalla rete si prolungava ma con il suo atteggiamento mai domo Beppe, come lo chiamano i compagni, non autorizzava nessuno a mettere in dubbio le sue qualità. Bisogna poi considerare che dietro al calciatore, al professionista c’è l’uomo con le proprie preoccupazioni, le proprie gioie e dolori che non è detto che vadano comprese dai tifosi ma meritano senz’altro di essere rispettate. Ma intanto Beppe continuava a correre con quelle inconfondibili gambe curve ed a dimenarsi tra i difensori mentre la rete non arrivava e qualche mugugno di troppo riprendeva ad aleggiare.
In tutto ciò, come un buon pater familia (per restare in tema di antico romano impero), il presidente Caiata dalla tribuna urlava rispetto per il suo numero 11 verso coloro che si lasciavano andare a qualche critica eccessiva. E poi, al 18’ della ripresa della gara di domenica scorsa, con un colpo di testa Siclari schiacciava in rete la palla scrollandosi di dosso una astinenza troppo lunga. In un attimo tutte le critiche sono state spazzate via con un alito di vento e tutte le “chiacchere” fatte sono state ridimensionate a banali e semplici “chiacchere”, pronte a essere nuovamente urlate al prossimo gol sbagliato o al prossimo tocco impreciso. Urlate pure, scatenatevi anche se volete, fischiate se preferite tanto nel frattempo Peppe sarà ancora lì, a lucidare l’elmo per la prossima battaglia, pronto a brandire la sua lama e a buttarsi per primo, fiero ed a testa alta, nel cuore della battaglia, senza dover attendere che qualcuno gli dia il segnale…di scatenare l’inferno.