Il freddo entrava nelle ossa, l’autunno ormai alle spalle, e l’estate troppo lontana, non concedevano spazio alla sua biciletta e alle corse lungo i tornanti della città verticale. Alle stesso tempo, però, non aveva intenzione di lasciarla a casa e di dover, gioco forza, prendere l’auto. Non aveva fatto i conti con il freddo di Potenza, glielo avevano raccontato ma tra il racconto e le guance segnate dal gelo c’è una bella differenza. Riuscì a resistere due giorni, poi lasciò la bici a casa e fu costretto a prendere l’auto. “Quanto mi fa rosicare lasciare la bici a casa!”, lo diceva ogni volta che con l’auto attraversava la città per andare a lavoro. Le strade di fine novembre iniziavano a colorarsi di Natale, con luminarie un po’ messe a caso ma che riscaldavano almeno lo sguardo. Roma gli mancava molto, soprattutto in questo periodo che corre verso le feste natalizie, ma per fortuna il weekend che lo avrebbe riportato a casa era vicino.
Quella settimana se ne andò al cinema, a rivedere vecchie pellicole restaurate, e a vedere le partite di coppa al Vintage, un’enoteca elegante e ben fornita, a pochi metri da casa sua. Il lavoro procedeva, con i suoi ritmi stressanti ma mai oltre la soglia dell’irrazionale, concedendogli anche ritagli di tempo per poter coltivare amicizie e lunghe passeggiate a piedi, non potendo salire in sella. Il venerdì sera, verso le sei del pomeriggio, finalmente ritornò a Roma. Il solito passaggio a casa dei suoi, l’affetto caldo degli abbracci erano la migliore cura per le sue debolezze. Dopo un paio di ore se ne andò a casa sua. Lungo la strada il pensiero ritornò a quella cena materana, alle parole dell’addio, agli occhi lucidi di Veronica. Non era fatto per digerire ogni cosa con il cinismo di chi sa masticare anche i sentimenti più duri, la sua vita era fatta di cuciture e pochi strappi.
La sera incontrò i suoi amici, quelli di sempre, in un locale a Monti. C’era un concerto, come al solito, ottimo se sei stanco e non hai molta voglia di parlare di te. Presero del vino e si misero comodi sulle poltrone di velluto, la cantante intonava vecchi successi blues e proponeva canzoni inedite appena scritte. Suonava l’ukulele, con quella voce prendeva per mano tutti e li conduceva in spazi inediti e cieli mai visti prima. Bella come il sole del mediterraneo, con occhi pieni e labbra vive. Lui non smise un attimo di incrociare il suo sguardo, inseguendo ogni nota ed ogni suo movimento. “E’ bellissima”, disse alla sua amica Giovanna, versandole del vino ma senza nemmeno guardare il bicchiere. A fine concerto Tarsia, questo il nome d’arte della cantante, si andò a sedere un paio di tavoli più in là con il resto della band. Non sapeva che fare, non sapeva che dire. Come da copione, non era in grado di sciogliere la sua timidezza e attaccare bottone. Così, come da copione, fu proprio Giovanna a chiamarla, con la scusa di un selfie.
“Complimenti, Tarsia! Sei davvero brava…”
“Grazie, però chiamami Tatiana”
“Piacere, Giovanna. C’è questo mio amico che vuole conoscerti” “Ehm…si…piacere…complimenti davvero”, disse lui balbettando.
“Grazie! Beviamo qualcosa insieme?”
“Si…certo… cosa prendi?”
“Va bene del vino, fa bene alla mia voce”, disse sorridendo.
Restarono a parlare a lungo, del nuovo singolo di Tarsia, “Bolle di sapone”, e della sua origine lucana. La timidezza era andata via, e non solo grazie al vino. Tatiana era di una bellezza lampante ma accogliente, che non imbarazzava lo sguardo ma lo seduceva con gentilezza e raffinata eleganza. Lei andò via, lui la aggiunse sui socialnetwork e si lasciarono con la promessa di rivedersi, magari proprio in Basilicata.
Tornado a casa, gli venne in mente quel breve monologo del film “Io e Annie” di Woody Allen: Dopo di che si fece molto tardi, dovevamo scappare tutti e due. Ma era stato grandioso rivedere Annie, no? Mi resi conto che donna fantastica era e di quanto fosse divertente solo conoscerla. E io pensai a… quella vecchia barzelletta, sapete… Quella dove uno va dallo psichiatra e dice: “Dottore mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina”, e il dottore gli dice: “perché non lo interna?”, e quello risponde: “e poi a me le uova chi me le fa?”. Be’, credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, ehm… e pazzi. E assurdi, e… Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova.
Come preso da una strana ed inedita passione, il giorno dopo postò su Facebook il video di quella scena del film, accompagnato da un testo di Pavese che più di altri raccontava l’emozione di quell’incontro: La vidi che mi guardava, con quegli occhi un poco obliqui, occhi fermi, trasparenti, grandi dentro. Io non lo seppi allora, non lo sapevo l’indomani, ma ero già cosa sua. A fine giornata, quando ormai era già rientrato a Potenza, andò a rivedere quel post: molti like, alcune reactions, qualche commento, ma nessuna traccia di Tatiana. Sapeva già che sarebbe andata così, ma in cuor suo un po’ ci sperava. Gli restava addosso il ricordo di una bella serata ed il piacere di aver conosciuto una giovane artista brava come non se ne vedevano da tempo. Forse un giorno si sarebbero rincontrati, magari nel jazz club di Potenza, o in qualche altra sera romana.
Al ritorno aveva un solo grande bisogno: riprendere la bicicletta e tornare a sentire il piacere della fatica.