“In Basilicata dopo il 1980 sono stati investiti dallo Stato oltre 3500 milioni, di cui 3000 per la ricostruzione e infrastrutture e circa 500, dei quali recuperati 100 per iniziativa della Commissione Scalfaro, per il finanziamento delle aziende industriali anche danneggiate”.
Lo dice Pietro Simonetti (Centro studi e ricerche economico-sociali) per il quale “l’attuale occupazione nelle aree terremotate lucane è di 1.700 lavoratori diretti e circa 1000 indiretti contro una previsione di 6000, indiretti compresi, di posti di lavoro finanziati con contributi pari al 120% delle spese ipotizzate. Delle 107 aziende finanziate ne rimangono una cinquantina”.
“Ricordiamo che alcune aziende, tra quelle fallite o che non hanno mai aperto (circa 30) sono state riassegnate oppure occupate abusivamente o fittate dai curatori fallimentari, con scarse attività produttive o occupazionali in atto.
Nel 2017 in Basilicata ci sono circa 100 capannoni, o strutture similari, di cui una ventina finanziati da Legge 219/81 ed i restanti con le leggi 488/92 e 64/74,non utilizzate preda dei ladri di rame e di impiantistica.
Scorrendo l’elenco delle aziende emergono situazioni di spreco e di scarsissimo utilizzo. Sono i casi – aggiunge Simonetti – della ex Abl di Balvano, 17.000 mq, ora 0 dipendenti, oppure della ex Ets di Tito, che occupava 250 lavoratori, ora qualche decina, oppure la Sinoro mai entrata in produzione con tre fallimenti dietro le spalle, quattro cambi di ragione sociale due condanne per truffa e bancarotta.
Molte aziende sono da anni in gestione fallimentare o sono state svuotate degli impianti che sono tornati alle aziende produttrici in Italia o vendute all’estero: Standartela, Ets, Etm, Abl. Gli impianti Parmalat sono ora utilizzati in Veneto dalla Vincenzi dopo la chiusura dello stabilimento di Atella e la successiva truffa di reindustrializzazione che ha determinato la disoccupazione di 120 lavoratori.
Si tratta di un enorme patrimonio di immobili e infrastrutture di un valore stimabile di almeno 200 milioni.
Anche la riassegnazione di suoli e strutture è fallita assieme ai bandi di reindustrializzazione. L’ultima legge approvata per il risanamento dei consorzi industriali è completamente disapplicata: nemmeno uno stabilimento è stato riutilizzato con le nuove norme mentre l’indebitamento dei consorzi viaggia attorno ai 100 milioni. L’Asi di Potenza è pronto per il terzo commissariamento in pochi anni
La valutazione sugli esiti delle politiche industriali del post-terremoto e del periodo successivo comporta – prosegue Simonetti – l’analisi di uno scenario che vede l’industria manifatturiera italiana, in particolare quella del Mezzogiorno, in una fase di ristrutturazione di processo e di prodotto anche in relazione all’iper ammortamento previsto dalle normative sull’industria 4.0. Attualmente la Basilicata ha il più alto tasso manifatturiero nel Mezzogiorno.
In questo scenario, si colloca il processo di ristrutturazione del settore automobilistico, dalla ideazione alla vendita. In Italia circa 1.400.000 persone lavorano nel comparto automobilistico e una parte degli occupati in questo segmento, componentistica compresa, sono allocati in Basilicata e Campania. La ristrutturazione del sito di Melfi ha prevalentemente sostenuto l’aumento del Pil lucano negli ultimi due anni, con un calo negli ultimi mesi. Alcune delle aziende finanziate con i fondi del post terremoto, come la Ferrero, la Barilla e altre mantengono posizioni di rilievo nelle attività manifatturiere lucane.
La proposta di riutilizzo dei capannoni del dopo sisma e del successivo trentennio, rimane di assoluta attualità anche in relazione alle ristrutturazione degli apparati produttivi e del rientro di talune produzioni dall’estero.
Occorre elaborare un progetto che ridia senso alla programmazione industriale ma soprattutto ridefinisca il ruolo dei consorzi industriali con un solo Ente guidato da persone competenti di livello internazionale con adeguate strumentazioni e politiche cattura degli investimenti anche esteri.
La foto di copertina è di Basilicata24