Dopo il caos scoppiato sulle tariffe gonfiate della TaR in alcuni Comuni, il Ministero dell’Economia e delle Finanza ha previsto che i contribuenti che hanno pagato più del dovuto saranno rimborsati, precisando che entro breve arriverà un chiarimento sulle modalità di corretta applicazione.
In un comunicato, il presidente regionale dell’Adoc di Basilicata, Nino D’Andrea, chiarisce la situazione e come richiedere il rimborso, in base a quanto finora si conosce. L’articolo è in continuo aggiornamento, in base a quanto verrà definito dal Mef e da come risponderanno i Comuni.
Cos’è la TaRi e come si è generato l’errore
La Tariffa Rifiuti è stata introdotta con la legge di bilancio 2014 e applicata a partire dal 1° gennaio 2015. È disciplinata da una legge nazionale e da regolamenti comunali, diversi caso per caso, che stabiliscono le aliquote.
La Tari si compone di due voci:
- la «quota fissa», che viene collegata alla dimensione dell’immobile. La tariffa della Tari viene così moltiplicata per i metri quadrati dell’immobile. In questo calcolo finiscono anche le pertinenze coperte come garage, soffitte, cantine, box, ecc…;
- la «quota variabile», che dipende invece dal numero delle persone che abitano nell’immobile. Questa quota deve essere calcolata una sola volta, sulla base di quanti sono gli occupanti dell’immobile in sé considerato, comprese quindi le pertinenze (DPR n. 158/99).
Dunque, se un immobile ha pertinenze, la quota variabile va applicata una sola volta perché le persone che vivono nell’appartamento e utilizzano la pertinenza sono sempre le stesse.
Il caos di questi giorni è scoppiato in quanto un numero imprecisato di Comuni ha posto in essere un’illegittima moltiplicazione degli importi della Tari, applicando la suddetta quota variabile dell’imposta tante volte per quante sono le pertinenze dell’immobile. Con la conseguenza che gli importi da pagare sono, di fatto, incrementati fino ad essere raddoppiati.
I Comuni, nel fissare la tariffa, hanno avuto la flessibilità di individuare o meno il parametro ‘inquilini’ e le grandi città, in maggioranza, lo hanno inserito. Le pertinenze tassate dalla Tari sono 13,4 mln anche se non tutte sono soggette al sovra costo. Un sovracosto che, dove applicato, è mediamente del 5 per cento in più, circa 16 euro.
La soluzione potrebbe essere che i Comuni che abbiano applicato indebitamente il sovracosto lo detraggano dalla prossima bolletta. Una soluzione che, come Adoc, condividiamo, anche perché avverrebbe in modo automatico, senza caricare ulteriormente i contribuenti di nuovi oneri.
Chi ha diritto al rimborso e come richiederlo
Per capire se si ha diritto al rimborso occorre anzitutto verificare l’annualità per cui si è pagata la tassa, in modo da appurare se il tributo è stato suddiviso in quota fissa e quota variabile. Se infatti è stata applicata la vecchia Tarsu, che aveva una struttura unitaria non è possibile alcun rimborso.
Per verificare se si ha diritto al rimborso di quanto dovuto in più occorre analizzare gli avvisi di pagamento ricevuti. Se sull’avviso di pagamento la quota Tari è dettagliata anche nella componente variabile, va verificato se sono state addebitate quote anche per le pertinenze: se sono state conteggiate separatamente più volte, allora è possibile chiedere il rimborso. Se invece l’avviso di pagamento non contiene dettaglio, l’iter è molto più tortuoso e gravoso per il contribuente, in quanto occorre procurarsi copia del regolamento comunale sulla Tari e rifare i conti per verificare se si è pagato più del dovuto. Un aggravio improbo.
Per il rimborso occorre presentare apposita istanza entro 5 anni (che è il tempo di prescrizione della Tari) dal pagamento della Tari.
La domanda va presentata all’attuale gestore della Tari e al Comune competente per la Tari in questione. Va inviata quindi una istanza di ricalcolo e rimborso, con raccomandata A/R, chiedendo il ricalcolo di quanto dovuto, lo sgravio degli importi illegittimamente e il rimborso di quanto pagato in eccesso oltre spese e interessi.
La richiesta deve ottenere risposta da parte del Comune entro 90 giorni. Il Comune ha inoltre 180 giorni di tempo per la materiale restituzione delle somme.
Se il Comune e/o il gestore rigettano espressamente la domanda, si può proporre ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente, entro 60 giorni dalla notifica del rigetto.
Se invece il Comune non risponde entro 90 giorni – e non paga entro 180 giorni dalla presentazione dell’istanza – è possibile impugnarlo ricorrendo sempre alla Commissione tributaria provinciale.
TaRi, la possibile beffa per tutti i contribuenti
Il rimborso, come previsto dal Mef, dovrebbe arrivare per tutti i contribuenti che hanno pagato più del dovuto. Ma la beffa, per tutti i contribuenti che hanno pagato correttamente, è dietro l’angolo. Difatti, in base al Decreto Ronchi (D. Lgs 22/97), ogni anno il Comune determina un piano di costo per lo smaltimento dei rifiuti, modulando la tassa tra i suoi contribuenti in modo da coprire quel costo.
Avendo ora scoperto che alcuni in passato hanno pagato più del dovuto e avranno diritto a un rimborso, il Comune avrà sempre 100 alla voce del costo del servizio, ma qualcosa di meno di incassi relativi. Pertanto, dovendo rientrare nei costi, spalmerà su tutti i contribuenti il mancato incasso.