Jaguariúna è una città che si affaccia lungo le sponde del Rio Jaguari, affluente del Piracicaba. Piracicaba è anche il nome di una città, che prende chiaramente il nome dall’omonimo fiume, in cui è radicata la più importante comunità trentina dello Stato di San Paolo, chiamata Colonia Tirolesa, e dove il dialèttirolés è ancora praticato e difeso. Piracicaba è anche, per molti soprattutto, la città che ha dato i natali a José Altafini, Andrè Cruz e Gabriel Silva.
Già, il calcio, una presenza costante in ogni storia verdeoro.
Così come è storia consolidata il fatto che per molti calciatori dell’unico paese sudamericano di lingua non spagnola, l’unico modo per consacrare il proprio talento sia andare a giocare oltre i confini del paese scoperto dall’italiano Amerigo Vespucci, nel 1499. Lo è stato per O Fenômeno Ronaldo, così come per Neymar da Silva Santos Júnior, meglio noto come Neymar. Lo è per il talento paulista di Jaguariúna, Carlos Clay França, che domenica 24 settembre ha festeggiato il suo gol numero 200, sotto la curva ovest dello stadio Alfredo Viviani di Potenza.
Ottavo minuto di gioco: Guaita, argentino di La Plata, entra in area con una percussione solitaria, il difensore lo butta giù, calcio di rigore. França prende il pallone, lo posiziona sul dischetto, prende la ricorsa e fa quello che bisogna fare in questi casi. Preciso, chirurgico, senza fronzoli. Gol sotto la curva dei tifosi del Potenza, impazziti di gioia per il primo pallone nella rete del Viviani del numero nove. Si alza la maglietta e ringrazia Dio per questo gol numero 200: il suo è un rapporto intimo e speciale con il Signore, che si è saldato dopo gli anni del dolore che Carlos ha dovuto attraversare per colpa di un male che fa tremare i polsi al solo pensiero. Eppure lui ce l’ha fatta, e oggi è ancora sul rettangolo verde a festeggiare la vita e la sua bellezza. E’ esempio di forza tranquilla, rassicurante, presente quando serve.
França ha padronanza del suo fisico imponente e conosce bene ogni centimetro del prato verde dove balla la sua capoeira. Dialoga con il 32 argentino come una fisarmonica e un berimbau, suonando un’armonia deliziosa e perfetta. Una “tangoeira” ubriacante che non lascia spazio agli indecisi. Corre, difende la palla, sente la garra. Se sbaglia un passaggio, cosa rara, rifà sua la palla con determinazione; se a sbagliare il passaggio è qualche suo compagno, non si lamenta ma lo incoraggia a fare meglio. Nel secondo tempo troverà modo anche per mettere a segno il primo gol dopo i 200, con una girata da attaccante di razza. Rapace nell’esecuzione, umano nei sorrisi e negli abbracci che non risparmia a nessuno. Quando arriva il cambio è standing ovation, con lo stadio incendiato dalle gesta del trentasettennepaulista, cittadino italiano da più di dieci anni.
Ha detto di sé in un’intervista: “Sono mancino di piede e per questo nelle varie rappresentative giovanili gli allenatori del Santos mi hanno sempre fatto giocare esterno sinistro o fantasista. Quando però mi sono affacciato in prima squadra mi hanno riciclato terzino di fascia. A me quel ruolo non dispiaceva affatto perché avevo tutto il campo da poter aggredire e la possibilità di portare il pallone in avanti. L’intuizione di farmi giocare punta è di Costanzo Celestini, ex compagno di squadra di Maradona nel Napoli del primo scudetto, che dal primo istante in cui sono arrivato alla Caperanese mi ha detto che avrei fatto il centravanti e soprattutto avrei fatto tanti gol. Non si sbagliava perché quell’anno feci 28 gol in 28 presenze, andai in gol per 15 partite consecutive e aiutai la squadra a vincere i playoff di Eccellenza. Da quel momento, se escludiamo la parentesi a Chicago nel 2009, in Italia ho sempre agito da prima o seconda punta trovando, grazie a Dio, il gol con una certa continuità”.
Dirà poi, ai microfoni dei cronisti locali, che da quando è arrivato in Italia la sua vita si è rivelata una grande sorpresa, e ha ragione. Con gli occhi puliti e pieni di stupore, ringrazierà anche Potenza ed i tifosi che lo hanno accolto con un calore immenso, facendolo sentire subito a casa.
Prima di andare via si concede ancora alla stampa e ai piccoli tifosi, per una foto, un selfie e qualche battuta. Il bomber venuto da lontano è un balsamo gentile per chiunque ha la possibilità di stargli accanto. Il calcio moderno, fatto di tecnologia e diritti televisivi, ha trovato in lui il suo volto più umano e più vero. L’ultima immagine che ci lascia di questa domenica di calcio è la sua passeggiata, fuori dallo stadio, con la famiglia tenuta stretta per mano. Una normalità spiazzante, a cui non siamo più abituati.
La sua è una storia di tenacia, resilienza, riscatto, un esempio per tutti noi, un invito a non mollare e a crederci sempre. Diceva il poeta di Rio de Janeiro, Vinícius de Moraes, che la vita è l’arte dell’incontro. A Potenza è capitata la fortuna di incrociare lungo il suo cammino, la forza gentile di Carlos Clay França, l’allegria del popolo che ci renderà più umani, più veri.