Chi mai avrebbe immaginato che il rock, e più in generale la musica, sarebbero stati strumenti utili per meglio entrare in sintonia con gli adolescenti, per conoscerne le problematiche, le esigenze e soprattutto per aiutarli a vivere meglio questo difficile e complicato periodo della propria vita.
Ce lo spiega un giovane chitarrista-psicologo di Potenza, Andrea Montesano nel suo libro “La psicologia del rock. Crescere con la musica in adolescenza” che l’autore presenterà questo pomeriggio, alle 18,00, a Potenza, nella biblioteca Mondadori Bookstore, in via Pretoria 212.
Abbiamo incontrato l’autore. Abbiamo parlato del suo libro, della sua passione per la musica, per la psicologia. Del suo approccio alle problematiche adolescenziali.
Ecco l’intervista.
Andrea, quando ti sei convinto che con la musica si può meglio dialogare con i ragazzi e soprattutto ad aiutarli a superare le difficoltà proprie dell’età adolescenziale?
“L’ho capito quando mi sono accorto che la musica, il rock, parla di temi tipici dell’adolescenza. La musica rock parla di trasgressioni, amicizia, amore, che sono proprio quei temi che sono importanti per i ragazzi. Sono quelle aree nelle quali si definiscono”.
Ritieni, dunque, che attraverso la musica, il rock, i giovani possano entrare meglio in sintonia con noi adulti.
“Si, entrano più in sintonia perchè gli adulti vivono la musica rock come una musica che li ha colpiti durante l’adolescenza e quindi i ragazzi in questa musica ascoltata anche dagli adulti vedono un ponte, un legame“.
Hai vissuto un’esperienza particolare che ha confermato questo? Che attraverso la musica si è riusciti ad aiutare i giovani a vivere meglio la propria adolescenza?
“Si. Ho condotto un laboratorio di quasi due anni. Un laboratorio piuttosto sperimentale, che ha preso forma in maniera più concreta all’interno del libro, durante il quale ho lavorato con i ragazzi e durante l’anno, analizzando tematiche che venivano fuori da alcune canzoni, mi sono reso conto che i ragazzi alla fine di questo percorso si ponevano domande importanti. Era la conferma che in loro si era mosso qualcosa“.
Bisogna comunque dare continuità a questa esperienza. Purtroppo spesso accade che i ragazzi vengano lasciati soli… Per evitare questo errore, cosa dobbiamo fare?
“Questo errore è molto comune. ll punto è cercare di capire quanto le figure educative di riferimento possano essere importanti. Un laboratorio del genere può essere seguito da uno specialista, ma se il genitore di turno, l’educatore di turno capisce il valore della musica può essere una figura di riferimento nel continuare il percorso già iniziato. Può essere una persona di riferimento che non alza il muro, come dicono i Pink Floyd, ma crea un legame. Quindi, rendendosi conto dell’importanza della musica, riesce a costruire la relazione che è alla base dello scambio educativo”.
Non so qual’è la tua esperienza, ma spesso sono proprio le figure di riferimento che vengono meno…
“Si assolutamente. Il punto è far capire quanto sono importanti. La musica non è qualcosa di estraneo ai ragazzi. Attraverso la musica si può migliorare la relazione. Nel libro descrivo come non è necessario capire per forza un certo tipo di musica. L’importante è che l’adulto non si rapporti all’adolescente con pregiudizi. Dirgli “io non conosco questa musica, me la fai ascoltare?” è un messaggio importante. Faccio, a livello verbale e non, già un passo nei confronti del ragazzo. Significa che non sono lì a giudicarlo. E il ragazzo si apre, lo capisce“.
Per concludere con un’immagine: un papà, una mamma in discoteca con il proprio figlio per condividere un’esperienza…
“Si, questa sarebbe una bella immagine perchè vorrebbe dire che il genitore ha capito che quello spazio potrebbe essere educativo se nel percorso del ragazzo, lui è riuscito di far comprendere loro che quella musica, quello spazio potrebbe essere un momento di evasione, di spensieratezza”.
Sperando che quando si rientra a casa non cali il silenzo.
“Speriamo di no“.