Non c’è pace per ENI? No, non c’è pace per la Basilicata. L’ormai precario rapporto tra la multinazionale del cane a sei zampe e la Basilicata, incrinatosi in seguito allo scandalo emerso dalla dispersione di greggio nel sottosuolo da una delle vasche del Centro Olio di Viggiano, si tinge di un ulteriore giallo. E’ infatti notizia degli scorsi giorni che l’Eni non abbia reso noti alcuni studi fatti svolgere, in qualità di azienda committente, dall’ Istituto Nazionale di Geofisca e Vulcanologia, relativi alla sismicità ed all’inquinamento del sottosuolo in Val d’Agri.
Sul punto, onde incorrere in facile demagogismo e populismo, bisogna essere molto attenti e precisi nella descrizione dei fatti, per cercare di rendere la questione più lineare possibile, in modo tale che sia il cittadino a fondare il proprio libero convincimento sulla questione.
Partendo con ordine ci chiediamo come mai Eni abbia commissionato questi studi? La risposta è presto data poiché, è obbligo per la multinazionale, monitorare da un punto di vista geologico, geofisico e sismologico quella che è l’impatto che le estrazioni hanno sul territorio, soprattutto con riferimento al fenomeno della reiniezione. Premettiamo che questa tecnica, applicata da sempre nell’industria petrolifera internazionale, costituisce il metodo più sicuro e a minore impatto sull’ambiente per reimmettere le acque di strato nelle stesse formazioni geologiche dalle quali provengono.
E’ però altrettanto vero che reiniettare del fluido ad una certa profondità nel sottosuolo può comportare una alterazione dello stato della delle falde potendo, potenzialmente, provocare dei fenomeni sismici. Da ciò deriva la necessità di monitorare costantemente la situazione.
Nulla di strano emerge pertanto da questa attività. Il caso sorge però quando l’associazione Mediterraneo No Triv chiedeva la produzione dei risultati delle analisi compiute all’ente preposto ai rilevamenti (INGV) e tale accesso agli atti veniva negato.
Da quel momento in poi, come nelle migliori occasioni, prendeva il via una attività legale che molto probabilmente vedrà il suo naturale epilogo nell’instaurazione di un giudizio amministrativo dinanzi al TAR. Infatti l’associazione Mediterraneo no Triv, nel settembre del 2016, anziché incardinare sin da subito un giudizio amministrativo, optava per presentare formale ricorso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nello specifico alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, onde richiedere formalmente che fosse la commissione stessa ad ordinare all’INGV di produrre la documentazione richiesta.
A fondamento della richiesta d’accesso agli atti si affermava che fosse prevalente l’interesse della collettività alla salute pubblica e che pertanto l’Eni e l’INGV stessero commettendo una violazione del diritto dei cittadini alla piena informazione in materia ambientale.
La questione, dopo diversi mesi di attesa e diversi esoneri di responsabilità reciproci, culminava con un rigetto dell’istanza di Mediterranea No Triv, da parte della commissione, adducendo che le motivazioni di ENI, secondo cui i dati non potevano essere resi pubblici in quanto sottoposti a segreto industriale, fossero corrette.
In seguito l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, con nota del 28 aprile 2017, affermava che “al fine di evitare ulteriori situazioni in cui l’INGV potrebbe apparire non come istituzione terza, l’ente ha deciso tramite delibera del CdA che i monitoraggi futuri in Basilicata verranno siglati con enti pubblici e che i dati relativi saranno a disposizione dei cittadini”.
Quello che però lascia perplessi, e da qui la seconda domanda che ci poniamo, è: ma la normativa sul segreto industriale può interessare anche dei rilevamenti in campo geofisico sismologico e geochimico?
La normativa nazionale dettata dal d.lgs n.30 del 2005, nello stabilire qual è l’oggetto della tutela riservata al segreto industriale dispone che “Costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, soggette al legittimo controllo del detentore”.
Ma quando queste informazioni non riguardano metodologie estrattive o tecnologie utilizzate dalla multinazionale, ma concernono lo stato della nostra terra e gli eventuali rischi (siano essi simici o ambientale) connessi all’attività svolta, possono restare di dominio esclusivo di chi le commissiona?
Non compete a noi entrare nel merito di questioni giuridiche. Ci spetta però, in qualità di addetti all’informazione, di cittadini lucani, fare attenzione a quanto succede nella nostra terra fin troppo bistrattata che, oggi più che mai, reclamante tutela. Ciò che ci lascia basiti è tentare di capire come mai dopo quanto accaduto continua ad aleggiare questo velo di mistero sulle attività che si verificano in Val d’Agri. Certamente, ci auguriamo, in questo caso Eni sta agendo nel massimo rispetto della legge. Ma allora, anche per dimostrare ai lucani ormai disillusi e spaventati che non ci sono pericoli, perché non fare un passo in più verso la trasparenza dell’operato svolto? Questo tendere una mano renderebbe la multinazionale del cane a sei zampe più umana, più tangibile e più rispettosa della regione che la ospita.