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CronacaIN EVIDENZA

Che questa morte non sia inutile

USB - Ufficio Stampa Basilicata 25 Maggio 2017
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L’editoriale di Nino Cutro

Una giovane vita spezzata. Un’altra segnata per sempre per quella mano che ha mortalmente colpito un suo probabile amico.
E’ la storia, tragica, di due minorenni protagonisti di un grave fatto di cronaca verificatosi nei giorni scorsi a Marconia di Pisticci: Matteo Barbarinardo, 17 anni appena, ucciso con alcune coltellate. Il suo corpo trovato sotto un telo in un fabbricato in costruzione nel centro abitato. Il responsabile della morte, anch’egli giovanissimo, reo confesso, sta meditando sul suo insano gesto nel carcere minorile di Potenza.
Fin qui la cronaca che sconvolge non solo Marconia. Sconvolge le coscienze di quanti ora si chiedono perché accadono simili episodi.
Sconvolge soprattutto la mamma di Matteo che ad un collega della Tgr Basilicata con una freddezza che nasconde appena il suo dramma denuncia: ”Mio figlio è stato lasciato solo”. Lo dice con la rabbia di chi non accetta di aver perso un figlio appena diciassettenne in questo modo.
E sorgono le domande: lasciato solo da chi? Perché? Poteva essere evitata questa tragedia? Matteo sarebbe ancora vivo se…
Proviamo a dare qualche risposta con il massimo rispetto di chi questo dramma sta vivendo e soprattutto con la consapevolezza di non essere depositari della verità e ancor più di soluzioni taumaturgiche.
La storia di Matteo è la storia di tanti giovani che, nel periodo più difficile della propria vita, s’incamminano lungo una strada che noi adulti, genitori, insegnanti, vorremmo che mai percorressero. Lo fanno perché quando si trovano al bivio, tra il sentiero in salita, tortuoso e più faticoso, e la strada apparentemente meno difficoltosa, scelgono la seconda, sebbene irta d’incognite. La scelgono perché il sentiero è più impegnativo. C’è bisogno di gambe robuste; di avere fiato per salire anche se, quando sarai su in cima, la soddisfazione di essere riusciti ti ripaga della fatica. C’è bisogno di essere allenato. Ecco: i giovani spesso a questo non solo allenati. Perché? Perché non hanno un “coach” che li segue? E chi dovrebbe essere? Ma soprattutto come dovrebbe essere questo coach?
Ci rendiamo conto d’introdurre un tema difficile perché mette in discussione il nostro essere padri, madri, insegnanti, educatori. Mette in discussione il ruolo delle istituzioni. Sarebbe facile rivolgere il dito contro qualcuno. E non vogliamo farlo.
Il sindaco di Pisticci ha dichiarato che “i servizi sociali hanno fatto tutto per aiutare Matteo”. Ne prendiamo atto, anche se siamo fermamente convinti che quando si parla di servizi sociali vuol dire che siamo al capolinea. Vuol dire chi siamo già in ritardo. Vuol dire che non tutto è stato fatto prima, e non certo per mancanza di volontà, per evitare che si arrivi al punto nel quale è giunto Matteo e tanti altri che, come lui, si trovano o rischiano di trovarsi nelle stesse condizioni.
Gli esperti ci dicono che dobbiamo saper leggere i primi segnali del disagio dei giovani. Di capire cosa ti chiedono, non con le parole, ma con i gesti, gli sguardi. Dobbiamo saper ascoltare i giovani anche se non parlano. Spesso questo non accade perché il timore di essere incapaci di affrontare un problema ci porta a “normalizzare” tutto e, come tanti struzzi, a mettere la testa sotto la sabbia.
Ci perdoni Matteo.

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