Sono passati 36 anni da uno dei più terribili terremoti della storia d’Italia, tra i più gravi degli ultimi 50 anni. La sera del 23 novembre 1980 l’Irpinia e la Basilicata furono colpiti dal sisma di magnitudo 6.8 all’epicentro (nono-decimo grado della scala Mercalli).
Il bilancio fu di oltre 2500 morti, 8 mila feriti e circa 300mila senzatetto. Alcuni Comuni vicini all’epicentro – tra i quali Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Conza della Campania, Laviamo, Muro Lucano; Balvano, Muro Lucano in Basilicata furono quasi rasi al suolo, altri gravemente danneggiati.
Balvano fu il centro che ebbe più vittime per il crollo della chiesa che a quell’ora era affollata per la celebrazione della messa (nella foto di copertina). Molti i bambini tra le vittime.
Stamane, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Basilicata, si parlerà di ricerca nella mitigazione dei rischi naturali (lo farà Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza delle Università Italiane), di prevenzione, argomento che sarà il tema della prolusione di Angelo Masi, della Scuola d’Ingegneria dell’ateneo lucano.
Interverrà Fabrizio Curcio, capo Dipartimento della Protezione Civile.
Terrà il discorso inaugurale la rettrice, Aurelia Sole.
Intanto, a distanza di 36 anni dal sisma, è possibile fare un bilancio in termini economici e occupazionali e soprattutto riutilizzare le risorse umane e materiali presenti nelle aree terremotate?
A questa domanda risponde Pietro Simonetti, del Centro studi e ricerche economico-sociali.
“Con la legge 219 del 1981,e successive medicazioni,lo Stato ha allocato in Basilicata oltre settemila miliardi di vecchie lire, 6000 per la ricostruzione,infrastrutture stradali e industriali e circa 1000 per il finanziamento delle aziende industriali.
Il dato relativo al livello occupazionale attuale nelle aree terremotate lucane è di 1.600 lavoratori diretti contro una previsione di 6062 ,indiretti compresi, di posti di lavoro finanziati .Delle 107 aziende finanziate ne rimangono oltre 50. Occorre dire – prosegue Simonetti – che alcune aziende, tra quelle fallite o che non hanno mai aperto (circa 30) sono state riassegnate ,occupate abusivamente o fittate dai curatori fallimentari,con scarse attivita’ produttive o occupazionali.
Nel 2016 in Basilicata ci sono circa 100 capannoni, o strutture similari, di cui una ventina finanziati da Legge.219/81 ed i restanti con 488/92 e la 64/74,non utilizzate o solo parzialmente . Scorrendo l’elenco delle aziende emergono situazioni di spreco e di scarsissimo utilizzo.Sono i casi della ex Abl di Balvano, 17.000 mq, ora 0 dipendenti,oppure della ex Ets di tito ,che occupava 250 lavoratori, ora solo 22 oppure la Sinoro mai entrata in produzione .Molte aziende sono da anni in gestione fallimentare o sono state svuotate degli impianti che sono tornati alle aziende produttrici in italia o vendute all’estero o spogliati di tutto: Standartella , Ets Etm, Abl, Parmalat, e tante altre.
Si tratta di un enorme patrimonio di immobili e infrastrutture di un valore stimabile almeno 200 milioni.
Anche la recente riassegnazione di suoli e strutture e’ fallita in uno con i bandi di reindustrializzazione. L’ultima legge approvata per il risanamento dei consorzi industriali e’ completamente non applicata :nemmeno uno stabilimento e stato riutilizzato o riassegnato con le nuove norme mentre l’indebitamento dei consorzi viaggia attorno ai 100 milioni.
La valutazione sugli esiti delle politiche industriali del post-terremoto e del periodo successivo comporta l’analisi di uno scenario che vede l’industria manifatturiera italiana, in particolare quella del Mezzogiorno, in una fase di difficoltà ma anche di forte ristrutturazione di processo e di prodotto.
I dati ultimi forniti da Bankitalia segnalano una leggera ripresa produttiva nelle aree della Toscana, dell’Emilia Romagna e della Lombardia. Anche nel territorio piemontese si registrano segnali positivi nel comparto manifatturiero e nei servizi, soprattutto di quelli immateriali.
L’export si rafforza mentre prosegue l’allocazione dell’ impiantistica italiana ,con una flessione della delocalizzazione nel settore tessile e dei prodotti a bassa innovazione e qualita’.Invece risulta forte l’esportazione delle macchine utensili e di processo con il rientro e il potenziamento di comparti prima allocati all’estero.
In questo scenario,si colloca il processo di ristrutturazione del settore automobilistico, dalla ideazione alla vendita. In Italia circa 1.400.000 persone lavorano nel comparto automobilistico e una parte degli occupati in questo segmento, componentistica compresa, sono allocati in Basilicata e Campania.La ristrutturazione del sito di Melfi ha prevalentemente sostenuto l’aumento del Pil lucano del 5%nel 2015.
La proposta di riutilizzo delle strutture del post-terremoto e del successivo trentennio, rimane di assoluta attualita’. Occorre elaborare un progetto che ridia senso alla programmazione industriale ma soprattutto ridefinisca il ruolo dei consorzi industriali con un solo Ente guidato da persone competenti di livello internazionale con adeguate politiche industriali e di gestione.
La situazione economica attuale determina, soprattutto nelle aree interne dell’arco appenninico, che corrispondono in parte alle aree terremotate, una gravissima crisi demografica che, se non affrontata, diventerà la causa prima dell’impossibilità di risolvere la questione del reddito, delle attività produttive e dell’istruzione”.