A seguito di indagini dirette dalla Procura della Repubblica di Potenza e condotte da personale della Polizia di Stato (Squadra Mobile), è stato arrestato, su disposizione dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Potenza, di Giuseppe Caggiano, 27 anni di Melfi, in relazione alla sua partecipazione all’omicidio di Giancarlo Tetta , assassinato il 2 aprile 2008 a Melfi, nell’ambito della sanguinosa faida che sin dagli anni 1990 ha caratterizzato la storia criminale del Vulture-Melfese e che ha visto numerose vittime cadere a seguito della contrapposizione dei due gruppi criminosi operanti in tale territorio, quello dei Cassotta e quello Delli Gatti-Petrilli (da qui la contestazione dell’aggravante del metodo mafioso).
Il cadavere di Giancarlo Tetta, cugino di primo grado di Rocco Delli Gatti, fu trovato la sera del 2 aprile 2008, alle ore 23.00 circa, dagli agenti del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Melfi in Traversa di via Mantova a Melfi, dove c’era stato poco prima un conflitto a fuoco tra bande rivali. Tetta era stato ucciso mentre stava entrando nella sua automobili.
Negli ultimi tempi la vittima si era interessata del mercato degli stupefacenti, che indagini successive (il riferimento è agli esiti del più recente procedimento “operazione “Oscar”) hanno dimostrato essere di particolare interesse per il clan Cassotta, con coinvolgimento diretto e ruolo rilevante proprio del Caggiano Giuseppe.
L’arresto è stato disposto sulla base dei riscontri acquisiti nell’ambito delle indagini della Squadra Mobile della Questura di Potenza, riscontri riferiti all’inserimento di Giuseppe Caggiano negli affari del Clan Cassotta – ivi compreso quelli aventi ad oggetto il perenne contrasto con gli esponenti del contrapposto clan mafioso Di Muro-Delli Gatti – ed in particolare alle dichiarazioni rese dal collaboratore Saverio Loconsolo, altro esecutore materiale dell’omicidio Tetta, e che in relazione ai medesimi fatti è stato già condannato con a seguito di rito abbreviato .
All’esordio della sua collaborazione cominciata nel luglio 2013, Loconsolo ha cercato di negare la propria responsabilità, ma successivamente lo stesso ha svelato ogni dettaglio, ammettendo quale era stato il suo compito. Quale esecutore materiale del delitto, Loconsolo è stato in grado di illustrare dettagli ed elementi sulla dinamica dell’azione omicidiaria consumata la sera del 2 aprile 2008. Oltre a confessare le sue responsabilità, ha fornito un’ampia ricostruzione dell’omicidio, chiamando in correità anche il Giuseppe Caggiano.
Anche altri protagonisti della faida, prima e dopo il “pentimento” del Loconsolo, avevano comunque intrapreso un rapporto di collaborazione con l’autorità giudiziaria, rilasciando dichiarazioni coerenti con quelle riferite dal Loconsolo. Il primo di essi era stato Alessandro D’Amato e, subito dopo la sua condanna definitiva anche il Cacalano Adriano. Anche i predetti collaboratori rilasciavano importanti dichiarazioni – sia pure a vario grado – sull’omicidio Tetta, precisando quale era stato – oltre che il loro ruolo – anche quello di Giuseppe Caggiano.
Gli elementi acquisiti nel corso dell’attività di indagine avviata nel 2013 hanno consentito di evidenziare poi come, nonostante la sua giovane età, Caggiano risultasse pienamente inserito nel clan “Cassotta”, anche per la detenzione di tutti i maggiorenti (Massimo Aldo Cassota, di cui è “figliastro”, Loconsolo), ed avesse svolto compiti di organizzazione e direzione (unitamente al cugino Antonio Cassotta, figlio del defunto Marco Ugo Cassotta) dell’attività dello spaccio di stupefacenti, utile a sostenere anche economicamente gli affiliati detenuti.
Nel valutare le esigenze cautelari, il Gip ha condiviso la ricostruzione compendiata nella richiesta di misura avanzata dalla Procura della Repubblica, sia sotto il profilo della peculiarità della storia criminale legata alla faida melfese (quindi il consolidarsi di associazioni mafiose a Melfi negli ultimi 20 anni, tra le quali il gruppo criminoso di riferimento del Caggiano Giuseppe), sia sotto il profilo della personalità del “giovane” Caggiano, che ha certamente manifestato la sua pronta disponibilità a consumare delitti gravissimi senza remora alcuna, come emerso dal contenuto di un’intercettazione ambientale captata dalla Squadra Mobile del capoluogo nel luglio 2013, in cui chiaramente esternava il suo rammarico – unitamente al cugino Antonio Cassotta – per non aver sfruttato l’occasione di uccidere un componente del clan rivale.
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