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Letto Genesi di una crisi. Dal giovedì nero del 1929 ai subprime del 2007.
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Attualità

Genesi di una crisi. Dal giovedì nero del 1929 ai subprime del 2007.

USB - Ufficio Stampa Basilicata 2 Maggio 2016
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C’è stato un periodo di enorme ricchezza e di grande crescita economica nella storia degli Stati Uniti d’America. Quel periodo, che va dal 1933 al 1938, è passato alla storia come il New Deal e ha avuto come suo mentore l’allora presidente degli USA Frank Delano Roosevelt.
Il paradosso è che questo periodo seguì la più grande crisi economica vissuta dal mondo moderno, la grande crisi del 1929. Ma come si giunse a quella crisi? Perché quel famoso giovedì nero mise in ginocchio la prima potenza economica mondiale?
Il crak del ‘29 fu costruito nel decennio precedente grazie alla politica economica imposta dai vari presidenti, i quali, sulla scia di un crescente sviluppo economico, optarono per un liberismo sfrenato obbligando lo Stato a ritirare progressivamente la sua sfera d’interferenza nell’economia.
Tassi d’interesse molto bassi, zero controlli sulle società finanziarie, spesa pubblica al minimo.
Questa paurosa assenza di stato e di regole gonfiò a dismisura il reale valore dell’economia americana, portandola al collasso.
Dopo poco più di mezzo secolo la storia si ripete coinvolgendo anche l’intera Europa.
A partire dagli anni Ottanta il copione è lo stesso. Un’ondata di governi liberisti. Credo cieco nel libero mercato. Assenza di regole (la famosa deregulation) e di controlli sui mercati borsistici. Tassi d’interesse bassi. Sempre meno spesa pubblica.
L’esito, drammatico, è il medesimo. La risposta purtroppo no.
All’indomani del grande crak, per ridare benessere alla sua nazione, Roosevelt, appena eletto, fece qualcosa di straordinario e di impensabile: riportò lo stato al centro del processo economico.
La ricetta, supportata dalle teorie keynesiane, prescriveva questi rimedi.
Spesa pubblica massiccia per creare infrastrutture e assorbire sacche di disoccupazione.
Una ragionata e costante svalutazione del dollaro per migliorare le esportazioni.
Un’attenta valutazione del sistema bancario e il suo assoggettamento al controllo dello stato.
Più diritti ai lavoratori istituendo il diritto di sciopero e della contrattazione collettiva ed infine il grande progetto del welfare state.
Cos’era? Il welfare state, oltre ad essere un’intuizione geniale, fu il primo episodio organico e ragionato di intervento dello stato nella protezione dei suoi cittadini. Il primo progetto realizzato per diminuire le disuguaglianze, ridistribuire la ricchezza tra la gente e garantire a tutti i servizi essenziali e un reddito di protezione in caso di perdita del posto di lavoro.
Gli effetti della politica di Roosevelt sono scritti nella storia. Nell’arco di un decennio gli Stati Uniti tornarono ad essere la prima potenza economica del mondo e poterono affrontare così la seconda guerra mondiale con gli esiti che tutti conosciamo.
La domanda, dunque, nasce spontanea. Perché oggi non si reagisce allo stesso modo? Perché non si replicano le buone pratiche insegnate dalla storia? Perché non si cerca di ripetere quella stagione e ridare stabilità, fiducia e benessere alle popolazioni umiliate da questa crisi?
Nessuno riesce a dare una risposta a questi interrogativi. O forse nessuno vuole.
E nessuno vuole perché la risposta, semplice e raggelante, è più drammatica della domanda.
A rispondere a questa crisi ci sono le stesse persone che l’hanno generata.
E purtroppo per noi non sono uomini politici.
Sono, invece, un ristretto gruppo di potentissimi lobbisti, finanzieri e burocrati senza nessuna investitura popolare. Tra loro i padroni del denaro mondiale, Ben Shalom Bernanke, presidente della FED, Jean Claude Trichet, presidente della BCE, Christine Lagarde, direttore del Fondo Monetario Internazionale,  Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale.
Tutti liberisti convinti e seguaci della dottrina monetarista di Milton Freedman.
Dalle labbra di questi signori pendono i destini nostri e dei governi europei, i quali, dopo aver ceduto la propria sovranità monetaria con il trattato di Maastricht e parte della sovranità politica con il trattato di Lisbona, non possono far altro che applicare la ricetta che, i signori sopracitati, hanno previsto.
Ed è una ricetta che, oltre a far rivoltare nella tomba il Presidente Roosevelt, prevede una medicina molto amara.
Tagli alla spesa pubblica, tagli a salari e stipendi, flessibilità e zero regole nel mercato del lavoro, tagli allo stato sociale, privatizzazione del patrimonio pubblico, tasse sui redditi e sul lavoro (mai e poi mai sul capitale).
Incassati i grandi profitti dalle speculazioni finanziarie, generatrici dello sfascio economico di questi anni, questo manipolo di potenti lobbisti sta mettendo in piedi il più grande progetto di socializzazione delle perdite. E a pagare le loro scommesse saremo noi.
La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed indipendenza.
La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature.
Franklin Delano Roosevelt

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