“In seguito all’ultima dichiarazione ufficializzata dalla Provincia di Potenza sul sito della Regione Basilicata si è resa necessaria una mia formale replica finalizzata a fare definitivamente chiarezza sulle dinamiche che hanno contraddistinto le azioni e i provvedimenti adottati dalla Provincia di Potenza nei miei confronti”.
E’ quanto ha dichiarato il tenente Giuseppe Di Bello dopo la nota, a firma del direttore generale della Provincia di Potenza, del 19 aprile scorso (leggi).
Continua Di Bello: “Nella fattispecie, nonostante le miei cicliche e reiterate richieste volte ad ottenere la legittima riammissione nei ruoli, nei compiti e nelle funzioni di mia stretta competenza sospesi a causa degli ingiusti procedimenti giudiziari avanzati nei miei confronti e rispetto ai quali, come è ormai noto a tutti e anche alla luce delle ultime e preoccupanti vicende giudiziarie che hanno coinvolto amministratori, imprenditori e funzionari pubblici e privati nella nostra regione, e pur essendo stato di fatto scagionato avvalorando sostanzialmente le tesi che avevo da sempre sostenuto, nessun provvedimento di reintegrazione mi è stato riconosciuto e tantomeno attivato e dunque tali istanze sono state, ad oggi, sistematicamente ed inspiegabilmente rigettate”.
“Mi preme in tal senso sottolineare che quanto dichiarato dall’ente in merito all’azione disciplinare disposta nei miei confronti e attualmente sospesa – aggiunge il tenente – risulti in verità che già in sede di sentenza di primo grado (conclusasi con una condanna di mesi due e giorni 20 di reclusione con beneficio di non menzione della pena e non luogo a procedere), l’Amministrazione provinciale rinnovava arbitrariamente l’azione disciplinare nei miei confronti emettendo uno specifico provvedimento (documento del 21 novembre 2012 – protocollo 44048 del 21 novembre 2012) che riportava testualmente il seguente contenuto : l’UPD ha valutato che i fatti sovra esposti nella richiamata sentenza (di primo grado) configurano e confermano l’ipotesi di violazione disciplinare prevista dall’art. 3 comma 6 lett d CCNL 11/4/2008 personale comparto Regione ed Enti Locali ovvero “… fatti dolosi o colposi che dimostrino grave incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio”. Attraverso l’applicazione del suddetto provvedimento mi veniva nuovamente e coattivamente rinnovata la Contestazione di addebito e veniva contestualmente richiesta al Prefetto di Potenza la revoca della qualifica di PS (Pubblica Sicurezza), soppressione che durò tuttavia pochi giorni per poi essere ritirata in attesa del giudizio definitivo”.
“Naturalmente – si legge nella nota – tutte le mie osservazioni sono state sostenute dall’azione dei miei legali e in particolare, sulla scorta degli atti giudiziari relativi al procedimento in oggetto, emessi a ridosso della mia condanna in primo grado, tanto la comunicazione al Prefetto quanto la richiesta ed il ritiro dell’arma e del tesserino, non mostravano alcuna attenzione e alcun rispetto del principio di presunzione di innocenza invocato e ottenuto invece in quei numerosi casi, se non in tutti, che hanno visto il coinvolgimento di politici, dirigenti e amministratori pubblici ai quali, in diverse circostanze, sono stati imputati reati decisamente più gravi del mio e, malgrado ciò, molti di essi sono stati regolarmente riconfermati nelle loro posizioni ricoprendo, tuttora, ruoli delicatissimi e, non di rado, sono stati addirittura promossi, evidenziando una palese e incomprensibile disparità di trattamento”.
“In effetti su questo specifico aspetto sento di poter legittimamente affermare, seppur in funzione di una mia personale percezione, di essere stato oggetto di una intenzionale persecuzione e di una precisa volontà nel volermi attribuire, contrariamente al diritto, una presunzione di colpevolezza fondata sull’incertezza delle informazioni e sull’ingannevole e artefatta esposizione degli eventi connessi alla mia vicenda – afferma Giuseppe Di Bello – In altre parole si è tentato di deteriorare la figura potenzialmente trasparente di un Tenente di Polizia che ha sempre onorato la propria divisa adempiendo al suo dovere nell’interesse collettivo, mediante una minuziosa e sottile manipolazione degli avvenimenti in grado di trasformare la presunzione di innocenza in presunzione di colpevolezza, presentandomi all’opinione pubblica come un colpevole passato in giudicato sin dal primo dei grado di giudizio, al fine di demolire e macchiare indelebilmente la mia immagine pubblica affinché venissero motivati una serie di provvedimenti e di azioni oggettivamente discutibili e decisamente non convenzionali, intrapresi arbitrariamente nei miei confronti. Non a caso la testata giornalistica on line “Basilicata24” fece partire una petizione contro il provvedimento emesso dal Prefetto il quale, successivamente, riferì di aver ricevuto formale comunicazione per l’adozione delle restrizioni direttamente dall’allora Comandante del Corpo, la stessa persona che oggi riveste il ruolo di dirigente nell’ufficio precedentemente diretto da Salvatore Lambiase (noto alle cronache per numerose vicende giudiziarie connesse principalmente ad attività illecite poste in essere nel comparto ambientale), ovvero l’Ufficio per la Compatibilità Ambientale del Dipartimento Ambiente della Regione Basilicata”.
“A sostegno delle considerazioni appena esposte è sufficiente scorrere i giornali dell’epoca per rilevare l’autenticità di tali affermazioni”, dichiara Di Bello che aggiunge: “Dubito infatti che si possano smentire alcune inconfutabili verità e, tra esse, la certezza che nell’ambito della stessa Provincia di Potenza continuino ad operare indisturbati, anche in ruoli particolarmente rilevanti, diversi Dirigenti e funzionari ufficialmente imputati a vario titolo in numerosi processi e in attesa di giudizio per svariati reati. In riferimento a questi molteplici casi non risulta, tuttavia, che si sia mai aperto qualsivoglia procedimento disciplinare o eventuale ipotesi di trasferimento per motivi legati all’immagine dell’Ente e/o a fatti dolosi e colposi che manifestano grave incapacità nell’adempimento degli obblighi di servizio, a differenza di quanto invece adottato nei confronti del sottoscritto. Non appare credibile, dunque, che l’apertura del procedimento a mio carico derivi esclusivamente dalle azioni poste in essere dall’Autorità Giudiziaria, tant’è che la documentazione in atti e i ripetuti dinieghi in risposta alle molteplici istanze da me inoltrate, fanno emergere il legittimo sospetto che fossero stati consapevolmente predisposti per impedire il mio rientro in servizio e ostacolare la ripresa delle attività investigative poste in carico al mio ruolo, evidenziando una inequivocabile responsabilità dell’ente nell’assumere provvedimenti essenzialmente arbitrari e, verosimilmente, punitivi”.
“Queste misure, di fatto restrittive – prosegue la nota – sono state giustificate dall’Amministrazione Provinciale servendosi di una improbabile motivazione che avrebbe determinato l’esigenza di completare la riorganizzazione dei servizi museali, compreso quello di vigilanza, per i quali si sarebbe reso necessario un mio repentino trasferimento, snaturando completamente il mio ruolo, riducendo drasticamente le mie funzioni, annullando le mie competenze e limitando totalmente il potenziale delle mie attività investigative, eppure l’Ente dichiara esattamente quanto segue: “l’attuale compito cui egli è assegnato (riferendosi al sottoscritto) non costituisce affatto un “demansionamento”, dal momento che Di Bello assolve alle mansioni previste per il suo profilo professionale quale tenente del corpo della Polizia Provinciale”.
“Resta perciò da chiedersi – conclude il tenente Di Bello – quali siano i reali motivi di quest’accanimento nei miei confronti e la ragione dei diversi trattamenti operati invece per altri dipendenti tuttora sotto processo ed imputati per reati ben più gravi del mio, io un’idea ce l’avrei…a voi le conclusioni!!!”