Contraria Legambiente Basilicata al bando di gara del progetto Security attraverso il quale l’Ente Parco nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri-Lagonegrese intende spendere 3,5 milioni di euro (somma che sarà messa a dispozione dall’Eni – n.d.r.) per la prevenzione di eventuali danni al territorio attraverso la ricognizione visiva delle condotte che collegano i pozzi petroliferi e che attraversano il territorio del Parco.
“Anche qualora, come dichiarato dall’Ente, il bando prevedesse le tecnologie e le professionalità più avanzate, Legambiente – si afferma in una nota -ritiene che non spetterebbe al Parco occuparsi della sicurezza delle tubazioni. “Da un Ente Parco, istituzionalmente predisposto alla tutela e alla salvaguardia del territorio e della biodiversità, i cittadini si aspettano posizioni e azioni diverse in grado di vedere oltre il petrolio, dando gambe e testa ad una Val d’Agri in difficoltà di fronte ad interessi nazionali così sovrastanti. L’Ente Parco nazionale dell’Appenino lucano Val d’Agri Lagonegrese, invece, – sostiene Legambiente – subisce passivamente le azioni dell’Eni, venendo meno agli impegni presi nei confronti della comunità lucana, che devono essere di tutela e salvaguardia.
Non serve dunque impiegare 3,5 milioni di euro, spalmati o meno su sei anni, per garantire la sicurezza e il monitoraggio tecnico dell’infrastruttura presente che, se pur importante, spetta alla compagnia petrolifera ed agli organi istituzionalmente preposti alla vigilanza ed al controllo del territorio”.
Legambiente interviene anche sulla questione delle nuove richieste di ricerca. “E’ inaccettabile – sostengono i responsabili dell’associaione ambientalista – che l’Ente Parco dichiari di rispondere quando avrà le carte sul tavolo. La sua posizione dovrebbe essere forte e chiara. Il Parco deve trovare ogni modo per frenare, limitare e, se possibile, impedire ogni attività industriale impattante, come l’industria petrolifera, nel suo territorio.
L’Ente Parco sia l’istituzione preposta al cambiamento, il soggetto trainante verso una rivoluzione del paradigma petrolio che, con le promesse fallite di un’occupazione inesistente, vede tutt’ora la Basilicata schiava delle grandi compagnie petrolifere”.
“Ci chiediamo inoltre che garanzie di terzietà e trasparenza può assicurare un soggetto che deve autorizzare attività di un suo finanziatore venendo meno alla propria mission anche in termini etici e facendo sorgere dubbi sulla esatta interpretazione della funzione degli Enti Parco: soggetti destinati a servire i territori e a favorire un’evoluzione culturale in termini di sostenibilità ambientale delle comunità locali”
“In questo, il Parco sembra mancare del tutto di sensibilità e della percezione del suo ruolo, ragionando ormai come parte dell’indotto ENI invece di essere garante e promotore della compensazione ambientale e immagine di un territorio che sulla tutela e la valorizzazione delle risorse naturali possa finalmente iniziare a ragionare su un piano di conversione dell’attività estrattiva.
Alla luce di quanto sta accadendo, Legambiente – conclude la nota – chiederà formalmente al Ministero dell’Ambiente di intervenire al fine di verificare la situazione ed esercitare le sue prerogative di vigilanza e controllo sugli enti parco”.