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Attualità

In Nome del Peccato

USB - Ufficio Stampa Basilicata 3 Gennaio 2016
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Cristo si è fatto uomo per salvarci. L’uomo coi segni di Cristo si fa carnefice.
Non più fede, né mistero, né dogma. Invece, ecco al mondo tutto l’umano razionale peccato sempre più Originale. Nonostante le crociate, millenni di preghiere e di catechesi, il Giuda che è in noi resiste immune, si moltiplica, si fa accattivante esempio.
È Pasqua, incredibile! Tutto il peggio sta accadendo adesso, nei giorni in cui Cristo è pronto a risorgere.
Perché Cristo dovrebbe risorgere ancora?  Per chi? Ed in quale luogo?
Inquieto e inquietato rivolgo queste mie domande ad un prete amico, di cui ho moltissima stima intellettuale.
I rappresentanti della Chiesa intanto tacciono, su tutto, ribaltando alla società secolare ogni responsabilità, anche quella del Cristo che sta in ognuno di noi.
In questa confusione mista di silenzi e rabbia, anche la Chiesa smette d’esser luogo coi suoi simboli ed i suoi riti, così come d’altronde il mondo ha già fatto da tempo.
Il non luogo della Chiesa però è più tremendo, perché se la Chiesa siamo noi, se la fede siamo noi, se Cristo siamo noi allora saremo sempre più soli.
Il prete è solo il mezzo di una cerimonia collettiva, nei casi più fortunati un uomo capace di dire una parola in più, di spingerci ad una riflessione ulteriore.
Ed in questa dissoluzione di simboli e segni non ci rimarrà che la solitudine, la preghiera solitaria chiusa nelle nostre stanze ai piedi del letto, piuttosto che all’alba sulle riva di un mare o nel traffico quotidiano.
Saremo sempre più soli, proiettati nei nostri tragitti a tempo, disinteressati del percorso o della fine che l’uomo che ci sta accanto subirà. Ci indigneremo solo se la sua fine farà notizia o gossip, al pari di un reality dove ognuno potrà godere dei suoi pochi minuti di popolarità. Dove ognuno potrà videoraccontare la sua verità.
Siamo proiettati, dunque, verso un  post-umanesimo di solitudine e spazi di passaggio e non più di passeggio, dove tutto si sa di tutti ma nessuno incrocia e difende la vita altrui.  Sarà così finché qualche altro essere umano sarà disposto ad una post-moderna  crocifissione per un dis-umanesimo da riscattare.
Intanto ci riuniamo e costruiamo comunità virtuali sempre più grandi, senza piazze  ma con fattorie virtuali, dove progettiamo un mondo ideale e sempre solitario. Dalle finestre di quel non mondo ci affacciamo per scorgere le violenze, le mondezze e gli abbandoni che ormai quasi inconsapevolmente provochiamo, e da quelle finestre ci facciamo giudici e firmatari di petizioni con cui chiediamo l’abbattimento completo di tutti i simboli rimasti, quelli che ci tengono ancora legati in una vita vecchia e obsoleta. Nel luogo appunto. Come se il tutto non ci appartenesse, o non ne fossimo coresponsabili
E nel luogo che è rimasto chi paga è l’uomo povero (residuo non più tollerato di una civiltà passata). Costui è un disadattato, fuori da tutte quelle prassi moderne in cui non c’entra l’identità ma i numeri, o perlomeno quelli che economicamente riescono a tenerti dentro il sistema della genericità dei consumi, nello standard dei servizi al consumo, inventati per noi numeri tra i numeri sempre più vittime e più fragili sotto il peso schiacciante di cifre che non riusciamo più a sostenere.
Il disadattato è l’ultimo ostacolo prima di un ‘mondo perfetto’. Prodotto dalla civiltà dei consumi sarà consumato dall’uomo fatto di fibre ottiche.
Il disadattato sarà il nuovo ‘povero Cristo’ da mettere in croce. Chissà solo se egli avrà voglia, come colui che lo ha preceduto, di risorgere nel nome di una dottrina, o per dei fratelli che hanno scelto il peccato ex-originale che si è fatto Chiesa, Piazza, Monumento.

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